
Nasceva oggi la giornalista e attivista per i diritti civili, Ethel Payne, che ha sfidato pregiudizi e barriere, diventando la voce coraggiosa della comunità afroamericana negli Stati Uniti.
Chi è Ethel Payne.
Nonostante la sua vita straordinaria e i suoi successi storici, Ethel Payne resta poco conosciuta. Nipote di schiavi e quinta di sei figli, Ethel Lois Payne nasce a Chicago nel 1911. Dopo la morte improvvisa del padre, la famiglia vive in ristrettezze economiche, ma questo non ha fermato la sua determinazione; inizia a frequentare corsi di scrittura gratuiti in un college locale e negli anni ’30 aspira a diventare avvocato.
La sua domanda di ammissione alla facoltà di Giurisprudenza presso l’Università di Chicago viene respinta: per gli afroamericani, le possibilità di accesso sono ridotte al minimo. Così decide di intraprendere una nuova strada nell’attivismo.
Gli esordi nel giornalismo.
Nel 1948 lascia Chicago per lavorare in Giappone nei servizi speciali dell’esercito. Quando, nel 1950, scoppia la guerra di Corea, Ethel Payne annota nel diario la condizione delle truppe afroamericane: segregazione e insulti razzisti. Si impegna anche per la causa di bambini abbandonati, nati da madri giapponesi e padri afroamericani. Da queste esperienze prende forma la necessità di raccontare ciò che vede: riempie pagine di appunti, che un giorno mostra a un giornalista.
È lui a suggerirle di inviarle al Chicago Defender, testata giornalistica afroamericana. Il quotidiano li pubblica in prima pagina: è l’inizio di una carriera destinata a lasciare il segno.
Ethel Payne al Chicago Defender.
Ethel Payne si afferma nel Chicago Defender come una delle voci più autorevoli e incisive nella difesa dei diritti civili, portando alla luce temi come la crisi delle adozioni per i bambini afroamericani. Nel 1951 diventa corrispondente da Washington, unica donna accreditata afroamericana alla Casa Bianca.
Intervista presidenti come Eisenhower, Kennedy e Nixon sui diritti civili, mostrando un intenso coraggio nel denunciare il sostegno dell’amministrazione alle pratiche segregazioniste. La sua audacia le vale il soprannome di First Lady of Black Press (La First Lady della stampa nera).
Il contributo ai diritti civili.
Nel 1955, Ethel Payne segue in prima linea il boicottaggio degli autobus di Montgomery, ispirato da Rosa Parks che, esausta dopo una giornata di lavoro, si rifiuta di cedere il posto sull’autobus a un passeggero bianco. Nel 1965 documenta la marcia su Washington per il lavoro e la libertà, un momento simbolo della lotta afroamericana. È la prima giornalista afroamericana a seguire la guerra in Vietnam, dove trascorre tre mesi, raccontando una realtà spesso ignorata.
Negli anni ’70, accompagna Henry Kissinger in un tour africano, documenta la guerra civile in Nigeria e visita la Cina poco dopo lo storico viaggio di Nixon, immergendosi nei grandi eventi che stanno cambiando il mondo.
Una vita per il giornalismo e l’attivismo.
Nel 1970, Ethel Payne diventa la prima donna afroamericana a comparire su una rete nazionale come commentatrice radiofonica e televisiva per la CBS. Negli anni successivi, dopo aver lasciato il giornalismo, ha continuato a scrivere e a sostenere il rilascio di Nelson Mandela dal carcere in Sudafrica. Ethel Payne non si è mai sposata né ha avuto figli: invece delle tradizionali attività familiari che ci si aspetta dalle donne del suo tempo, ha dedicato tutta la sua vita al giornalismo.
Mi attengo alla mia ferma e incrollabile convinzione che la stampa nera sia una stampa di sostegno, e che io, come parte di quella stampa, non posso permettermi il lusso di essere imparziale.
Ethel Payne
Il riconoscimento e l’eredità.
Muore il 28 maggio nel 1991, lasciando un’eredità di coraggio e determinazione. Come scrive il Washington Post:
Se Ethel Payne non fosse stata nera, sarebbe sicuramente una delle giornaliste più riconosciute della società americana.
Oggi la sua storia torna alla ribalta, grazie a biografie e articoli che le restituiscono il posto che merita nella storia del giornalismo e dei diritti civili. Ethel Payne non è stata solo una cronista degli eventi, ma è stata una donna di straordinario coraggio che ha trasformato la propria voce in un megafono per chi non ne aveva una. La sua storia ci ricorda quanto possa fare la differenza una donna quando sceglie di non tacere.
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