Dal 2010 l’associazione “FARE X BENE” promuove progetti per la sensibilizzazione, prevenzione e contrasto a ogni forma di abuso e violenza di genere. Accoglie e fornisce assistenza e consulenza legale e psicologica alle vittime. Abbiamo incontrato la direttrice Giusy Laganà.
Come nasce l’associazione?
Da un gruppo di persone mosse dalla volontà di di dare vita a un’associazione di tipo diverso. Io arrivo dal mondo del marketing prima, oggi sono docente in una scuola media dell’hinterland di Milano. Riccardo Perdomi, proprietario all’epoca di Salmoiraghi & Viganò, poi AD del gruppo e che disse subito di sì, accettando il ruolo di presidente. La mia amica e partner non profit, Monica Savaresi, del gruppo Bananas, tra i produttori di Zelig, è vicepresidente. Anima del progetto, quello che io considero il mio angelo del cuore è stato Elio Fiorucci, che disegnò e ci regalò il logo e versò il primo contributo. Elio non ha fatto in tempo a vedere l’incredibile crescita che siamo riusciti a realizzare in questi anni, ma so che lui e i suoi angeli sono accanto a noi ogni giorno, per aiutarci a fare la differenza, e farla “per bene”. Il nome della nostra associazione, FARE X BENE, può essere definito come un vero e proprio manifesto “Fare progetti e attività fatte per bene”.
Prevenzione e contrasto alla violenza di genere. Quale approccio ?
Quando iniziammo, i progetti sui temi della violenza di genere vertevano quasi esclusivamente sull’azione di accoglienza e assistenza alle vittime e non vi erano molti percorsi scolastici attivi. Progettammo con psicologi e professionisti, percorsi di sensibilizzazione, prevenzione e contrasto a ogni forma di discriminazione, abuso e violenza di genere. In questo modo abbiamo realizzato percorsi multidisciplinari per analizzare ed educare gli studenti, e i loro adulti di riferimento. Dal 2016 l’associazione partecipa al tavolo di lavoro dell’Advisory Board del Safer Internet Center. Con questo programma la Commissione Europea promuove strategie finalizzate a rendere Internet un luogo più sicuro per gli utenti più giovani.
A chi si rivolge l’associazione?
Accogliamo e forniamo assistenza e consulenza legale e psicologica alle ragazze e donne vittime di violenza di genere. Abbiamo uno sportello, Il Petalo bianco, realizzato grazie al contributo del brand di cosmetica Catrice. Lo sportello è attivo presso il punto vendita DM, in Via Vittor Pisani 10, a Milano, in presenza tutti i venerdì dalle ore 15 alle 19 e online su prenotazione da tutta Italia, sul sito www.ilpetalobianco.it. Il servizio non è un presidio emergenziale e si rivolge a coloro che hanno subito, subiscono o “presumono” violenza. Dalle forme più gravi alle forme più nascoste, fino alle discriminazioni di genere, al sessismo, alle molestie legate all’appartenenza di genere, all’identità̀ e all’orientamento sessuale. I ragazzi ad esempio durante il Covid hanno sdoganato la formula dell’utilizzo dei device e del cellulare per scambiarsi foto e video hot, salvo poi farsi del male attraverso il sexting e il revenge porn. Ecco il perché della nascita di percorsi di prevenzione, sensibilizzazione, educazione e contrasto di questi fenomeni all’interno delle scuole.
Questi percorsi in cosa consistono?
I percorsi si svolgono in modalità multidisciplinare, cioè alla presenza contemporanea di psicologi, avvocati, esperti digital e docenti formatori. Realizziamo incontri in modalità plenaria, con più classi, seguiti da approfondimenti con i singoli professionisti e da laboratori curriculari. Ci sono laboratori di scrittura e realizzazione di podcast, canzoni rap, coding e video giochi nella piattaforma del metaverso, The Sanbox, simulazioni di processi con tanto di sentenza finale. Incontri di educazione al benessere alimentare e accettazione di sé e degli altri e contrasto a ogni forma di body shaming e relativa attività fisica a supporto del benessere personale. Incontri con psicologi e ginecologi e ostetriche per l’educazione all’affettività e alla sessualità. Abbiamo oltre 300 peer educator formati in tutta Italia e si ritrovano on line o in presenza almeno una volta al mese.
Cosa fanno i “peer educator”?
Organizzano le attività e comunicazioni sui social, gli eventi, fanno proposte e si sentono parte attiva e costruttiva della associazione. Anche quest’anno sono stati formati oltre 200 peer educator solo nella Regione Lombardia. Inoltre, siamo la prima associazione in Italia ad avere istituto il gruppo dei Peer Ambassador, ragazzi e ragazze che continuano a formare, informare e fare la differenza per i più piccoli, anche dopo la fine delle scuole superiori.
Come si approcciano i ragazzi e le ragazze ai vostri percorsi?
Spesso il primo approccio nei corridoi o appena arrivati è sottolineato dall’espressione: “che bello si perdono due ore”, oppure “nooo che palle”; e “ancora incontri su bullismo e cyberbullismo! È dall’asilo che ce li propinano”. Ma alla fine quasi tutti vengono a porci domande, sottoporci dubbi, curiosità e chiederci di tornare o realizzare altri progetti come l’educazione tra pari. Hanno bisogno di sentirsi ascoltati, capiti e supportati nelle loro difficoltà che noi adulti spesso archiviamo con “ai miei tempi”. Ma non ci sono più quei tempi. I ragazzi e ragazze non hanno esperienza e conoscenze in merito, sono dentro un tempo nuovo, dove virtuale e reale si fondono e dove l’accettazione da parte del gruppo passa spesso attraverso il numero di like e condivisioni sui social. Non per niente il termine più comune tra i giovani è “onlife”, nato dall’unione di “online” e “offline”. Perché la vita è vista come il frutto di una continua interazione tra la realtà materiale e analogica e la realtà virtuale e interattiva.
A quali tematiche sono più sensibili?
I ragazzi sono ancora pieni di pregiudizi, di giudizi e stereotipi. Molti degli atti di cyberbullismo, il bullismo compiuto online e sui social, riguarda proprio il genere. Nei confronti delle ragazze, ma anche omofobico, e rivolto a chi si ritiene “diverso” per il proprio orientamento sessuale e come tale “sbagliato”. Il sentimento della gelosia, poi, è davvero difficile da argomentare in maniera “sana” per molti di loro. Non riescono spesso a controllarla e confondono l’amore intenso e protettivo con il possesso, la volontà di controllare l’altro e non lasciargli libertà e spazi individuali di crescita. Il ciclo della violenza e i campanelli d’allarme non vengono riconosciuti e il “mi fai felice se non esci con le amiche”, “se vai a giovare a calcetto non mi ami, esci con me” e atteggiamenti e comportamenti di questo tipo entrano nel novero delle modalità relazionali. Oggi il ragazzo che spopola tra le ragazze è quello definito “malessere”. All’inizio pensavo fosse un male di pancia. Ma le ragazze che incontriamo ogni giorno mi hanno spiegato che è il ragazzo che ti tratta male, che ti fa aspettare, un po’ il bad boy di noi boomer!
Come vivono la sessualià?
I ragazzi non riescono a capire fino in fondo il valore della sessualità per una ragazza, quanto conti la sua reputazione in questo senso e i rischi diversi che corrono a parità di condizioni. Molti non sanno che a parità di incarico lavorativo le donne guadagnano anche il 30% in meno. Che fino al 1996, praticamente ieri, la violenza sessuale contro una ragazza o donna era un crimine contro la morale pubblica e non contro la persona. O l’abrogazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore nel 1981. Per loro è difficile pensare che siano così vicini, ma ci dà la dimensione di quanto la legge segua lentissimamente l’evolversi del pensiero sociale.
Gli adulti invece sanno riconoscere determinate problematiche?
Molti genitori si sentono colpiti in prima persona, giudicati nel loro ruolo educativo e formativo, ma ciò è sbagliato e pericoloso per loro e per i loro figli. Si viaggia su due direzioni, quella di privare i giovani di qualsiasi dispiacere, “trauma”, disvalore. Ma se priviamo i giovani di affrontare in prima persona le esperienze negative e le sconfitte, li priviamo di una delle grandi lezioni della crescita. Li deresponsabilizziamo. La gioia, il dolore, la rabbia, la gelosia, la noia, vanno riconosciute, gestite, incanalate e vissute! Le esperienze negative vanno affrontate, gestite e utilizzate come fasi di apprendimento. L’altra tipologia di adulti sono quelli in costante richiesta, quelli che pretendono performance perfette e controllano i risultati.
Oggi come ieri?
E non significa che ci si debba “adattare” ma di sicuro bisogna provare a capire. Se i nostri genitori ci chiedevano: “Dove vai? Con chi esci? A che ora torni?”. Perché oggi quando i nostri giovani sono online, sui social o sulle chat dei videogiochi, non glielo chiediamo? Molti genitori o insegnanti sminuiscono gli atti di abuso e vessazione dicendo che sono esperienze che “fortificano”, che tutti li abbiamo vissuti e che vanno risolti da soli. Per i professori, poi, spesso è difficile vedere e capire, ma i campanelli di allarme sono davvero tanti.
Quali sono i campanelli di allarme?
Autolesionismo, anoressia, mancanza di voglia di andare a scuola, abbassamento del rendimento scolastico. Prestare attenzione e osservare i ragazzi e le ragazze che abbiamo nella nostra vita è fondamentale. Altra cosa, non meno importante, il tema della denuncia. Bisogna spingere il gruppo dei testimoni spettatori che assistono passivamente o che incitano i bulli/e a raccontare quanto avviene a un adulto. Questo non fa di loro degli spioni o “infami”, come dicono loro, ma delle persone attente ai bisogni degli altri. Bisogna far capire che l’unione fa la forza, e che trovare altri che si uniscano nell’azione di denuncia e isolamento del bullo/a è il primo passo per scardinare il fenomeno.
Un caso che può essere da esempio?
Quello di Carolina, che lasciò un messaggio dolorosissimo, nel quale affermava che le parole fanno più male delle botte. Quello fu il primo caso di cyberbullismo. Quando un minorenne ci informa di qualcosa che ha o sta subendo, o vede si è chiamati ad agire secondo quanto indica la legge n.71 del 2017, promossa dalla senatrice Elena Ferrara, insegnante di Carolina Picchio. Elena si batté con il padre di Carolina per l’approvazione di quella legge. Noi ci onoriamo di diffondere nelle scuole quella stessa legge. Il bullismo e il cyberbullismo sono dei reati che vedono i ragazzi e le ragazze risponderne penalmente e i genitori civilmente. I risarcimenti delle vittime, infatti, sono ormai molto alti, perché i danni psicologici e fisici subiti segnano per sempre.
Un bilancio del vostro percorso tra i ragazzi e gli adulti?
I nostri progetti e percorsi multidisciplinari sono monitorabili, ripetibili e rendicontabili. Ogni anno incontriamo migliaia di ragazzi e ragazze e attraverso questionari siamo in grado di verificare l’impatto degli insegnamenti. Spesso il percepito, le azioni e i pensieri, cambiano, scardinando stereotipi e cattive abitudini, generando un vero e proprio osservatorio unico nel nostro Paese. Lavorando con le classi di 4° e 5° elementare e i 3 anni delle medie abbiamo potuto verificare come i nostri percorsi avessero modificato le abitudini, i comportamenti e il percepito di questi fenomeni tra i ragazzi. Molti bambini delle elementari li ritroviamo infatti nelle medie e sono formati in modo da poterci poi affiancare negli incontri. Stimolano la partecipazione dei loro genitori agli incontri di formazione per adulti e si fanno portavoce delle vittime non restando in silenzio.
Dove è possibile prendere informazioni sula vostra associazione?
Tutto è visibile sul nostro sito, www.farexbene.it, sul nostro canale youtube e su tutte le nostre piattaforme social. L’unione e la condivisione fanno la forza, dopo tutti questi anni ne siamo sempre più convinti.
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