Ai tempi di Girardengo, Belloni, Bottecchia correva su strada anche una donna, la bolognese Alfonsina Strada. Alfonsina Strada è stata la pioniera del ciclismo femminile italiano. Nata a Castelfranco Emilia nel 1891 da una famiglia di contadini, la passione per le due ruote inizia all’età di dieci anni, quando nel 1901 suo padre portò a casa una bicicletta malandata ma funzionante e fu proprio con questa che Alfonsina inizia a pedalare.

È amore a prima vista. Quel vecchio rottame consente alla giovane Alfonsina di assaporare la libertà e allontanarsi dalla vita faticosa della campagna che a lei non piace. La domenica Alfonsina dice ai genitori che va alla vicina parrocchia, in realtà partecipa ad alcune gare, a volte fingendosi uomo, perché le donne non sono ammesse, collezionando diverse vittorie. Per la gente di Castelfranco era diventata “il diavolo in gonnella”. Amici, parenti e genitori non vedevano di buon occhio la passione della figlia e si opposero fermamente. Alla fine le dissero che doveva sposarsi e farla finita con certe manie sportive.

Così nel 1915, ad appena 24 anni, Alfonsina si sposò con il cesellatore Luigi Strada: un uomo intelligente, moderno, senza pregiudizi, che anziché ostacolare la passione della moglie la approvò e la appoggiò in pieno. Si capì subito il giorno del matrimonio quando ricevette in dono dal marito una bicicletta nuova fiammante, con i manubri ricurvi all’indietro proprio come occorreva per gareggiare. L’anno successivo la coppia si trasferì a Milano e Alfonsina cominciò ad allenarsi regolarmente sotto la guida del marito.

Nel 1924 Emilio Colombo, direttore della “Gazzetta dello Sport” ammise Alfonsina al Giro d’Italia. A quei tempi le strade non erano asfaltate, le biciclette pesavano almeno venti chili, il cambio di velocità non esisteva. Fu un successo che Alfonsina consolidò durante la gara: e non per i risultati ottenuti, ma per aver saputo dimostrare che anche le donne potevano compiere la immane fatica.

Partì con la sua bicicletta da uomo, con i suoi calzoni alla zuava, con il viso buono e sorridente, compie regolarmente le prime lunghissime quattro tappe del giro: la Milano-Genova (arrivando con un’ora di distacco dal primo ma precedendo molti rivali), la Genova-Firenze (in cui si classifica al cinquantesimo posto su 65 concorrenti), la Firenze-Roma, (giungendo con soli tre quarti d’ora di ritardo sul primo e davanti ad un folto gruppo di concorrenti), e la Roma-Napoli (dove conferma la sua resistenza).

Nell’ottava tappa l’Aquila-Perugia, però, pioggia e vento flagellano il percorso già irto di enormi difficoltà per la impraticabilità delle strade del sud; Alfonsina, vittima di numerose cadute e forature giunge al traguardo fuori tempo massimo.

A quel punto i giudici si dividono in due fazioni: chi vuole estrometterla e chi è favorevole a farla proseguire. Il direttore della Gazzetta, Emilio Colombo, che aveva permesso la partecipazione di Alfonsina al Giro e aveva capito quale curiosità suscitasse nel pubblico la prima ciclista italiana della storia, propone un compromesso: ad Alfonsina sarà consentito proseguire la corsa, ma non è più considerata in gara. Lei acconsente e prosegue il suo Giro. All’arrivo di ogni nuova tappa viene accolta da una folla che la acclama, la festeggia, con calore e partecipazione.

Negli anni successivi viene negata ad Alfonsina la possibilità di iscriversi al Giro. Lei però vi partecipa ugualmente per lunghi tratti, come aveva fatto al suo esordio, conquistando l’amicizia, la stima e l’ammirazione di numerosi giornalisti, corridori e degli appassionati di ciclismo che continuano a seguire le sue imprese con curiosità, rispetto ed entusiasmo.

Partecipa a numerose altre competizioni finché nel 1938, a Longchamp, conquista il record femminile dell’ora, (35,28Km).

Rimasta vedova di Luigi Strada, Alfonsina si risposa a Milano, il 9 dicembre del 1950, con un ex ciclista, Carlo Messori, con l’aiuto del quale continua nella sua attività sportiva fino a che non decide di abbandonare lo sport agonistico.

Ma la sua passione per la bicicletta non viene meno. Apre, infatti a Milano, in Via Varesina, un negozio di biciclette con una piccola officina per le riparazioni. Rimasta di nuovo vedova nel 1957, manda avanti da sola il negozio. Ogni giorno, si reca al lavoro con la sua vecchia bicicletta da corsa indossando una gonna pantalone.

Abbandonerà la sua bicicletta solo molti anni dopo, per una moto Guzzi 500CMC.

Muore il 13 settembre del 1959, all’età di 68 anni, causa di un incidente in moto.