
Il diritto di contare è uno di quei film che racchiude già nel titolo il suo significato più profondo. Ed è questo uno dei motivi per cui la pellicola diretta da Theodore Melfi va guardata almeno una volta. Contare qualcosa, nella vita, dipende dalle nostre capacità e non dal periodo storico che stiamo attraversando. Esso può determinarci ma non arrestarci.
La trama
Ne Il diritto di contare siamo nel 1961, nel pieno della segregazione razziale negli Stati Uniti. Un periodo molto difficile per la gente di colore che fatica a trovare uno spazio nel mondo. La matematica afroamericana Katherine Johnson, insieme alle colleghe anch’esse afroamericane, Dorothy Vaughan e Mary Jackson, lavorano alla West Area Computers del Langley Research Center di Hampton. Sono geniali, spiriti arguti, soprattutto coraggiose, se si pensa al contesto storico. Il 1969, anno in cui l’uomo sbarcò sulla luna, non è poi così distante dal 1961 e l’America sente il bisogno di conquistare lo spazio e di lanciare una capsula pilotata dall’astronauta John Glenn (che compì tre orbite attorno alla terra). Katherine Johnson, dotata di capacità matematiche ineguagliabili, viene trasferita allo Space Task Group per assistere la squadra di Al Harrison (un sempre incredibile Kevin Costner).

Differenze che la scienza, e il buon senso, non ammettono
Katherine è la prima persona di colore a lavorare nel gruppo. Le diffidenze nei suoi confronti sono palesi: è una donna ed è, per di più, di colore. Due elementi in grado di far storcere il naso a chiunque, in quell’edificio di quel tempo. Tuttavia, la donna svolge il proprio lavoro secondo le sue competenze, senza svalutarsi o perdersi d’animo, conscia di ciò che vale. Ma la mancata comunicazione tra i colleghi, e il fatto che nell’edificio dove lavora ci siano bagni solo per bianchi (per andare in bagno la donna deve trasferirsi letteralmente in un altro edificio) non l’aiuta nella sua impresa. Ma Katherine è eccellente, intelligente, lo sa e non tarderà a dimostrare le sue doti qualitative.
Una macchina non potrà mai sostituire una donna
La battaglia di Katherine corre in parallelo con quella di Dorothy che viene a sapere dell’installazione dell’elaboratore IBM 7090 (un computer di seconda generazione) che causerà, di certo, il licenziamento di tutte quelle donne di colore assegnate ai calcoli, che si trovano sotto la sua supervisione. Anziché perdersi d’animo, Dorothy studia e familiarizza con questo nuovo calcolatore, e ammaestra le altre donne sui processi di programmazione. Riesce quindi a farsi promuovere e a supervisionare il computer, evitando che le sue sottoposte vengano mandate via solo perché sostituite da una macchina.
La determinazione di una donna
L’aspirante ingegnere Mary Jackson, una donna caparbia che aspira ad altro oltre che al focolare domestico, riesce a ottenere il permesso di assistere alle lezioni serali di un liceo frequentato solo da uomini bianchi. La sua volontà di ottenere la specializzazione necessaria per la promozione che desidera le fa per davvero abbattere ogni pregiudizio e acquistare coraggio. Sa bene che con questa specializzazione riuscirà a contribuire alla creazione della capsula per il volo di John Glenn. Un piccolo passo per una donna, un grandissimo passo per l’umanità e il rispetto.

Tre donne coraggio
Tre donne, dunque, tre donne coraggio ben consapevoli del diritto di contare. Contare assume dunque una doppia accezione: il verbo si rifà alla matematica e al fatto di saper e voler contare nella vita, di poter apportare il proprio contributo in un campo che si conosce bene non per se stessi, ma per il bene della comunità intera. Per il favore della scienza e della conoscenza. Tre donne che hanno vissuto un periodo in cui il colore della pelle faceva la differenza, dove le barriere e i muri sociali ostacolavano ogni forma di convivenza e progresso. Ma il progresso è per le menti eccelse, è per chi crede per davvero nelle proprie capacità, è per quelle donne che non hanno paura di mostrarsi se stesse.
Un film non sul femminismo ma sull’uguaglianza
Sarebbe troppo semplice e riduttivo dire che Il diritto di contare è un film femminista. Parla sì di donne che hanno fatto la differenza ma è anche una pellicola sull’uguaglianza poiché quando si nasce con capacità che vanno altre la media, quando si scoprono i propri talenti da mettere al servizio della collettività, allora ogni uomo o donna diventa uguale agli altri. In questa storia che parla di conquista dello spazio, dell’uomo che vuole orbitare attorno alla terra e poi arrivare sulla luna, è bizzarro pensare che siano state proprio tre donne di colore ad essere delle chiavi di volta. Come a dire che per sognare gli spazi infiniti non serve altro che l’intelligenza applicata alla determinazione. E sotto il cielo di stelle non esistono segregazioni o differenze. Esso ci guarda tutti allo stesso modo.
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