La notte del 26 aprile del 1986 è ricordata tristemente come la notte del disastro nucleare avvenuto a Chernobyl, in Ucraina settentrionale, le cui conseguenze sono state devastanti, soprattutto per la salute umana. Errori umani, falle tecniche e difetti strutturali hanno causato un’esplosione di fronte alla quale ancora oggi si resta sgomenti.

Siamo a cavallo tra il 25 e il 26 aprile 1986, all’interno della centrale nucleare Lenin. La centrale nucleare, da sola, è in grado di produrre il 10% dell’energia elettrica dell’Ucraina. Sono in corso dei test di sicurezza su uno dei quattro reattori. Test come quelli sono considerati quasi di routine poiché già effettuati in passato. Ma qualcosa, quella notte, va storto.

Il test

Il reattore protagonista delle operazioni di test è il numero 4: il personale addetto simulò un black out. Diminuirono dunque la potenza del reattore. Questo per testare i gruppi elettrogeni diesel e la loro capacità di pompare acqua di raffreddamento nel reattore. La potenza del reattore, venne diminuita gradualmente. Ma anche in questo caso il nemico fu il tempo e una buona dose di scelleratezza. Il test, infatti, slittò di 10 ore. Tuttavia, il reattore, per tutto quel lasso di tempo, si trovò in condizioni instabili. La sua potenza passò da 1.500 MWt a 30 MWt. Il test tuttavia proseguì. Per far riaumentare la potenza, vennero prima rimosse le barre di controllo e poi reinserite. Una manovra disperata e sciatta.

La tragedia era oramai inevitabile. Seguirono due esplosioni: nella seconda, il coperchio di 1.000 tonnellate del combustibile nucleare venne lanciato in aria. Questo rilasciò subito radiazioni, scatenando un incendio che disperse isotopi radioattivi. La grafite del nocciolo bruciava. Il disastro ormai non poteva più essere fermato.

Le vittime

Le prime vittime sono quelle del personale addetto alla centrale. Ma ancora oggi non possiamo avere una stima precisa di chi, per via di quel disastro, ha perso la vita a causa di tumori tra uomini, donne e bambini. Greenpeace stima le morti addirittura fino a 6000000 di persone nel mondo.

Gli abitanti di Pripyat, città situata a 3 km dalla centrale, si radunarono sul ponte della ferrovia. Volevano assistere a quello che pensavano fosse uno spettacolo. Ma intanto la brezza notturna si alzava, portando con sé pericolose radiazioni. E, infatti, nessuna delle persone presenti sul ponte è sopravvissuta per poter raccontare quanto visto quella fatidica notte.

La serie tv

Ed è proprio nella serie tv Chernobyl che vediamo quelle persone ferme sul ponte, la confusione del test malriuscito, la volontà iniziale del governo sovietico di minimizzare l’accaduto o di mettere tutto a tacere, la morte e la tragedia.

Chernobyl è una miniserie statunitense e britannica che conta 5 puntate. Ideata e sceneggiata da Craig Mazin e diretta da Johan Renck, è stata trasmessa su Sky Atlantic dal 10 giugno all’8 luglio del 2019. Una serie dura, cruda, che non risparmia dolorosi particolari. Una serie che sembra apocalittica ma che invece ci fa riflettere sul “dannazione, questo è accaduto per davvero.”

Vincitrice di ben tre Emmy nel 2019 e di due Golden Globe nel 2020, Chernobyl non va guardata con la leggerezza di una fiction-documentario. È piuttosto la storia degli uomini che quella Storia l’hanno vista con i propri occhi. A partire dal protagonista Valerij Alekseevic Legasov, interpretato da un intenso Jared Harris. Legasov si tolse la vita proprio a causa del silenzio a cui era stato obbligato dal governo sovietico affinché non rivelasse scomodi particolari.

Ecco, il tempo del silenzio è però finito. Di disastri come questo se ne deve parlare. Al di là delle colpe, degli errori, della verità non raccontata, sono tragedie come queste che dovrebbero insegnare a non ricadere più negli stessi errori. Una frase fatta, che però occorre sempre tenere a mente.

Tra i personaggi ricordiamo quello di Ulana Jurivna Khomjuk, a cui presta il volto Emily Watson. Personaggio immaginario che però rappresenta e raffigura tutti quegli scienziati che hanno indagato sul disastro, cercando di scongiurarne il più possibile le conseguenze.

Menzione a parte per la storia vera e umana di due persone che si sono amate e che la tragedia ha poi diviso. Vasily e Lydmila Ignatenko. Il primo, vigile del fuoco, accorso subito dopo l’esplosione alla centrale per spegnere l’incendio. In realtà, senza esserne cosciente, stava già morendo. La seconda, sua moglie, che visse con intensa agonia gli ultimi giorni di vita del suo sposo e che portava in grembo il loro bambino. Un bambino che non sopravvisse a causa delle radiazioni che aveva assorbito. Una storia umana che rende più umana l’intera vicenda.

Storie dunque di scienziati, di gente comune, che come molto spesso accade si intreccia e ci racconta le varie sfumature di un accaduto.

Non c’è spazio per i buoni sentimenti, in Chernobyl. Solo per la rabbia e lo smarrimento.

E poi c’è spazio per quella domanda che sempre sorge di fronte a una tragedia: come è potuto accadere

Le risposte sono molteplici. Le vittime anche, purtroppo. Ci si ammala ancora oggi, a causa di quella nube radioattiva che, il 26 aprile del 1986, ha avvelenato il cielo e la terra.