Termina oggi alla Biennale di Venezia la sessantesima esposizione internazionale d’arte Stranieri ovunque – foreign everywhere curata dell’artista brasiliano Adriano Pedrosa. Tra le prime sale, una parete è dedicata a Rosa Elena Curruchich.

Rosa Elena Curruchich. La mostra di arte contemporanea di quest’anno ha un titolo molto ampio e per nulla banale, all’interno del quale viene analizzato il tema dello straniero in quanto diverso, unico o strano. Non solo si intende che ovunque si vada ci siano stranieri, ma anche che ovunque noi andiamo nel profondo saremo stranieri, talvolta anche nel nostro Paese. 

La biennale.

La mostra è divisa tra: l’arsenale – all’interno del quale il curatore ha personalmente scelto le opere da inserire seguendo il proprio gusto personale. I giardini, dove si trovano i padiglioni delle diverse nazioni del mondo che hanno presentato il proprio progetto. E il padiglione centrale diviso in nucleo contemporaneo e storico. Il nucleo contemporaneo è molto interessante per la varietà di artisti e tematiche che presenta. Pedrosa, in una dichiarazione, ha sottolineato l’importanza degli artisti indigeni alla mostra. Presenti sia nell’arsenale che in maniera più consistente nel padiglione centrale, a partire dalla facciata dell’edificio stesso, decorato da un murale monumentale coloratissimo, molto apprezzato da bambini e critici per la sua fantasia.

Gli indigeni.

Tra le prime sale dedicate alle opere indigene vediamo una parete dedicata a Rosa Elena Curruchich (Guatemala, 1958-2005). Rosa è stata un’artista Maya kaqchikel, il suo sogno era quello di seguire le orme familiari e diventare una pittrice. Purtroppo, la società in cui è cresciuta era fortemente patriarcale, per questo le donne difficilmente venivano riconosciute come artiste indipendenti. Oltre al marito che non appoggiava il suo desiderio.  Il formato in miniatura delle opere è in gran parte dovuto alla possibilità di poter lavorare in segreto. Allo stesso tempo le piccole dimensioni permettevano un agile e discreto trasporto durante il periodo della guerra civile in Guatemala (1960-1996).

Cornici in miniatura.

 Le piccole cornici aprono una finestra su un mondo che non ha mai avuto voce prima di allora, la vita quotidiana delle donne indigene. Attraverso scene meticolosamente dettagliate, Rosa documenta le usanze tradizionali come le feste religiose e i lavori artigianali. Vuole staccarsi dall’idea commerciale e stereotipata, ponendo attenzione sul ruolo sociale delle donne nel suo paese. Cerca di descrivere l’importanza dei lavori che svolgono, sia solitari che di comunità. I paesaggi mostrano la rigogliosa natura del Guatemala, con fiori colorati, erba alta e uccelli che volano nel cielo azzurro, macchiato da nuvole bianche e rosa che creano un’ambientazione da favola. I quadri ci trasmettono un senso di serenità e gioia grazie alla natura e i colori usati. Rosa testimonia una cultura affascinante e riesce a raccontare la parte migliore e più forte in grado di sopravvivere a oppressione sociale e politica. 

Immagine di copertina di VeneziaNews

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