Purple Hearts è uscito pochi giorni fa (il 29 Luglio) su Netflix e in tutto il mondo, è già in cima alle classifiche dei film più visti in quasi tutti i Paesi

Purple Hearts è un film che ha molti temi al suo interno, forse anche per questo piace a più persone e generazioni.

La storia è tratta dall’omonimo romanzo scritto da Tess Wakefield andato in stampa nel 2017 (non c’è ancora una traduzione in italiano) e vede protagonisti un’aspirante cantante, Cassie, e un marine, Luke.

L’argomento centrale, a cui si ispira il titolo, è certamente il sacrificio di molti giovani americani che hanno perso la vita o subito gravi infortuni nelle guerre internazionali di questi ultimi anni contro il terrorismo.

Il “cuore viola”, infatti, rappresenta un’onorificenza data in nome del Presidente e riconosciuta ai soldati americani che sono stati feriti o uccisi mentre servivano nelle forze armate. Viene assegnato a partire dal 5 aprile 1917, giornata che segnò l’ingresso degli USA nella prima guerra mondiale.

Parallelamente, però, c’è anche una riflessione importante su questo tipo di lotta al terrorismo che a volte coinvolge, erroneamente, un’intera etnia e può sfociare quindi in razzismo.

La storia ha ovviamente come sfondo una vicenda d’amore, dove non manca la musica che è anzi una colonna portante che ha sancito il grande successo di pubblico. Grazie a canzoni ben scritte, ben fatte e ben interpretate dalla protagonista, Sofia Carson, classe 1993, attrice e cantautrice.

In particolare la canzone “Come Back Home”, già tormentone sui social, che si riallaccia al titolo e alla trama stessa del film (e composta proprio dall’attrice protagonista nel film).

L’attore protagonista maschile è Nicholas Galitzine , classe 1994, che aveva interpretato il principe Robert in Cinderella.

GLI ALTRI TEMI DEL FILM

Oltre ai temi dell’immigrazione in America, dell’amicizia, dell’emancipazione, della droga, c’è un altro tema affrontato in maniera non troppo approfondita, ma che è stato il motivo che mi ha fatto conoscere e mi ha spinta a guardare questo film.

Si tratta di una patologia diffusa tra i giovani e spesso confusa con quella degli anziani, e una battuta del film la evidenzia bene chiamandola con il suo giusto nome: diabete di tipo 1.

Nel film si percepisce soprattutto l’aspetto del costo sanitario che questa malattia comporta e della discriminante fra benestanti e meno abbienti in questo senso.

In America, infatti, chi non può permettersi una polizza sanitaria importante, spesso non riesce a coprire i costi necessari all’acquisto di quel farmaco salvavita che è l’insulina.

Non sono pochi i fatti di cronaca avvenuti nel corso di questi ultimi anni in cui i giovani protagonisti avevano deciso di razionarsi l’insulina a causa del suo costo e spesso questa scelta è stata poi per loro, purtroppo, fatale.

Proprio su questo aspetto si snoda tutta la trama del film.

IL DIABETE DI TIPO 1

La patologia non è ben descritta (almeno a detta di chi la vive quotidianamente, me compresa).

Ma quel che penso personalmente è che, per una patologia spesso sconosciuta o confusa, è molto importante che se ne parli a livello mondiale, anche se poco, anche se non in maniera completa. Insomma, meglio poco che niente, secondo la mia filosofia. E soprattutto ben venga attraverso l’arte, di cui i film sono certamente un’espressione. Film, tra l’altro, a disposizione di tutti, contemporaneamente, su una piattaforma mondiale.

In una scena del film, ad un certo punto, si vedono proprio il microinfusore che anche io indosso e lo stesso sensore per la rilevazione della glicemia. Questa cosa, in qualche modo, “normalizza” noi che dobbiamo vivere dipendendo dall’insulina attraverso questi macchinari o le iniezioni quotidiane. A volte siamo, per questo, discriminati o più spesso, semplicemente, non capiti.

In un’altra scena di Purple Hearts si percepisce la gravità e le difficoltà che comporta un’ipoglicemia.

L’importanza del sostegno e del supporto di una persona vicina in casi come quelli (noi la chiamiamo “T3”: a volte basta che ci resti semplicemente accanto visto che ci servono almeno quindici minuti per riprenderci).

Sì, i nostri cari e fidati T3 sono, in un certo senso, i nostri “purple hearts”.