La vera storia dell’incontro fra due rette parallele

L’incontro di due personalità è come il contatto fra due sostanze chimiche; se c’è una qualche reazione, entrambe ne vengono trasformate.

Quanto affermato da Jung è proprio ciò che accade in The Lady in the Van, film del 2015 scritto da Alan Bennett e diretto da Nicholas Hytner.

Il lungometraggio racconta la vera storia dell’amicizia nata fra il famoso scrittore Alan Bennett e una scorbutica ed eccentrica senzatetto di nome Mary Shepherd, la quale negli anni ’70 arriva col suo furgone (sua unica dimora) a Camden, borgo londinese dove abita Bennett. Per sottrarla alle angherie degli abitanti alto-borghesi, che non vedono di buon occhio la presenza del furgone davanti alle loro dimore, lo scrittore decide di far parcheggiare Mary nel vialetto di casa sua, dove la donna rimarrà per ben quindici anni, fino alla morte. Durante questa “convivenza” Bennett si divide fra il proprio lavoro, le cure alla madre malata e l’assistenza a Mary. Nonostante si rifiuti di ammetterlo, lo scrittore si affeziona alla senzatetto e instaura con lei una crescente amicizia, anche se riuscirà a scoprire tutto il passato di Mary solo dopo la sua morte…

Cosa accomuna un drammaturgo di successo a un’anziana vagabonda? Apparentemente nulla, eppure questi due personaggi al primo sguardo così diversi, queste due rette parallele, si incontrano e convivono per quindici lunghi anni, costruendo un rapporto molto importante per entrambi. Bennett rimane colpito fin da subito da questa donna, eccentrica e scorbutica ma anche taciturna e misteriosa, forse una di quelle persone che, come scrive John Green, “non sai mai se stanno danzando in un sogno ad occhi aperti o se stanno portando il peso del mondo”. Nel caso di Mary Shepherd sono vere entrambe le cose. La senzatetto ha infatti un tragico passato alle spalle: il suo vero nome è Margaret Mary Fairchild, apparteneva alla borghesia ed era un’eccellente pianista; aveva tuttavia scelto di diventare suora, ma il convento era stato crudele con lei e l’aveva costretta ad abbandonare la sua passione per la musica in nome della fede, conducendola a un esaurimento nervoso. Fuggita dall’ospedale psichiatrico in cui il fratello l’aveva fatta rinchiudere, la donna ha un incidente mentre è alla guida: un motociclista si scontra con il suo furgone e muore. Margaret si sente responsabile nonostante non abbia colpa, fugge e inizia a vivere in incognito per paura di essere arrestata. Così, respinta sia dal suo convento che da suo fratello, Mary si ritrova a vivere sola, nel suo mondo, portando sulle spalle il peso della sua dolorosa storia. La Shepherd è un personaggio estremamente complesso, che tocca lo spettatore nel profondo e lo spinge a riflettere, suscitando da un lato tristezza e pena, dall’altro simpatia, stima e ammirazione: ella si rende infatti portatrice del silenzioso grido di dolore di molte donne, ma anche del loro grande coraggio e forza. Inoltre, come ogni individuo o elemento percepito come diverso, Mary funge da specchio per ciascuno di noi. La senzatetto sembra venire da un altro mondo, ma in realtà proviene da quella stessa comunità che ora la esclude, che l’ha resa un capro espiatorio per poter mantenere la propria immagine ordinata e splendente. Mary non è diversa dagli altri, è solo una donna vittima della società e delle sofferenze della vita e che ha il coraggio di essere se stessa: ognuno di noi potrebbe essere Mary.

Bennett in qualche modo percepisce che questa diversità è solo apparente e, al contrario degli altri, si avvicina a Mary: ed ecco che dall’incontro fra due anime estremamente differenti eppure egualmente grandi, fra due artisti che conoscono ognuno a modo suo la solitudine, nasce una delle più belle amicizie mai raccontate. Il drammaturgo scoprirà tutta la verità solo dopo la morte di Mary, ma questo non ha importanza: Bennett è incuriosito dalla vagabonda ma non pone troppe domande, la cerca e la aiuta ma non è incline a toccarla; Mary non si confida, ma si appoggia allo scrittore e gli dimostra affetto. Il loro rapporto è così, costruito su una silenziosa ma affettuosa presenza, che li trasforma e arricchisce entrambi, perché, al di là di tutte le differenze, forse è proprio questo ciò che conta e di cui tutti abbiamo bisogno. “Some people stay with you”, recita la locandina del film: alcune persone stanno con te, sia nel senso che ti stanno accanto, come fa Bennett con Mary, sia nel senso che diventano parte di te e ti trasformano, come fa Mary con Alan. Il drammaturgo riesce a convincere la donna malata ad accettare le cure e la fa sentire accettata e amata, mentre la vagabonda riesce a sciogliere la corazza e le resistenze dello scrittore, che passa dal non voler toccare la maleodorante Mary al voler essere lui a riordinarne gli averi nel furgone dopo la sua morte.

Dopo quest’analisi tematica, vorrei dire due parole anche sull’aspetto tecnico di questo film. La sceneggiatura di Alan Bennett è magistrale, perché racconta in modo ironico e talvolta visionario una storia a tutti gli effetti drammatica, tratteggiando con un bonario sorriso sia se stesso sia la sua stramba amica. Infine, l’interpretazione di Maggie Smith è assolutamente eccezionale, riuscendo a trasmettere tutta la complessità e ogni sfumatura del personaggio di Mary Shepherd/Margaret Fairchild.

Concludo consigliando a tutti questo film, in quanto storia che parla al cuore e molto attuale riguardo ai temi della diversità, dell’emarginazione, dell’amicizia e della complessità umana.