Artemisia Gentileschi è una delle prime e più grandi pittrici italiane, nonché la prima donna ad aver denunciato pubblicamente uno stupro.

LA GIOVINEZZA

Artemisia nasce a Roma, nel 1593. Figlia del pittore Orazio, viene introdotta molto presto nello scoppiettante ambiente artistico romano e nella bottega del padre come apprendista. Nonostante l’orgoglio paterno per il suo talento, Artemisia non esce mai dalla bottega per frequentare le scuole di pittura della capitale: questa possibilità le è negata dal suo sesso. Tuttavia, a bottega conosce i migliori artisti e pittori dell’epoca, incluso Caravaggio. Il grande pittore influenza molto lo stile di Artemisia, alcuni dicono anche intrecciando una relazione sentimentale con la giovanissima allieva. Il primo dipinto attribuito interamente a lei è del 1610. Artemisia ha solo diciassette anni e il suo  Susanna e i vecchioni  la consacra come appartenente a pieno titolo al mondo dell’arte romana.

Susanna e i vecchioni

Ma l’anno successivo, tutto cambia.

ARTEMISIA VIOLENTATA

Nel 1611 il padre affida Artemisia a un nuovo maestro. Si tratta di Agostino Tassi, pittore di talento e amico di famiglia, purtroppo noto per il suo passato burrascoso e per il carattere iracondo. Dopo alcuni rifiuti da parte di Artemisia, il Tassi approfitta dell’assenza di Orazio per violentare la giovane nella sua abitazione, con la complicità  di una vicina di casa che avrebbe dovuto accudirla. A noi sono giunte le parole con cui Artemisia stessa descrive lo stupro:

«Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ché io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne»

OLTRE AL DANNO LA BEFFA

Scoperto il fatto, non resta ad Artemisia che la possibilità di prender marito in tutta fretta. Purtroppo il matrimonio riparatore, necessario secondo le usanze dell’epoca per restituire onorabilità alla vittima e proposto da Tassi stesso, non può essere celebrato in quanto egli risulta già sposato. Perciò, Artemisia deve affrontare il processo, e lo fa a testa alta e con una grandissima dose di coraggio.

IL PROCESSO

La procedura giuridica è molto umiliante per la vittima. Il carnefice non esita ad usare falsi testimoni per screditare la ragazza, che viene costretta a sottoporsi a numerose visite intime. A causa di questo,, Artemisia comincia a suscitare la curiosità morbosa della brava gente di Roma e una ridda di pettegolezzi sulle sue abitudini morali. Le visite intime confermano la violenza ma per di accertare la veridicità  dei fatti, Artemisia viene comunque sottoposta a interrogatorio con tortura. Le praticano il supplizio della Sibilla. I pollici sono legati con una corda che viene stretta sempre di più fino a stritolare le falangi. Nonostante il danno che questa pratica può provocare a una pittrice, Artemisia non recede di un passo e finalmente ottiene giustizia. Per modo di dire.

IL VERDETTO

Agostino Tassi viene riconosciuto colpevole di sverginamento e condannato a cinque anni di reclusione o all’esilio, a sua discrezione. Sceglie l’esilio ma di fatto non lascia mai Roma, rendendo la vittoria di Artemisia poco più di una presa in giro. La reputazione della pittrice ormai è irrimediabilmente compromessa, tanto che molti concittadini la ritengo una «puttana bugiarda che va a letto con tutti» e su di lei si compongono motti poetici irriverenti e licenziosi.

VITA E OPERE SUCCESSIVE

Dopo la fine del processo, Artemisia contrae un matrimonio riparatore con un pittore fiorentino e segue lo sposo a Firenze. Qui, e nelle sue successive residenze (Venezia, e Napoli), nonostante la sua vita privata appaia tutt’altro che felice, riceve molti riconoscimenti per la sua arte e si afferma ulteriormente come pittrice di grande talento. Su commissione di Cosimo II de Medici dipinge la sua opera più significativa: Giuditta che decapita Oloferne. In molti hanno visto in quest’opera di grande impatto visivo una sorta di riscatto per le angherie subite dallâ’artista.

Giuditta che decapita Oloferne (le due versioni)
GIUDITTA CHE DECAPITA OLOFERNE

Normalmente i quadri raffiguranti questa scena ritraggono Giuditta e la sua ancella in fuga ma Artemisia mette l’omicidio in primo piano, senza risparmiare dettagli macabri come gli schizzi di sangue sulle lenzuola. Inoltre, il viso dell’assassina appare duro, compiaciuto. Infine, la collaborazione attiva dell’ancella viene considerata una sorta di rivalsa del genere femminile nei confronti dell’uomo prevaricatore. L’impatto dell’opera è talmente forte da provocare il rifiuto del committente: il quadro viene relegato in un angolo buio di Palazzo Pitti e quasi dimenticato. Artemisia deve ricorrere all’intercessione di Galileo Galilei (col quale intrattiene una fitta corrispondenza) per ricevere il compenso pattuito.

Nonostante le molte difficoltà della sua vita , Artemisia resta una delle nostre artiste di maggior talento e senz’altro un esempio di coraggio e forza d’animo non indifferente. Le sue opere sono oggi esposte nei maggiori musei in tutto il mondo.