Intervista in esclusiva a Gala, artista che incarna come poche altre il potere, il talento e la determinazione delle donne. Dagli esordi con il successo internazionale di Freed From Desire fino ai suoi nuovi progetti. Un concentrato di potenza e creatività esplosiva.
Gala è una delle artiste italiane più ascoltate all’estero fin dagli anni Novanta. Ha venduto oltre 6 milioni di dischi in tutto il mondo. Il suo album di esordio Come Into My Life (1998) include i singoli premiati con dischi di platino: Freed from Desire (in top ten nel Regno Unito per ben otto settimane), Let a Boy Cry (primo in classifica in Italia, Spagna, Belgio e Francia) e Come Into My Life (primo in classifica in Italia, Spagna e Israele). Nel nostro sondaggio del 28 febbraio 2020 in cui vi avevamo chiesto chi fosse la musicista più ascoltata da voi, ci avete fatto il suo nome.
E noi l’abbiamo raggiunta a Parigi, dove si trova per una serie di concerti, dopo essere stata premiata a Verona qualche settimana fa all’Arena Suzuki.
Gala, ma che meraviglia il nome della tua casa discografica: Matriarchy Records… un inno al talento femminile!
Ho fondato la Matriarchy Records Inc nel 2004 e ricordo ancora oggi la domanda che mi fece l’avvocato: “Ma è legale una società tutta di donne?”. Fino a pochi anni fa la percentuale di donne che ricoprivano ruoli dirigenziali nell’industria della musica era bassissima (il 2,9% fino al 2019, secondo i dati raccolti nella ricerca Women in Music Industry del 2020. NdA). Trovavo tutto questo assurdo. Mi si chiedeva se fosse legale la presenza delle donne in una società. Da allora ci sono stati dei cambiamenti, ma non si è fatto abbastanza.
Quando ho fondato la Matriarchy Records il mio desiderio era proprio quello di cambiare le cose, di assumere soprattutto donne. Questo mio desiderio nasceva dal fatto che ogni qual volta io mi trovassi a firmare contratti, entravo in stanze e in studi di soli uomini.
E allora mi sono autoprodotta. E l’ho fatto per ben vent’anni. Solo ora sono però riuscita a realizzare il mio proposito, ovvero assumere tantissime donne. Ce l’ho fatta e tutto questo mi dà una gioia immensa.
E in cosa per esempio ti trovi meglio a lavorare con un team di sole donne?
Durante i tour, per esempio, preferisco lavorare con le donne. Si lavora meglio con loro, c’è una vibe diversa, si crea un’atmosfera più propositiva, dove tutte si aiutano, dove tutte collaborano, cercano di trovare soluzioni, armonia.
Parlaci delle artiste che coadiuvano il tuo lavoro on tour.
Le ho scelte tutte volutamente di nazioni, di culture e di formazioni diverse. Non volevo un gruppo omogeneo, ma eterogeneo, vivace, multiculturale e multietnico. Credo che sia la base per lavorare al meglio: ognuna vuole apportare creatività, dare il meglio di sé. Fare la differenza ma senza competere tra di loro… tra di noi.
Qual è la tua più grande soddisfazione?
Esserci. Sono una donna, ho trovato nel mio lavoro troppe limitazioni, nonostante l’immenso successo della mia hit Freed From Desire. Dopo i 26 anni mi è stato detto di tutto. Per esempio che dopo quell’età non potevo più fare pop music, che ero troppo “vecchia”. Ma io ho resistito. Ci sono. Ed è questa la mia vera rivoluzione. Ho passato un periodo difficile, non lo nego. Ma sono qui. E lo devo anche ai miei studi.
Spiegaci come, Gala.
Sono arrivata da Milano negli Stati Uniti a 17 anni. E devo dire grazie agli studi di genere, o gender studies, se ora sono quella che sono. Negli anni Novanta in Italia non c’era molta apertura verso questo tipo di studi, ma non era mainstream nemmeno in America. È stato importantissimo per me studiare i diversi aspetti della vita umana: dall’origine della propria identità al rapporto tra la singola persona e il contesto socio-culturale in cui vive. Mi ha aiutato perché anziché piangermi addosso ho capito che non era colpa mia, ma della società che non dava spazio alle donne. Io per ben vent’anni, a parte sporadiche occasioni, non ho firmato contratti con le grandi case discografiche, formate in gran parte da uomini, come dicevamo. E quindi, il problema non ero io, il fallimento non era mio, ma della società.
E come hai reagito?
Appena mi sono resa conto che erano le donne a non venir accettate, quindi non solo io, dall’industria discografica, ho compreso sulla mia pelle quanto non fosse un problema personale, quanto tutto quello che mi stava accadendo non dipendesse da me in quanto Gala, ma da me in quanto donna. E così non me la sono più presa. Anzi, più la società era fatta male, più mi veniva la voglia di restare, di riscattarmi, perché non era giusto. Io ho talento, l’ho dimostrato, e resto qui.
Del resto i tuoi successi parlavano e parlano per te. E poi, cosa è successo?
Avevo firmato un pessimo accordo per Come Into My Life e quando ne sono uscita, mi sono trovata senza nulla in mano. La dignità, la certezza del mio lavoro, delle mie potenzialità mi hanno aiutato nei momenti in cui mi sono sentita sola. Io ero sola ma nello stesso tempo non lo ero. Mi sono reinventata, ho creato la mia casa discografica e quando ho lanciato il mio primo singolo Faraway nel 2005 è stato un successo. Numero uno in Grecia, anche per la cover cantata dalla vincitrice di un noto talent show greco. Ho ripreso a lavorare e ho fatto sempre tutto da sola.
E adesso a cosa stai lavorando?
Ora sto lavorando a un documentario sulla mia esperienza dall’Italia agli Stati Uniti. Anche se il mio sogno sarebbe fare un film. Non puoi con un documentario far capire certe cose, se non le ricostruisci, se non le fai rivivere, attraverso le emozioni che hai provato. Io ho studiato fotografia, nella Tisch School of the Arts, la mia passione è trasmettere ciò che vedo, attraverso le immagini, i suoi, le atmosfere… Vedremo, sono ottimista.
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