Prima autrice di noir tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, Carolina Invernizio si meritò il titolo di “madre del giallo all’italiana “.
Chi era…

L‘autrice Carolina Invernizio nasce il 28 marzo del 1951 a Voghera, anche se la data di nascita da lei stessa dichiarata è 1858. Figlia di Ferdinando Invernizio e Anna Tettoni.

Si trasferì a Firenze, qui con le tre sue sorelle frequenta la Scuola Normale, paragonabili alle Scuole Magistrali di oggi.

A scuola rischia l’espulsione per aver pubblicato a soli 15 anni un racconto dal titolo “Amore e morte”. Da qui si vede subito la sua predisposizione alla scrittura di vicende tragiche e biechi sentimentalismi e questi l’accompagneranno nel suo stile.

Il primo romanzo

Pubblica il suo primo romanzo nel 1877, dal titolo Rina l’Angelo delle Alpi  con l’editore Salani di Firenze al quale seguiranno altri centoventi romanzi.

Tutti sono incentrati sui temi della perdizione e del castigo, apparsi per la maggior parte in appendice ai giornali quotidiani come L’Opinione Nazionale di Firenze  e la Gazzetta di Torino.

Il legame con l’editore Salani

Carolina Invernizio nel 1907 si lega in esclusiva a Salani con il quale aveva già pubblicato parecchi dei suoi libri.

Per lei Salani crea una collana specifica “I Romanzi di Carolina Invernizio”.

L’autrice è legata a Salani solo da rapporti lavorativi ma anche da una forte amicizia, come dimostra una dedica scritta su uno dei suoi romanzi dal titolo I Ladri dell’Onore nel 1894.

Carolina e l’amore

Tra un tenente dei bersaglieri, Marcello Quinterno e Carolina scocca l’amore. La coppia andrà ad abitare proprio di fronte alla tipografia Salani.

Dopo il ritorno del marito dalla guerra d’Africa, nel 1986, si trasferiscono a Torino dove a lui è stata assegnata la direzione del Regio Panificio Militare.

Carolina, tenera madre di Marcella, e moglie esemplare, molto devota alla Madonna si concede come svago solo un po’ di mondanità, conversazioni eleganti e serate a teatro, sempre attenta alla moda, con ampi cappelli piumati ed abiti a strascico.

Il feuilleton all’italiana

Il suo romanzo tipico viene definito dal suo editore, un romanzo storico sociale, in realtà ha ben poco di storico e sociale.

I temi trattati non sono affatto leggeri.

Ridotti alla mera lotta incessante tra Bene e Male, dove quest’ultimo spesso vince, salvo venire sopraffatto in un alternarsi di storie dove i protagonisti vivono delitti, tradimenti, ritorsioni, folli passioni, odio letale, il perdono non figura quasi mai.

Sono questi gli ingredienti dei suoi romanzi che fanno sì che sia così popolare tra le classi meno abbienti e il popolino perché l’autrice scrive in una prosa di facile lettura accessibile anche a un pubblico semianalfabeta.

Figlia del suo tempo e della sua classe, politicamente incorretta, reazionaria, spensierata, penna peccaminosa che le costò la messa all’indice da parte del Vaticano, ai giorni nostri avrebbe lo stesso successo.

I suoi romanzi sbarcarono all’estero

I libri di Carolina Invernizio sono tradotti e venduti negli Stati Uniti e in America Latina e tra il 1968 e il 1985 l’editore Lucchi di Milano riedita quasi tutti i suoi titoli.

Le opinioni della critica

Carolina Invernizio viene chiamata dalla critica con vari epiteti, “conigliesca creatrice di mondi”, “l’onesta gallina della letteratura popolare” e “Carolina di servizio” per la sua popolarità fra le domestiche.

Alle signorine perbene i suoi libri erano vietati.

La sua morte

Il 27 novembre del 1916, morì a Cuneo di polmonite.

Nel testamento olografo redatto a Govone nel 1903, chiede al marito di non essere seppellita prima di quattro giorni dalla sua morte, di non esporre il suo cadavere.

Chiede di annunciare i suoi funerali su il Popolo, la Stampa, la Gazzetta di Torino e il Fieramosca di Firenze.

Tutti i giornali ai quali collaborava come giornalista.

Sulla tomba al cimitero di Torino, sopra alla statua in bronzo creata dallo scultore Edoardo Robino, l’editore fece mettere una corona di bronzo con una scritta esagerata ma anche profetica, “Il tuo nome non morirà”.

Milano e Cuneo le hanno dedicato una strada.