Se possedete un account Netflix e controllate per curiosità chi si trova al primo posto dei più visti in questo momento, noterete che La regina degli scacchi ha superato un’altra rinomata corona presente in The Crown. Vediamo perché.
The Queen’s Gambit (letteralmente il gambetto della regina, una famosa apertura nel gioco degli scacchi) è una miniserie che ha conquistato in fretta sia pubblico che critica. Tratto dal romanzo omonimo di Walter Trevis del 1983, La regina degli scacchi mette in scena le vicende personali e la passione per il gioco di Beth Harmon, una prodigiosa e introversa orfana che dopo la morte della madre cresce in un orfanotrofio del Kentucky. Segnata da quella tragedia e da tutto ciò che le accade ancora attorno, Beth scopre il mondo degli scacchi grazie a Bill Camp, custode della struttura. Comincia a capire e a muovere i pezzi su una scacchiera in modo quasi naturale. Il suo rifugio dal mondo. In orfanotrofio Beth inizia però anche la sua dipendenza dai tranquillanti che l’aiutano, in un certo qual modo, a visualizzare nella testa le mosse per vincere le partite. Cresciuta, viene adottata da una coppia già in crisi, tant’è che si ritroverà ben presto da sola con la madre adottiva che, oltre ad accompagnarla negli svariati tornei di scacchi, le farà ereditare la dipendenza da alcol. Beth gioca e vince. È un vero prodigio ma un disastro sul lato umano che la porterà più volte e ricadere nelle dipendenze, fino alla partita finale che le farà rimettere in discussione ogni cosa e trovare per sempre se stessa.
Vi dico la verità: la trama e come si evolverà la storia è piuttosto scontata. Lo spettatore può intuire facilmente dove gli sceneggiatori andranno a parare. E allora cosa ha fatto di questa serie un successo inaspettato?
Gli scacchi.
Chi di voi sa giocarci alzi la mano. Io ho avuto difficoltà a seguire le svariate partire disseminate nelle puntate eppure le ho guardate con entusiasmo, soprattutto l’ultima… nemmeno fosse stata la finale di una partita mondiale di calcio. Eppure ho capito che gli scacchi, questo incredibile gioco di strategie e arguzia, contengono un mondo e una storia che non si è mai perso nel tempo. Si colloca la data di nascita di questo gioco addirittura al VI secolo d.C. Un gioco di passione, competenza, intelligenza, dedizione e affermazione di sé, materia trattata con grande armonia ed empatia, capace di attrarre anche chi, come me, non osa immaginare ancora come si muova una torre o un pedone.
Gli anni ’60 e la condizione delle donne
La miniserie è ambientata tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60. Ancora casalinghe per lo più, le donne iniziano però a maturare una maggiore coscienza di se stesse e vogliono, si impongono, per ottenere un ruolo più soddisfacente. Ma le donne, le madri, che Beth ha nella sua vita sono donne fragili, costrette dalle rispettive dipendenze (la madre naturale vittima di un abbandono d’amore che la rende folle e la madre adottiva della dipendenza da alcol) a lasciarla prima del tempo. Due figure che segnano la protagonista e dalle quali eredita forse la parte peggiore di loro. Eppure Beth, quando gioca a scacchi, torna nella sua reale dimensione, torna la donna in un mondo di uomini che vuole ottenere quel posto nella società che le spetta. Sa bene che soltanto seduta davanti a una scacchiera può ritrovare e affermare se stessa, quel suo vero io frammentato dall’esistenza che troppo spesso si è trovata a perdere.
Passione/ossessione
Il confine tra una passione e una ossessione è molto labile. Ci appassioniamo a qualcosa nella vita e a questa ci dedichiamo anima e corpo, dandoci dei punti di arrivo, senza pensare al fatto che abusando troppo di una passione questa si potrebbe trasformare presto in pericolosa ossessione. Beth ama giocare a scacchi. È la sua isola felice dopo tanti patimenti, l’unico posto sia fisico che mentale dove può controllare ogni cosa, senza soffrire, senza permettere alla vita di devastarla di nuovo. Beth ama vincere. In poche mosse disorienta l’avversario e lo batte. Vuole la vittoria, anche se non sempre nella vita siamo destinati a vincere. Eppure gli scacchi sono per lei vittoria e vita. L’unico aggancio di appartenenza a un mondo che non le va proprio a genio.
Costumi e fotografia
Se c’è una cosa che non si può non amare di questa serie sono i costumi, il trucco e le acconciature. In perfetto stile anni ’60, gli abiti della Beth adulta richiamano quasi le stampe geometriche della scacchiera, per passare poi ai vestiti a tinta unita, morbidi ed eleganti, provocanti, come la moda giovanile di quegli anni che grida alla libertà di espressione. I continui primi piani della protagonista e dei suoi avversari di gioco ci costringono quasi a entrare nella loro mente, attraverso i loro occhi decisi o spaesati a seconda della partita.
Anya Taylor-Joy
Lasciata per ultima in questa fin troppo breve lista, l’attrice che ha dato il volto a Beth Harmon è semplicemente perfetta. Calata nel ruolo, bellissima, permette attraverso la sua interpretazione di amare il personaggio anche quando diventa l’anti eroe di se stesso. Coi suoi grandi occhi e la parrucca rossa, l’espressione da “domino il mondo ma allo stesso tempo lo temo”, la Taylor- Joy ha fatto suo il personaggio di Beth divenendo il pilastro dell’intera serie. Sa come muovere le dita su una scacchiera, come guardare lo spettatore ora con aria trasognata, ora sicura di sé, ora vittima delle dipendenze. È la contrapposizione tra la sua bellezza perfetta e l’imperfezione del personaggio che incarna a renderla ipnotica. Tanto di cappello. Una carriera da seguire con interesse.
Potrei scrivere molto altro su questa serie: il rapporto con gli uomini della protagonista, le cadute, le vittorie, le rivincite, gli abbandoni, gli amori mancati, le amicizie, i viaggi. Eppure posso solo aggiungere che la vita è per davvero tutta una partita a scacchi fatta di mosse decisive, ponderate e studiate, di passioni e ossessioni. E quando vedi una serie tv del genere non puoi pensare ad altro che la bellezza passa anche da uno schermo.
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