Sognare Beckham non è più una chimera ma una realtà: il presidente della FIFA Gianni Infantino ha annunciato che investiranno 500 milioni di dollari nei prossimi quattro anni per lo sviluppo del calcio femminile a livello globale. E quando poteva farlo se non nella prima giornata del Campionato Mondiale femminile, attualmente in fase di svolgimento in Francia? Nella stessa sede, alla presenza anche della responsabile della Divisione Calcio Femminile della FIGC Francesca Sanzone, è stato firmato il primo memorandum tra la FIFA e il Comitato Onu per l’uguaglianza di genere. Ce n’è di che esserne soddisfatte e speriamo le sorprese non finiscano qui… Noi di Pink non potevamo non cercare di capire meglio che cosa c’è dietro queste campionesse. Da dove si parte per arrivare così in alto? Qual è la forza motrice che spinge tante ragazze ad allenarsi su campi di periferia con qualsiasi tempo atmosferico; a destreggiarsi tra pregiudizi, risatine sotto i baffi e atteggiamenti fisici e mentali di superiorità spesso e molto volentieri mai richiesti? Be’ lo abbiamo chiesto a un uomo. Sì, un uomo, un mister, che quando ha deciso di ricominciare a frequentare i campi di calcio non ha fatto la scelta più ovvia ma si è lasciato guidare dalla voglia di conoscere e far parte di un mondo ancora un po’ ai margini, ma che ha tutte le carte in regola per abbandonare il ruolo di comparsa e prendersi quello di protagonista.

La mia intervista avviene su un campetto di Settimo Milanese, piccolo paese nella periferia ovest di Milano, un sabato pomeriggio durante un open day, in cui tante ragazze si sono date appuntamento per mettere in mostra le loro qualità calcistiche e dimostrare al mister di poter far parte della squadra che a settembre inizierà una nuova avventura. Assisto alle diverse partitelle che si susseguono dagli spalti dove sono assiepati anche alcuni genitori che accompagnano le ragazze. Hanno voglia di chiacchierare e io non mi tiro certo indietro: da ciò che mi raccontano viene fuori l’affresco di una realtà ancora vergine, priva di sovrastrutture, in cui l’unica cosa che vale è la grande passione per il calcio, la voglia di giocare e di divertirsi. Direi che partiamo con il piede giusto.

Mister Colombo, ci racconto un po’ di lei.

Nella vita di tutti i giorni sono un artigiano. Ho giocato a calcio per diversi anni come centrocampista, raggiungendo anche categorie di un certo prestigio, l’esperienza più importante l’ho avuta a Vigevano. Poi verso i 33 anni ho appeso le scarpe al chiodo e per un bel pezzo non le ho più tirate giù.

Come si è avvicinato al calcio femminile?

Dopo un periodo in cui ho fatto altro, ho ripreso allenando i ragazzi che gravitavano nell’oratorio del paese. Nello stesso oratorio c’era anche una squadra a 7 di ragazze, che però si allenava in autonomia. A un certo punto mi hanno chiesto se potevo allenarle io. Era il 2015. Poi è arrivata l’esperienza del Bareggio – squadra portata dalla categoria promozione all’eccellenza – la squadra di Cesano Boscone, formata da ex giocatrici di squadre importanti, che hanno militato nei campionati maggiori, e con le quali ho tastato con mano cosa vuol dire lavorare con calciatrici già di un certo livello. È stato stimolante e arricchente.

Dunque l’idea di allenare una squadra femminile l’ha coinvolta sin da subito.

Diciamo che se non fossero venute loro da me sarei andato io, il loro gioco mi piaceva molto: era un po’ che le studiavo, il loro approcciarsi al gioco del calcio, il modo di gestire la squadra. Poi avevo voglia di mettermi in gioco e cercare di capire una realtà comunque distante da me, è inutile che ci giriamo intorno, anche io, nel mio piccolo, ho avuto un po’ di pregiudizi “Sapranno giocare?”, “Saranno in grado di stare al passo?”. Questo non vuol dire che non avessi rispetto nei loro confronti e di ciò che facevano, ma qualche perplessità… Dunque ho accettato e abbiamo iniziato e da lì non mi sono più fermato. 

Come è stato il suo inizio? Si è affidato alle esperienze passate?

Per una parte sì, poi, però, mi sono messo a studiare e tanto, mi sono documentato su come gestire la squadra, che tipo di allenamento era più giusto utilizzare. Ammetto che ho avuto molti dubbi e qualche difficoltà all’inizio: le ragazze mi studiavano e mi subissavano di domande, mi tenevano sotto stretta sorveglianza come a dire “Noi ci siamo e se c’è qualcosa che non va ne parliamo subito. Non accettiamo a prescindere ciò che dici”.

Ma secondo lei questo tipo di atteggiamento lo hanno portato avanti perché è un uomo?

Bella domanda. Non so, ogni tanto infatti mi piacerebbe assistere ad allenamenti tenuti da mister donne, per capire meglio l’approccio che seguono.

Le differenze tra uomini e donne ci sono, è inutile negarlo.

Sicuramente la tenuta dello spogliatoio è differente: abituato con i ragazzi – sia come giocatore, poi come mister – a entrare quando volevo per parlare del pre o post partita; con le ragazze ho dovuto cambiare i tempi e adeguarmi a loro, quindi a volte parlo prima che entrino per cambiarsi, oppure se c’è tempo dopo e intanto mando loro la formazione nello spogliatoio; per il post aspetto un loro segnale. Poi c’è l’atteggiamento diverso tra i due sessi. Te lo spiego con un esempio che ci fece una psicologa durante un corso d’aggiornamento per allenatori. Se tu lanci otto caramelle su un tavolo posto al centro dello spogliatoio i ragazzi si tufferanno verso il tavolo senza tante cerimonie; le ragazze inizieranno a porti una serie di domande sul perché hai portato le caramelle, sono poche e loro sono di più, a che gusti sono, non c’erano altri tipi di caramelle e via di seguito. Non so se ho reso l’idea. Le ragazze durante gli allenamenti tendono a chiederti il perché di una cosa piuttosto che un’altra, tendono a dare suggerimenti. Ma è proprio questo il bello: vedere anche altro, avere un altro punto di vista della stessa disciplina. Per studiare meglio questi aspetti mi sono parecchio documentato e tra le altre cose ho letto anche le relazioni del coach Velasco (allenatore di pallavolo sia della nazionale maschile sia di quella femminile italiane, ndr), mi sono servite molto.

Lo sport, in generale, potrebbe essere visto come un’area quasi esclusivamente maschile (forza fisica, sessioni di allenamenti molto intensi, che spesso possono portare a importanti cambiamenti della struttura fisica) ma così non è tanto che sono molti gli sport in cui la presenza femminile c’è da sempre così che nessuno ci fa più caso e la notizia quando c’è riguarda il traguardo raggiunto dall’atleta e basta. Perché per il calcio non è così?

Semplicemente per una questione culturale, soprattutto in Italia. Da sempre il calcio è praticato a tutti i livelli dai maschi, l’opinione comune associa la mascolinità al gioco del calcio, e questo comporta un’idea per cui le donne che giocano a calcio devono avere per forza un atteggiamento mascolino. Ovviamente tutto ciò non ha alcun senso. Ma le cose stanno cambiando.

Ci spieghi meglio.

Come ho detto ho iniziato ad allenare una squadra femminile nel 2015, si può dire che, senza rendermene conto, sono entrato in questo mondo proprio in una fase di passaggio, il calcio femminile stava prendendo maggior consapevolezza di se stesso, delle sue potenzialità. Le stesse ragazze che si avvicinavano al calcio non erano le solite cosiddette “maschiacce”, ma tutte quelle ragazze a cui il gioco del calcio piace, come ad altre piace praticare la pallacanestro o la pallavolo, e si sono messe in gioco, supportate, finalmente, anche dai genitori. Anche il livello di preparazione e di bravura è aumentato negli ultimi anni. Poi sono arrivati anche i media, che nel bene o nel male, sono una cassa di risonanza non indifferente e nel nostro caso hanno portato alla ribalta il nostro mondo e le capacità delle ragazze.

Nel cambiamento mette anche l’eventuale atteggiamento di mister, preparatori atletici che all’idea di allenare delle donne rabbrividivano e ora invece accettano l’idea come un qualcosa di molto normale?

Direi di sì, va da sé che non dobbiamo fare di tutta un’erba un fascio, ma non posso fare a meno di pensare che solo sino a poco tempo fa ci sarebbe potuto essere un atteggiamento ostile da parte di un mister che si fosse visto spostare ad allenare delle ragazze, avrebbe potuto viverlo come una sorta di declassamento. Ora, allenare maschi o femmine non fa alcuna differenza, come è giusto che sia. Sono atlete e come tali vanno trattate. Poi, ed è giusto che sia così, ci sono anche allenatori, preparatori atletici che non amano il calcio femminile, non li diverte e quindi non hanno alcun interesse a farvi parte. Sul calcio femminile però ho una mia idea: va vissuto, altrimenti non potrai mai capirlo sino in fondo.

Come sono gli allenamenti delle ragazze rispetto a quelli dei ragazzi.

Soprattutto a livello di preparazione atletica bisogna tenere conto della diversa conformazione fisica. Anche in tal senso mi sono molto documentato, oltre a volere sempre al mio fianco gente molto preparata. Le ragazze, per esempio, sono maggiormente esposte a infortuni al ginocchio, dovuto a una diversa conformità del bacino (il bacino della donna risulta essere più aperto, quindi aumenta l’inclinazione dell’asse del femore con conseguente aumento del valgismo a livello delle ginocchia, ndr). Questo tipo di infortunio nelle atlete può avvenire anche per un semplice cambio di direzione, che per i loro colleghi maschi non comporta un alto rischio di infortunio e riescono a eseguirlo con maggior velocità, riproponendolo più volte anche nella stessa azione. Per le ragazze è diverso, quindi si cerca di effettuare le stesse evoluzioni ma utilizzando accorgimenti sia atletici sia di allenamento mirato. Poi abbiamo lo stop di petto, avendo il seno e dunque per proteggerlo tendono a chiudere le spalle, esattamente il contrario degli uomini che invece allargano le stesse. La tecnica viene insegnata, ma già molte di loro arrivano preparate, sanno di calcio e sanno come si devono porre nei confronti della palla e del contatto fisico con altre giocatrici. Anche il colpo di testa crea delle difficoltà, molte fanno fatica a eseguirlo, ci vuole esperienza acquisita alla quale gestiscono tutto con naturalezza.

Parliamo ancora di spogliatoio.

Ho lavorato molto su me stesso e con le ragazze sul trovare la giusta quadra per poter vivere al meglio la situazione spogliatoio. Con la squadra di Bareggio avevo l’ausilio di un mental coach, con lui abbiamo fatto un grosso lavoro in tal senso. Per me la serenità delle ragazze, la loro fiducia, lo stare bene tra loro e con lo staff è fondamentale. Poi viene il resto. Non tutti i dirigenti di squadre capiscono l’importanza di questa cosa ed è un peccato. Con le ragazze devi essere sempre trasparente e te stesso, mai essere ciò che non sei altrimenti rischi di perdere la loro fiducia e quindi di credibilità. Anche le dinamiche tra le giocatrici sono diverse, può capitare che alcuni diverbi non trovino una soluzione portando la tensione a livelli per cui poi le atlete non riescono a giocare insieme. Gestire tutto ciò non è sempre semplice. Certo l’età delle giocatrici fa la sua bella differenza: con le più giovani devi anche gestire tutta la parte emozionale che comincia a prendere forma, devi saperle ascoltare e cercare di capire come aiutarle per fare in modo che tirino fuori il meglio di loro poi in campo. Sono sempre più convinto che forse, per i mister che desiderano allenare squadre femminili, sia meglio iniziare da squadre con giocatrici più grandi da un punto di vista anagrafico, per poi passare a squadra di età inferiori.

Qual è invece l’atteggiamento di chi vi viene a vedere.

Anche qui devi entrare nel sistema, molti vengono pensando di vedere una partita di fatto “maschile”, quando si rendono conto che non è così etichettano il nostro gioco come brutto e noioso. I gesti tecnici sono sicuramente diversi, ma come accade anche in altri sport di squadra – la pallavolo, per inciso io preferisco guardare le partite femminili, la pallacanestro e via dicendo. Come si può pretendere di vedere uno stesso gioco se a portarlo avanti sono persone di sesso opposto con caratteristiche fisiche diverse? Questo però non significa che sia meno bello e spettacolare. I campionati del mondo ce lo stanno dimostrando: c’è un livello altissimo ed è un piacere vederle giocare. Poi vengono a vederci anche i soliti soggetti che devono riempire il pomeriggio e mi fermo qui, ma questo è tutto un altro discorso che le mie ragazze sanno abbastanza gestire, e quando non è così ci penso io.

Cosa porta, secondo lei, delle ragazze ad avvicinarsi al calcio: parliamoci chiaro, campi di periferia, ginocchia sbucciate, allenamenti con qualsiasi tempo atmosferico, lividi e indolenzimenti ovunque.

Semplice e pura passione, che molto spesso è più forte e tenace nelle ragazze. Chi si avvicina al calcio è perché vuole dedicarsi a quello. Le ragazze non hanno ancora le sovrastrutture dei maschi, per cui sin da piccoli viene messo loro davanti un pallone da calciare che li porterà, non tutti ovvio, a intraprendere questo sport, con o senza passione, magari solo perché c’è l’amico o perché lo praticano tutti. Le ragazze scendono in campo convinte che quello sia il posto giusto per loro, dove potersi esprimere al meglio e dare il massimo. Tutto il resto è relativo. Loro chiedono solo di poter giocare.

Diamo un po’ di numeri del calcio femminile per capire come si sta evolvendo in Italia.

Ti faccio due esempi: in Norvegia e in Germania giocano circa 300.000 / 400.000 ragazze per ogni età circa; in Italia arriviamo a 25.000. I dati sono del 2017, ora sono in aumento, grazie anche alle riforme Uefa, per cui hanno obbligato tutte le grandi squadre europee di club ad avere un comparto femminile a partire dagli under 12, così da cominciare a creare un vivaio. Molti paesi della UE erano già in linea, al di là delle direttive Uefa, in Italia è servita la riforma.

Cosa si aspetta per gli anni futuri.

Avremo a un certo punto tantissime ragazze che giocheranno a calcio. Di fatto è lo sport nazionale e se anche le federazioni, i media ci mettono del loro a far sì che diventi uno sport di norma e non di eccezione, allora saremo a cavallo.

Parliamo di quello che state costruendo qui a Settimo Milanese: la squadra del paese che si unisce con la squadra del Vighignolo Calcio. Operazione economica, di immagine o i presidenti credono veramente in nel calcio femminile.

A me era stato proposto di fondare la prima squadra di calcio femminile già un paio di anni fa, cosa che si è concretizzata poi quest’anno. Da ciò che ho visto e conoscendo un po’ i due presidenti sono sicuro che il loro interesse è sincero e credono nel progetto. Poi gli incentivi della lega e l’immagine della società che ne può scaturire potrebbero avere avuto la loro parte, ma ripeto, io sono stato chiamato per fondare la squadra e tanto mi basta. Inoltre, al momento, e spero possa continuare così, mi è stata data carta bianca.

Perché dice: “Spero possa continuare così”?

Purtroppo con la società precedente il problema è stato proprio questo, quando siamo partiti i dirigenti ci seguivano a stento: io e il mio staff ci siamo dovuti rimboccare le maniche su tutto. Si può dire che la nostra è stata una vera autogestione. Nonostante questo abbiamo vinto il campionato e abbiamo portato la squadra in eccellenza. I guai sono arrivati dopo, quando il mio operato non era più libero e indipendente da decisioni altrui. A malincuore ho dovuto lasciare il bel gruppo che si era creato.

Come si svilupperà il progetto?

Oltre alla prima squadra, che sarà a 11 e partirà dal campionato di promozione, l’intenzione è anche di fondare un vivaio giovanile da cui poter attingere per gli anni futuri. In questo settore porterò la mia esperienza aiutando la dirigenza a trovare le persone più idonee per gestire le giovani leve. Sappiamo già che intorno a questa nuova realtà si sta creando curiosità e voglia di farne parte, soprattutto di mister che al momento sono impegnati con squadre maschili. Non poteva essere altrimenti, per i più lungimiranti è una grande opportunità potersi confrontare con un mondo al momento sconosciuto ai più, ma che può portare un allenatore ad avere un bagaglio di esperienze a trecentosessanta gradi. Di questo ne sono più che convinto.

Ha parlato del campionato di promozione. Quante categorie ci sono nel calcio femminile?

Serie A, dove spero a breve le ragazze verranno inserite nel circuito professionistico (a oggi, solo quattro discipline sportive e solo le loro federazioni maschili sono state riconosciute come professionistiche: calcio, basket – solo Serie A1 -, ciclismo e golf, ndr), serie B, serie C, eccellenza, promozione.

Come sta costruendo la squadra? Da chi sarà composta?

Punto molto su ragazze giovani, fresche con voglia di fare, ma vorrei inserire due o tre elementi più grandi, con maggior esperienza, alle quali affidare lo spogliatoio, oltre a fare da traino e da immagine per le ragazze meno esperte.

Ha già definito il suo staff tecnico e nominato il suo vice?

Ho preso dei contatti, siamo in trattativa. Quindi non posso dire nulla. Sto valutando molto attentamente la cosa, vorrei circondarmi di persone che abbiano la mia stessa visione di squadra: trasparenza, attenzione alla persona oltre che alla calciatrice, dialogo continuo e costante.

Consiglierebbe ai mister di fare un’esperienza nel calcio femminile?

Sì, cambiare aiuta a gestire meglio i rapporti con propri giocatori di ambo i sessi. Aiuta gli allenatori ad aver una visione più ampia e prospettica su tutto il mondo del calcio e su ciò che questo può offrire a ogni livello. Poi di contro non nego che lavorare con sole donne, soprattutto ragazze adolescenti, con tutto ciò che comporta, affatica molto. Se vuoi veramente cercare di capire come gestirle nel miglior modo possibile, come tirare fuori il meglio di loro come persone e come giocatrici devi essere sul pezzo sempre. Quando si è interrotta la mia esperienza al Bareggio, nonostante l’amarezza iniziale ho ripreso una vita normale, di fatto ho portato avanti una sessione defatigante a livello mentale per un paio di mesi. Mi è servito molto e ora sono pronto per riprendere e ne sono molto contento.

E allora forza mister, che la sua esperienza possa essere un esempio per far capire che l’importante è mettersi sempre in discussione. E ovviamente Forza Azzurre!

Manola Mendolicchio