La crisi sanitaria causata dalla diffusione del covid-19 sta generando immancabilmente una profonda crisi economica. Il nostro Paese, la nostra bella Italia patria di poeti, pittori, attori, scrittori, scultori illustri – dei quali non dovremmo mai stancarci di vantarcene – sta soffrendo come non succedeva forse dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007. Stiamo vivendo un periodo buio che mette in ginocchio ospedali, attività commerciali, creando nuovi ammalati e, allo stesso tempo, nuovi poveri, senza risparmiare nemmeno la sfera emotiva e sociale di ognuno.

La pandemia mondiale di Coronavirus è una prova che ciascuno di noi sta affrontando nel proprio quotidiano. Una prova a cui nessuno può sottrarsi. Lo sanno bene i ristoratori, i baristi e tutte quelle categorie di lavoratori “colpiti” dall’ultimo decreto. Molte sono le opinioni su come si sarebbe dovuta affrontare questa seconda ondata epidemica, già preannunciata in qualche modo quando eravamo ancora in piena prima ondata. Nessuno si è risparmiato di dire la propria su una terribile realtà che si sta pian piano trasformando in un incubo senza apparente uscita.

I lavoratori che si trovano adesso a sottostare a nuove restrizioni in questi giorni stanno scendendo nelle piazze delle capitali italiane, e non solo, per manifestare le loro paure. La paura di chiudere attività per cui si sono fatti sacrifici da una vita, il terrore di non rialzarsi dopo questa seconda stangata di chiusure forzate e, spesso, illogiche.

Si deve fare il male di pochi per il bene di tutti. Sembra che questa sia diventata la legge imperante. Sacrificare alcune attività per salvaguardare la salute di un Paese intero e un sistema sanitario che rischia, di nuovo, il collasso. Adesso non sappiamo ancora dire se queste misure restrittive possono essere davvero utili allo scopo. La risposta l’avremo tra qualche settimana.

Intanto le proteste si accendono, l’indignazione dei lavoratori sale e le manifestazioni in giro per l’Italia si moltiplicano. Un cittadino ha il diritto di dimostrare il proprio risentimento verso decisioni prese dall’alto senza chiedere l’opinione dei diretti interessati o di come avrebbero reagito. Siamo tutti vicini alle categorie più colpite.

Ma da Torino sono arrivate immagini che mai avremmo voluto vedere. Nella notte del 26 ottobre un gruppo di facinorosi ha letteralmente assaltato le vetrine di alcuni negozi in centro. Assaltato, distrutto, infranto vetri di esercizi commerciali di proprietari che la crisi economica la stanno vivendo per primi, già da mesi.

È così dunque che vogliamo combattere questa crisi mondiale? Arrecando danni a già chi è in ginocchio?

La rabbia di un popolo per un futuro incerto, che mette paura anche a chi forse ancora nega l’intera situazione, si fa fatica a contenere. Ma non si risolve il problema nemmeno con atti di violenza gratuita come quelli che le immagini di tg e siti internet ci hanno mostrato nelle scorse ore.

La soluzione alla pandemia sembra lontana. Il ritorno a una parvenza di normalità resta ancora una accesa speranza che tutti dovremmo continuare a coltivare, così come la nostra civiltà.

Ci troviamo tutti nella testa tempesta, come più volte ricordato anche nei mesi passati, ma su imbarcazioni diverse. La bussola però che dovrebbe condurci sempre, e tutti, è il buon senso.

E questo, almeno, non possiamo permetterci di perderlo.