La semplicità non è affatto una questione semplice. Un uomo felice, la commedia che tocca, delicatamente, il grande tema della nostra epoca, la gender identity, respira senza mai affannarsi. Nelle sale cinematografiche italiane dal 9 marzo, per la prima volta insieme due grandi interpreti dell’universo francofono, Catherine Frot e Fabrice Luchini.
Vestono i panni di una coppia sposata da quarant’anni. Lui, Jean, è il sindaco di un piccolo comune francese di 2000 anime, lei, Edith, la brava mogliettina. Nonostante la lunga unione, i due sembrano non riconoscersi più quando Edith/Eddy trova il coraggio per ammettere a Jean che si sente un uomo, ha sempre sentito questo, e vuole esserlo anche concretamente, cambiando sesso. La serietà e accettazione che vediamo negli occhi di Edith/Eddy non trova riflesso nello sguardo allarmato e inquieto di Jean. La campagna elettorale per essere rieletto come sindaco diventa la scusa per tardare l’operazione.
Il personaggio di Jean soffre della sindrome delle apparenze: ancor prima di riflettere su cosa significhi veramente l’inadeguatezza del corpo sofferta da Eddy, ci vuole un piano politico. E non stiamo certo parlando di una politica gauchista, forse è proprio questo il vero merito del film. Jean è un repubblicano, il suo matrimonio quarantennale è proprio il simbolo che suggella la fede del suo partito. Il pericolo non è più la minaccia di divorzio, emblema del nuovo mondo ormai invecchiato, ma uno scardinamento totale dei ruoli maschili e femminili che cercano nuovi modi per affermarsi nel mondo.
Il gruppo di supporto che introduce Eddy alla comunità LGBTQI+ dà spazio a un coro di voci che vive di veridicità. Sono reali queste donne che hanno cambiato sesso, quanto gli uomini che raccontano di aver avuto un bambino in grembo. Cambiare sesso è una cosa naturale come ci mostra la natura, dalle cernie alle chiocciole. Ciò che necessita cambiamento è la mentalità piccolo-borghese che non accetta la naturalità dello stato delle cose. Non a caso, il lungometraggio ha inizio proprio con Edith/Eddy che pronuncia il suono delle vocali: la ricerca della voce. La sua voce maschile, nel corpo che è ancora (all’apparenza) femminile.
Le voci si incontrano, si trovano e si celebrano, in quella palestra dove il gruppo di supporto accoglie Eddy per ciò che è.
Il regista attento
Tristan Séguéla, il giovane regista del film, è sempre stato attento ai temi dell’oggi. Si afferma nel 2013 con Adulteen, lo ritroviamo nel 2017 a dirigere Rattrapage. I suoi lavori ruotano intorno ad una comicità che si nutre dei paradossi contemporanei, smascherando tutte le incertezze che portano, volenti o nolenti, i protagonisti a confrontarsi con qualcosa che anche un sindaco sessantenne deve ancora affrontare: la crescita.
Non c’è crescita senza trasformazione e mentre a Eddy comincia a crescere la barba, è Jean a trasformare i suoi ideali e le sue finte credenze in nome del sentimento: un amore che batte le regole di partito e le apparenze sociali.
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