“La vita di quelle donne, donne che nessuno ha mai celebrato” viene messa a nudo in tutto il suo dramma e in tutta la sua gloria in C’è ancora domani. Per la prima volta Paola Cortellesi firma anche la regia, oltre alla sceneggiatura (insieme a Furio Andreotti e Giulia Calenda) e all’interpretazione come protagonista, del film d’apertura della 18° edizione della Festa del Cinema di Roma, che ha srotolato oggi il suo tappeto rosso.

Rubando dall’immaginario del cinema italiano degli anni ’40 e dei primi anni ’50, il film ci tuffa in questo passato condiviso che è il dopoguerra. Lo fa, però, inquadrando un punto di vista inedito, con un linguaggio che si riallaccia alla commedia all’italiana e al contempo se ne allontana.

Possiamo ritrovare tutta la storia del cinema italiano in questo “bianco e nero”. (Inoltre, basti pensare che Paola Comencini ha curato la scenografia.) Ciò che vediamo realmente, però, è il controcampo del cinema italiano: la storia di quelle donne che non hanno avuto voce, né diritto al voto, fino al 2 Giugno del 1946.

La storia di Delia

Delia (interpretata da Cortellesi) è sposata con Ivano (un eccezionale Valerio Mastandrea) “che è molto nervoso perché ha fatto due guerre”. I due hanno tre figli, due maschietti e una ragazza adolescente, e vivono tutti insieme al nonno (padre di Ivano) in un seminterrato. Delia si sveglia, viene menata, prepara la colazione ai tre figli, al marito e al suocero. Va in giro per Roma a fare punture con le siringhe a ricchi anziani per guadagnare qualche lira. Rammenda calze e reggiseni, fa il bucato, torna a casa, prepara la cena e viene nuovamente menata. Non mette in dubbio questo modo di fare, così è. Inconsapevole dei suoi diritti in quanto essere umano, Delia accetta senza obiettare; “la violenza domestica non era un argomento, era un dato di fatto”. Lei la violenza la vive come fosse un balletto; d’altronde che alternative ha?

Nessuna via di scampo

In effetti, un’alternativa ci sarebbe: un amore adolescenziale, Nino (Vinicio Marchioni), che tutti i giorni le mostra attenzioni e dolcezze che Ivano non sa dare. Ma Delia va avanti così, nella sua sacra unione, dimenticandosi quotidianamente il dolore di ieri in nome dell’oggi dei suoi figli e di sua figlia. “Rubandosi” un po’ dei soldi che guadagna, e cioè non dandoli in mano al marito, riesce a mettere da parte una cifra sufficiente con l’obiettivo di comprare un vestito da sposa nuovo alla figlia, Marcella, che sembra essere in procinto di fidanzarsi. Non ci potrebbe essere gioia più grande per una madre: una figlia innamorata e a due passi dall’altare. E invece Delia scopre presto che il giovane fidanzato di Marcella dimostra già degli atteggiamenti possessivi, spaventosi, che le ricordano fin troppo bene il suo vissuto.

E fa impressione vedere un’attrice come Paola Cortellesi, che conosciamo soprattutto in vesti comiche, commuoverci come fa indossando una maschera così addolorata, così triste. Perché in fondo, quante di noi ritrovano le proprie nonne o bisnonne nella storia di Delia? Il coraggio di Delia, così come di tutte le altre donne di quella generazione, cambierà le regole del gioco, con un colpo di scena rivoluzionario, in tutti i sensi.