Si parla molto di fibromialgia? Il punto di domanda finale è voluto, in quanto, come osservatrice facente parte della categoria di coloro che ne soffrono, non credo se ne parli abbastanza.
La fibromialgia – composta dai termini fibra (dal latino con lo stesso significato in italiano), mus (dal greco antico, muscolo) e algia (ancora in greco antico, dolore) – è una patologia che colpisce una percentuale variabile tra l’1 e il 3% circa della popolazione mondiale (circa 2 milioni solo in Italia), soprattutto di sesso femminile.
È una patologia ai più sconosciuta, io per prima, quando me ne accennarono, prima ancora di diagnosticarmela, ignoravo cosa fosse e quando la nomino, la maggior parte delle volte, mi sento domandare cosa sia e quali sintomi conducano una persona a sospettare di esserne affetta.
Per darvi un’idea di cosa rappresenti, viene definita “patologia dei 100 sintomi” ovvero un lunghissimo elenco di problematiche – badate bene, che procurano disturbi fisici complicati da gestire e con cui si è costretti a imparare a convivere – e un gruppo italiano che la studia, di recente, l’ha raccontata così: “Una sindrome da sensibilizzazione centrale, caratterizzata da disfunzione dei neuro circuiti, che coinvolgono la percezione, la trasmissione e la processazione degli stimoli nocicettivi afferenti, con la prevalente manifestazione di dolore a livello dell’apparato locomotore”.
In parole povere? Disturbi alla vista e all’udito, acufeni, dolore diffuso in tutto il corpo, percezione intensificata degli odori e dei rumori, difficoltà di movimento, disturbi del sonno, sindrome da stanchezza cronica, alterazioni nell’umore e ancora tanto tanto tanto altro!
Fibromialgia, insomma, patologia cronica per cui non esistono cure risolutive e che provoca più di cento disturbi, rendendo la vita quotidiana una sorta di lotta contro un nemico subdolo che finisce per condizionarla. Difficilmente accettata perché sconosciuta e perciò, considerata frutto della fantasia di chi ne soffre.
Mi piacerebbe che, da invisibile, divenisse nota e che soprattutto, venisse riconosciuta a livello nazionale, in modo da offrire a chi ne è affetto la possibilità per ottenere agevolazioni economiche – perché sì, sono molti i soldi che occorrono per tentare di alleviare i disturbi, per lo più si tratta di terapie a pagamento, dell’uso continuativo di integratori e di cure non rimborsabili – e un supporto psicologico da estendere anche ai familiari che spesso non sanno come essere di sostegno.
In attesa che entri in vigore la legge, per cui è stato presentato un disegno su iniziativa dei senatori Boldrini e Parrini nel 2018, che prevede anche l’istituzione di un registro nazionale della fibromialgia, per finalità di monitoraggio e statistiche e la promozione dello studio e della ricerca sulla malattia con l’istituzione di ambulatori e centri specialistici in grado di restituire a chi ne soffre l’autonomia persa a causa della stessa, vi rimando al Sito Ufficiale dell’Associazione Italiana Sindrome Fibromialgica attraverso cui potrete approfondire l’argomento e restare costantemente informati sulla patologia e su come affrontarla.
Se mi è consentito, infine, mi piacerebbe dare un consiglio a tutte le persone che conoscono e frequentano un fibromialgico: stategli accanto, non abbandonatelo perché vi dà l’impressione di essere asociale – cerca solo e nel modo migliore possibile di non rinunciare alla cosiddetta normalità, spesso, non riuscendoci – e non trattatelo come se fosse un malato immaginario.
Essere affetti da una patologia invisibile rende la sofferenza maggiore e richiede di concentrare tutta la forza che non ci viene sottratta per combatterla.
Sprecare energie per tentare di convincere chi ci gravita intorno che non ci stiamo inventando nulla, rende il tutto più pesante e noi che ci vestiamo del pacchetto Fibromialgia abbiamo imparato, o quantomeno ci impegniamo, a contare soprattutto sulle nostre ma, ci piaccia o meno, necessitiamo anche di supporto esterno.
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