Alberto Scafella, generale italiano con una lunga esperienza internazionale, racconta nel suo libro Nsango ya Africa. Messaggi dall’Africa il suo intenso viaggio umano e professionale tra Angola e Repubblica Democratica del Congo, terre segnate da contrasti profondi.
Un viaggio nell’Uomo, non solo in Africa.

Alberto Scafella non ci racconta una storia, ma molteplici trame intrecciate nella grande Storia. Non c’è un protagonista unico, se non l’Uomo — con la sua grandezza e le sue contraddizioni — che si muove su una terra fatta di luce e ombra, di bellezza struggente e ferocia disarmante. Nsango ya Africa. Messaggi dall’Africa è il resoconto di un viaggio che va oltre la geografia e attraversa l’etica, la coscienza, la memoria. È un percorso che riguarda tutti noi, anche se fisicamente lontani da quei luoghi.

Durante la sua missione, Alberto Scafella osserva da vicino la realtà di popolazioni spesso dimenticate, immerse in contesti di bellezza estrema e ingiustizie quotidiane. Scrive per testimoniare ciò che ha visto, per denunciare ciò che troppo spesso viene taciuto, ma soprattutto per trasmettere messaggi di speranza e dignità che dall’Africa arrivano forti e chiari anche a chi vive altrove.

Africa: polvere e splendore.

Benvenuti in Angola, in Congo, in quell’Africa troppo spesso ignorata o semplificata. Qui Scafella ha vissuto e lavorato, ma soprattutto ha ascoltato e raccontato. Descrive una terra “selvaggia e ordinata”, dai tramonti sull’oceano e dalle piaghe profonde.

È il continente dove l’anima dell’uomo si fa carne attraverso le persone incontrate sul campo: donne che cantano sotto il sole, bambini che sorridono tra le macerie, uomini che resistono tra guerre invisibili. L’autore ci conduce in un’Africa divisa tra paradiso e inferno, attraversata da persone che sembrano camminare “in punta di piedi”, come se cercassero di non disturbare un equilibrio troppo fragile per essere rotto.

La bellezza assassina.

La potenza del libro sta nella sua capacità di rendere visibile quella “bellezza assassina” che molti documentari sfiorano, ma raramente spiegano. Scafella descrive Luanda, capitale angolana, come un simbolo: carretti sgangherati accanto a macchine di lusso. È la fotografia di un continente e di un’umanità sospesi tra la povertà e il desiderio sfrenato di ricchezza, tra la miseria e il progresso.

Storie che i notiziari dimenticano.

Sfogliando le pagine, ci si trova davanti non solo a un reportage personale, ma a uno specchio. Le ingiustizie raccontate — la corruzione, i traffici illeciti, le guerre dimenticate — ci interrogano. Ciò che indigna è proprio questo: la distanza tra ciò che accade e ciò che si racconta. Si parla di Covid ancora molto spesso, ma si tace sulla malaria che uccide i bambini. Si ignorano i traffici di organi, le donne abusate, i governi complici. Il capitolo in cui si descrive la vendita di velivoli inutili all’Angola da parte dell’Italia è uno degli esempi più crudi di come gli interessi economici abbiano spesso la meglio sull’etica.

La voce del silenzio.

Il libro è un grido sommesso contro il silenzio e l’indifferenza. Perché non se ne parla nelle scuole? Perché i giovani non conoscono bene figure come Luca Attanasio? Perché le guerre africane, che durano da decenni, non fanno più notizia? Scafella racconta tutto questo con la credibilità di chi ha vissuto sulla pelle ciò che scrive. Non osserva dall’alto, ma si immerge tra la gente. E nella condivisione quotidiana, nei piccoli gesti, tenta davvero di cambiare qualcosa.

C’è la presenza di Dio che cammina in silenzio. Le sue impronte sono tracciate nel sorriso di un bambino, nelle mani che si tendono nei mercati, nella voce che prega all’alba.

La morte come compagna quotidiana.

Tra i capitoli più potenti del libro, spicca quello dedicato alla morte. Un tema tabù, che normalmente evitiamo, relegandolo solo a quando ci tocca da vicino. Ma in Africa — e in Angola in particolare — la morte è presenza concreta, quotidiana, viva. Non è il concetto astratto e distante a cui siamo abituati, ma qualcosa che si tocca con mano, che si respira nelle strade. Qui la morte insegna, impone domande, diventa una lente attraverso cui guardare la vita. In questa consapevolezza, il vivere assume un altro peso, un altro valore. Ogni giorno è una conquista, ogni scelta un atto di responsabilità.

Luca Attanasio: una morte che non può restare muta.

Tra le figure che emergono con forza dalle pagine del libro, quella di Luca Attanasio commuove e scuote. Ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, ucciso il 22 febbraio 2021, Attanasio rappresenta l’esempio concreto di chi sceglie di agire, di sporcarsi le mani in territori difficili, di credere in un cambiamento possibile. Amico personale del generale Scafella, viaggiava senza scorta, senza protezioni. Una scelta che interroga e lascia sgomenti: com’è possibile che un uomo di pace, di impegno umanitario, non sia stato adeguatamente tutelato? Il suo omicidio resta ancora oggi avvolto nel silenzio. Un silenzio che grida giustizia.

Non solo dolore: i messaggi di speranza.

Ma Nsango ya Africa non è un libro che si limita a denunciare. Al contrario, è attraversato da una vena profonda di speranza. Perché l’Africa, nonostante le sue ferite, non smette di sperare. E se lo fa lei, possiamo e dobbiamo farlo anche noi. Scafella ci ricorda che la speranza, in questi luoghi, non è un sentimento astratto, ma si traduce in azione. È lotta quotidiana, è dignità mantenuta sotto il sole cocente, è comunità che resiste. E questo, forse, è il messaggio più forte che arriva dall’Africa.

Il tempo: risorsa da non sprecare.

A chiusura del libro, il generale Alberto Scafella ci lascia un dono. È una poesia di Mario de Andrade, scrittore brasiliano, che invita a usare il tempo con saggezza, a investire energie solo in ciò che davvero conta. È un invito alla responsabilità, all’essenzialità, all’urgenza di vivere una vita piena e giusta. Ed è proprio questo, alla fine, il senso ultimo del libro: trasformare la consapevolezza in impegno. L’Africa insegna resilienza, insegna a sperare anche nel mezzo della polvere. Sta a noi ascoltare quei messaggi — i nsango — e rispondere con coraggio.

Voglio vivere accanto a persone umane, molto umane; che sappiano ridere dei propri errori, che non si vantino dei loro trionfi, che non si sentano scelte prima del tempo, che non fuggano dalle loro responsabilità, che difendano la dignità umana, e che desiderino soltanto camminare accanto alla verità e alla rettitudine.

Ascoltare i messaggi, agire nel silenzio.

Leggere Nsango ya Africa significa compiere un viaggio che non lascia indenni. È attraversare paesaggi meravigliosi e storie dolorose, incontrare volti dimenticati e verità scomode. Ma soprattutto, è fermarsi a riflettere sul nostro tempo, su ciò che scegliamo di guardare — e su ciò che, troppo spesso, decidiamo di ignorare. Il libro di Alberto Scafella è un atto d’amore verso un continente spesso ridotto a stereotipo.

È una denuncia, sì, ma anche una preghiera: quella di non voltarsi più dall’altra parte. Ci ricorda che ogni scelta conta, che ogni silenzio pesa e che il nostro privilegio, se non trasformato in responsabilità, diventa complicità. L’Africa ci manda messaggi — nsango, appunto — e non tutti parlano di guerra o di fame. Alcuni parlano di resistenza, di dignità, di bellezza che resiste nel caos. Messaggi che ci chiedono ascolto, ma anche risposte. Perché non basta commuoversi. Non basta sapere. Bisogna fare.

E allora, cosa faremo noi con tutto questo? Saremo spettatori, ancora una volta, o finalmente testimoni?

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