Lo scorso dicembre, “Don’t look up” ha presentato al mondo intero uno scenario fondamentalmente realistico: una cometa in diretta collisione con la Terra. Ma cosa fare, esattamente, nell’ipotesi che questo accada? Fortunatamente gli scienziati hanno la soluzione e si chiama DART.

Cosa accadrebbe se una cometa decidesse di piombare sulla Terra? Una possibile risposta l’hanno data Leonardo DiCaprio e Jennifer Lawrence in Don’t look up. La soluzione potrebbe essere quella di utilizzare dei razzi che, colpendo la superficie della killer di pianeti, ne devierebbero la traiettoria. Ebbene, la soluzione cinematografica è realtà e prende il nome di DART.

DART: Double Asteroid Redirection Test

A fine novembre, la NASA ha lanciato una missione spaziale chiamata DART. Questa rappresenta il primo vero esperimento in caso di emergenza planetaria.

Si tratta di una sonda che tra meno di un anno andrà ad impattare un piccolo asteroide, Dimorphos, dal diametro di 170 m. Dimorphos è un sassolino spaziale che ruota attorno a Didymos, dal diametro di 780 m, a circa undici milioni di chilometri di distanza dalla Terra.

L’impatto, che è previsto per settembre 2022, avverrà ad una velocità stimata di circa sei chilometri al secondo (che si traducono in 21.600 km/h. Per dare un’idea indicativa della velocità, teniamo presente che una monoposto di formula uno può viaggiare sui 350 km/h.)

Grazie a questo impatto con DART, Dimorphos varierà la sua orbita attorno a Didymos e l’obbiettivo della missione spaziale è proprio quello di analizzare e capire come questo avverrà e che effetti potrà avere. Comprenderne le conseguenze è fondamentale per capire se un progetto di questo tipo potrebbe davvero salvare il genere umano in caso di necessità.

LiciaCube: Light Italian CubeSat for Imaging of Asteroids

Ma come fare a capire se tutto filerà liscio? L’occhio vigile della Terra, in questo caso, è un nanosatellite dell’Agenzia Spaziale Italiana che partecipa a questa importante missione con un team tutto italiano.

Il coordinamento scientifico è affidato a Inaf (Istituto Nazionale di Astrofisica) e vede la partecipazione del Politecnico di Milano, dell’Università di Bologna, dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope e dell’Istituto di Fisica Applicata “Nello Carrara” (CNR-IFAC).

Insomma, l’Italia non può che essere orgogliosa del ruolo che svolge all’interno di questa missione che verrà monitorata non solo dalla NASA, ma anche dall’Esa (Agenzia Spaziale Europea).

Il piano B di “Don’t look up”

Nel film, l’avidità umana vince sulla sicurezza e il piano di deviazione della cometa viene sostituito con uno più proficuo: frammentare il corpo celeste così da poterne estrarre le preziose materie prime una volta che i piccoli meteoriti avranno toccato il suolo Terrestre.

Fermo restando che è preferibile starsene belli vivi e senza materiali preziosi piuttosto che rischiare la pelle, va detto che purtroppo non sempre è possibile dare un preavviso adeguato in caso di catastrofe imminente.

Si stima infatti, che una missione come quella di DART necessiti di un preavviso di mesi o addirittura anni per poter essere applicata. Tuttavia, le agenzie spaziali non sempre riescono a prevedere l’arrivo di oggetti, talvolta anche piccoli, con largo anticipo. 

Secondo uno studio pubblicato da Philip Lubin (professore di fisica presso la UC Santa Barbara, California), se l’umanità si ritrovasse con un preavviso di soli pochi giorni, quella proposta nel film potrebbe davvero essere una soluzione valida.

Polverizzando un asteroide in pezzi più piccoli si avrebbero senza dubbio danni e probabilmente vittime, ma l’alternativa sarebbe quella di una probabile estinzione di massa.