Nonostante oggi i crimini e le atrocità commesse nei confronti dei Nativi Americani ci sembrano appartenere a un passato ormai lontano, la realtà che essi vivono è molto diversa da come ce la immaginiamo. Soprattutto per quanto riguarda le donne e le ragazze native americane, le quali scompaiono ogni anno misteriosamente venendo poi ritrovate brutalmente uccise da parte di suprematisti bianchi.

Si tratta di una strage che da decenni si consuma nel silenzio e nell’indifferenza. Solo nel 2019, a seguito delle pressioni di molte associazioni e denunce di gruppi nativi, è stato pubblicato un report su queste sparizioni misteriose e omicidi di donne native americane.

Secondo l’inchiesta condotta in Canada, il Paese nel quale si consumano prevalentemente queste tragedie, la polizia ha registrato un totale di 1181 vittime in un arco di tempo compreso tra il 1980 e il 2012.

Se già questo numero ci può sembrare estremamente alto, si pensa che quello complessivo di tutte le donne native scomparse e/o uccise possa raggiungere, addirittura, la cifra sconvolgente di 4000.

Il numero esatto delle vittime non lo si conoscerà mai, anche perché molte famiglie non denunciano la scomparsa di queste donne per paura di ulteriori violenze di stampo vendicativo.  

Un altro tassello che si va ad aggiungere a questo scabroso mosaico sono il numero di casi irrisolti, i cosiddetti cold case: 225. Molte famiglie alle quali è stata portata via una madre, una sorella, una figlia chiedono la riapertura di questi casi per far sì che venga fatta giustizia.

Ma perché tutta questa ritrosia nell’andare in fondo alla vicenda?

È una domanda che nasce spontanea e che suscita molta rabbia, come se esistessero omicidi di serie A e omicidi di serie B.

Indagini condotte frettolosamente e superficialmente, parzialità a sfondo razzistico sono alcuni degli elementi riscontrati nell’inchiesta.

La commissione d’inchiesta ha, inoltre, appurato che “le violenze su queste donne trovano ragione nella inazione dello Stato e nel colonialismo con le relative ideologie connesse, basate su una presunta superiorità”.

La morte di Tina Fontaine

Era il 2014. Tina era una ragazzina di appena 15 anni. Fu ritrovata senza vita avvolta in un sacco nelle gelide acque del Red River, il Fiume Rosso che attraversa la provincia canadese di Manitoba, una delle aree più povere e violente del Paese.

Quando il suo cadavere venne ripescato, Tina era scomparsa già da una settimana. Il corpo era in avanzato stato di decomposizione, il che rese difficile la sua identificazione.

Ci vollero quattro ore intere per capire che il corpo era quello di una giovane donna e Tina fu identificata grazie ad un tatuaggio sulla schiena: due ali d’angelo.

Il suo assassino, Raymond Cormier (uomo bianco di 53 anni), venne incriminato con l’accusa di omicidio di secondo grado. Venne poi processato e giudicato non colpevole nel 2018.

Rinelle Harper, la sopravvissuta

Emblematico e terribile è il caso di Rinelle Harper, studentessa sedicenne, la cui testimonianza saltò agli onori della cronaca abbattendo quel muro di indifferenza e di omertà nei confronti di queste sparizioni e uccisioni.

Rinelle fu ripescata nuda e quasi in fin di vita tra i fiumi Assiniboine e Red River. Prima di essere gettata nel fiume, Rinelle era stata avvicinata in un luogo isolato da due uomini suprematisti bianchi e stuprata ripetutamente.

Riuscita a ritornare a riva, fu violentata e aggredita di nuovo fino a perdere completamente i sensi. I suoi assalitori la credettero morta e se ne andarono.

Rinelle si è salvata perché la temperatura freddissima del fiume aveva rallentato il suo metabolismo. Una volta ripresasi, riuscì a tornare a casa e raccontò l’inferno che aveva vissuto.

Le parole di Mary Crow-Dog

Concludo questo articolo prendendo in prestito le parole di Mary Crow-Dog, una donna Lakota. Mary ha conosciuto la violenza e il razzismo fin da piccolissima.

All’interno del suo libro “Donna Lakota. La mia vita di Sioux”, ci fa capire tutto ciò che le donne native americane sono costrette ad affrontare nel silenzio e nell’indifferenza di tutti.

Inoltre, l’autobiografia di Mary presenta – allo stesso tempo – un vero e proprio spaccato della vita condotta all’interno delle riserve.

A quindici anni fui violentata. Se avete in mente di nascere assicuratevi di nascere bianchi e maschi, gli stupri nelle riserve sono una grande tragedia, le vittime sono esclusivamente ragazze indiane di sangue puro (full blood) troppo timide e spaventate per fare denuncia. Sino a pochi anni fa, lo “sport” preferito degli sbirri bianchi, statali e federali, consisteva nell’arrestare giovani donne indiane con l’accusa di ubriachezza e disturbo (anche se erano del tutto sobrie) così da poterle portare nel reparto ubriachi delle loro prigioni dove le violentavano. Talvolta invece costringevano le ragazze ad entrare nell’auto della polizia, per portarle in piena prateria e dimostrare cosa sa fare un uomo bianco. Appena terminata la violenza gettavano via la ragazza fuori dall’auto e sgommavano via… Così la ragazza appena stuprata doveva fare 10-15 km a piedi per tornare a casa

Fonti
Bibliografia utile

Mary Crow-Dog, “Donna Lakota. La mia vita di Sioux” (2000, Milano, Marco Tropea Editore)

Filmografia utile
  • River of Silence (Micheal Auger, 2017)
  • I segreti di Wind River (Wind River) (Taylor Sheridan, 2017)