
Ci sono aspetti della prigionia delle donne nei lager che raramente trovano spazio nelle pagine dei libri pubblicati dagli storici. Uno di questi è il ciclo mestruale.
Eventi importanti e significativi come le mestruazioni, sono stati trattati dalla storiografia in modo superficiale e sporadico e, se menzionati, lo sono stati solo dal lato medico-scientifico solo per argomenti riguardanti la fertilità.
Nei lager nazisti le donne hanno affrontato l’argomento con vergogna gestendolo in maniera difficile e disagiata. È un tema duro e doloroso, portato in evidenza solo recentemente dalla storica britannica Jo-Ann Owusu che ha deciso di parlarne sulla rivista History Today, raccontando cosa significasse per le donne prigioniere nei campi di concentramento avere il ciclo.
Era un vero e proprio incubo. Dopo la deportazione nei campi, a causa della malnutrizione e dello shock, un numero significativo di donne non ha più avuto il ciclo. Molte avevano paura che questa amenorrea le portasse a essere sterili per sempre, anche un domani se fossero sopravvissute ai campi.
L’articolo di Owusu riporta il ricordo di Charlotte Delbo, partigiana francese, deportata, sopravvissuta di Auschwitz, di una discussione avvenuta in una stanza piena di donne ai tempi della prigionia:
È sconvolgente non avere il ciclo… inizi a sentirti più vecchia. Timidamente, Irene chiese: “E se dopo non tornassero mai più?” Sentendo quelle parole, un’ondata di orrore ci travolse tutte. Le cattoliche si fecero il segno della croce, altre recitarono lo Shemà (una preghiera della liturgia ebraica). Tutte cercarono di esorcizzare questa maledizione alla quale i tedeschi ci avevano condannate: l’infertilità. Come dormire dopo tutto questo?
Jo-Ann Owusu parla di perdita dell’identità femminile perché tra i capelli rasati, il corpo che perdeva le sue forme e l’amenorrea si faceva fatica a sentirsi donne. Ma oltre a questi fattori psicologici ed emotivi ci furono anche dei seri problemi pratici. Infatti chi continuò ad avere le mestruazioni dovette affrontare le atroci condizioni igieniche dei campi. Le donne non avevano le pezze di stoffa e non potevano lavarsi; erano senza la biancheria intima. Lottavano per trovare un pezzo di stoffa o pezzi di carta per tamponare il flusso e, se trovavano degli stracci, erano costrette a nasconderli sotto il materasso per paura che li rubassero.
Jo-Ann Owusu spiega che dopo la guerra, le donne che videro ritornare il loro ciclo mestruale lo festeggiarono come il ritrovamento della loro identità e libertà.
Un segno che portava non solo dalla prigionia alla liberazione, ma soprattutto verso la ricostruzione dell’essere donna.
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