La penultima serata del festival Docusfera ha avuto come protagonisti il regista Marco Bellocchio e la montatrice Francesca Calvelli. I due cineasti hanno raccontato il processo di lavorazione del documentario Marx può aspettare e della serie Esterno notte.
Marx può aspettare
“Non avevamo idea che potesse diventare un film”, così Marco Bellocchio commenta il suo documentario Marx può aspettare, presentato nel 2021 a Cannes, e proiettato da Docusfera solo qualche giorno fa. La storia della famiglia del regista viene raccontata in prima persona da tutti i membri del nucleo, rompendo così la quarta parete e regalandoci una confessione pura e inaspettata sul dramma vissuto. Il vero protagonista lo incontriamo solo nelle immagini di repertorio, fotografie, video in super8, che risalgono agli anni Sessanta. Camillo Bellocchio, fratello gemello di Marco, si tolse la vita all’età di 29 anni. Nessuno aveva idea di cosa provasse il giovane; la tragedia si impose nelle vite di tutti a ciel sereno.
Il cinema di Bellocchio
Il cinema di Bellocchio ha sempre goduto di questa particolarità, forse è proprio la sua essenza: in ogni film troviamo una rielaborazione del dramma familiare. Il processo di scrittura e riscrittura della tragedia, mostrata sempre in chiave leggermente diversa, ha dovuto fare i conti con le intime vicende vissute dal regista. Gli occhi, la bocca, film presentato a Venezia nel 1982, affrontava già il tema del suicidio del fratello. Ciò che colpisce questa volta è proprio la messa a nudo dei coprotagonisti della storia: la famiglia Bellocchio si mostra. Il regista non si nasconde, entra nella narrazione quasi sullo stesso piano dei suoi fratelli e delle sue sorelle, ma, se già una differenza c’è (perché Marco era il gemello di Camillo), ne scopriremo altre, figlie di questo rapporto più stretto.
Una lettera, che Camillo scrisse a Marco poco prima del gesto irreparabile, ritorna nella memoria e nella messa in scena, condizionando interamente il ritmo e la costruzione del film. “Capisci dopo, ma è troppo tardi” ci dice Bellocchio. Lunghissimo lavoro di montaggio e scelta delle immagini, tra le quali ritroviamo scene dei suoi film, da I pugni in tasca a L’ora di religione, che si intrecciano al “cinema del reale”, mostrando proprio quanto realtà e finzione siano connesse.
Esterno notte
Nel ritornare sulla storia, dimenticata e non, il regista ci parla anche della sua ultima opera, Esterno notte, serie prodotta da Rai Fiction e Arte France Cinéma. Presentata anch’essa a Cannes, vista in questi giorni in televisione, è ora disponibile sulla piattaforma Raiplay. A quasi vent’anni da Buongiorno notte, Bellocchio torna sulle tracce del rapimento Moro, questa volta, però, dilatando il tempo. I cinquantacinque giorni del sequestro vengono affrontati dai punti di vista di Cossiga, del Papa, dei terroristi e della moglie, Eleonora Moro.
“Volevo rappresentare lo stupore, non solo mio, ma condiviso da tutti”, dice il regista. Confessa anche che quando incontrarono Adriana Faranda per girare il film del 2003, l’ex-brigatista aveva un atteggiamento prudente, quindi anche di autocensura, mentre in questa occasione si è sentito che avesse la possibilità di raccontarsi in modo più libero e questo ha permesso di approfondire il personaggio.
Lunghi applausi e un pensiero a Gianni Schicchi, attore scomparso da poco, con cui Bellocchio aveva lavorato in più film. Fu proprio una sua battuta, “Mia madre è una santa”, a dare l’idea al regista per la sceneggiatura di L’ora di religione. La seconda edizione del festival del documentario, Docusfera, avrà termine stasera con la proiezione de Il palazzo di Federica di Giacomo, a seguire ci sarà un incontro con la regista.
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