
Il nuovo libro di Isabella Schiavone, Lavoro tossico, analizza burnout, straining e mobbing, fornendo strumenti pratici per riconoscerne i segnali. Intervista all’autrice in esclusiva per Pink Magazine Italia
Il bullismo non esiste solo nelle scuole. Dilaga anche negli ambienti professionali: dalle aziende ai ministeri, dagli ospedali alle università. A metà tra saggio e inchiesta giornalistica, il nuovo libro della giornalista Isabella Schiavone, Lavoro tossico (Nutrimenti), analizza il mondo del lavoro tossico, terreno fertile per burnout, straining e mobbing, fornendo strumenti pratici per riconoscere i segnali di un ambiente tossico e strategie efficaci per proteggere il proprio benessere.
“Lavoro tossico”, già dal titolo evocativo, fotografa lo stato di salute del mondo del lavoro in Italia e all’estero. A chi è indirizzato?
Il libro è indirizzato a tutti coloro che lavorano –dai medici agli insegnanti, dai manager agli operai, dai dipendenti ai liberi professionisti – ma anche a chi guida le aziende. È un libro che dà voce a chi spesso non viene ascoltato. Non è un saggio tecnico né un pamphlet ideologico, ma un atto civile. Come si legge all’inizio, non ci si ammala solo per fatica, ma anche per ingiustizia e invisibilità.
Ho raccolto – tra le varie testimonianze – storie di lavoratori e lavoratrici che si sono ammalati, ma anche analisi e dati che mostrano una verità scomoda: oggi in Italia il lavoro non è più una sicurezza, spesso diventa una prigione da cui evadere.
Come è possibile conciliare oggi l’ambizione con la tutela dei diritti del lavoratore?
L’ambizione non deve coincidere con la rinuncia alla salute. Anzi, dovrebbe crescere proprio in un ambiente che riconosce e valorizza. Oggi in Italia, però, la cultura del “lavorismo” imperversa a discapito dell’equilibrio psico-fisico. Certamente sono necessari sacrificio ed impegno sul lavoro, ma non fino ad ammalarsi.
Nel libro viene citato il sociologo Christophe Dejours: il lavoro non deve mai essere solo prestazione, ma anche riconoscimento, appartenenza, identità. Quando questi elementi mancano, il corpo si ribella con ansia, insonnia, reflusso gastrico, tachicardia. L’ambizione vera è quella che permette di crescere senza ammalarsi. Le aziende che lo hanno capito ottengono risultati migliori proprio perché i dipendenti sono motivati e sereni.

Dalla ricerca condotta le sembra che i giovani d’oggi siano meno soggetti a farsi sfruttare?
Sì. I giovani sono accusati di essere “bamboccioni”, ma in realtà sono i primi a rifiutare la logica tossica del “vivere per lavorare”. Come scrivo nel libro, “sono forse la prima generazione che si sottrae a questa dittatura, rifiutando abuso, arroganza e vite sottopagate dedicate solo al dio lavoro”. Non accettano turni infiniti, salari bassi e capi dispotici senza reagire. Preferiscono cambiare, partire, inventarsi nuove strade. È un segnale di consapevolezza, non di disimpegno.
Quale fascia d’età è più soggetta al burnout?
Secondo l’8° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, riportato nel libro, in Italia il 31,8% dei lavoratori manifesta sintomi di burnout, e la fascia più colpita è quella dei giovani: quasi il 48% degli Under 35. Pagano la precarietà, i ritmi insostenibili, l’assenza di prospettive. Ma anche i manager non sono immuni: il 25% dichiara di sentirsi spesso “esaurito” e il 70% mette la salute mentale prima dello stipendio. Questo dimostra che il problema riguarda tutti, nessuno escluso.
Le donne sono spesso sottopagate rispetto ai colleghi uomini e il gender gap è una realtà. Nel libro affronta questo tema?
Sì, e non poteva essere altrimenti. Il gender gap è una delle tossicità strutturali del nostro Paese. Le donne guadagnano meno, hanno meno possibilità di carriera e, come racconto, spesso sono costrette a nascondere il proprio talento per non mettere in ombra i capi. Alcune testimonianze femminili parlano di insonnia, gastrite, attacchi di panico nati proprio dal dover “abbassare la voce” o dal rinunciare a parti importanti della propria vita.
Racconto come “molte donne, per arrivare in alto, sono costrette a ricalcare modelli maschili opprimenti, con tempi e orari dettati da uomini”. È una corsa a ostacoli che logora più delle responsabilità stesse.
Nelle aziende vengono coinvolti sempre più esperti di mentoring e comunicatori per aiutare i dipendenti a fare squadra. Ritiene utili queste figure?
Sono utili, ma da sole non bastano. Se le fondamenta della cultura aziendale restano paura e controllo, nessun formatore potrà cambiare davvero le cose. Il mentoring funziona se è accompagnato da una leadership etica, consapevole e gentile. Nel libro cito esperienze come quella di Guido Stratta, ex direttore People and Organization di Enel, che ha fondato l’“Accademia della Gentilezza” basata sul triangolo risultato-motivazione-benessere. Un modello che mette al centro la persona e dimostra che si può lavorare bene senza ammalarsi.
Il libro richiama la necessità di ripristinare un equilibrio nella vita, tra tempo dedicato al lavoro e agli interessi personali.
Esatto. Come scrivo, viviamo in un Paese in cui “si vive per lavorare, non si lavora per vivere”. Secondo l’European Life-Work Balance Index, l’Italia è al 27° posto su 30 Paesi europei per equilibrio vita-lavoro, davanti solo a Ungheria, Slovacchia e Romania. Nei Paesi ai primi posti, come Spagna o Lussemburgo, si è capito che più tempo libero, più ferie e servizi migliori significano lavoratori più felici e produttivi. In Italia, invece, ci si ostina a sacrificare la vita privata, e il risultato è paradossalmente anche una minore produttività.
I fenomeni di mobbing e burnout vengono difesi dai sindacati?
Non abbastanza. Ci sono esperienze virtuose, ma spesso i sindacati restano fermi su battaglie economiche e contrattuali, trascurando la salute mentale. Nel libro riporto le parole di Francesca Re David (Cgil), che sottolinea quanto sia difficile riconoscere lo stress lavoro-correlato perché nei documenti aziendali – i DVR – spesso non viene nemmeno menzionato. Serve più formazione ai delegati, più strumenti legali e più coraggio.
È probabile che il lavoratore che non denuncia abbia timore di perdere il lavoro. Se in Italia fosse più facile ricollocarsi, rispetto agli Stati Uniti, forse diminuirebbe questa tendenza…
Nel libro racconto di tanti lavoratori che hanno paura non solo del licenziamento, ma anche di essere isolati, messi da parte, “marchiati” come sovversivi. In Italia cambiare lavoro è ancora complicato e il posto fisso viene vissuto come un’àncora, anche quando diventa una gabbia. In Paesi con un mercato più dinamico, denunciare è meno rischioso. Qui invece prevale la paura, e questo silenzio permette alla tossicità di diffondersi.
Il libro fornisce utili strumenti per difendersi dalle insidie che si celano negli ambienti lavorativi ed è arricchito dalla prefazione di Gianni Riotta. È possibile trovarlo in libreria dallo scorso 12 settembre per Nutrimenti Edizioni.
Sì. Nel libro ci sono strumenti pratici per riconoscere i segnali di un ambiente tossico, riflessioni per capire che non si è soli e testimonianze che offrono coraggio e punti di vista innovativi. Come è scritto nella prefazione di Gianni Riotta, “non giudicare, ma testimoniare”: dare voce a chi ha sofferto, a chi propone strade virtuose, a chi ha cambiato vita per trasformare le esperienze in consapevolezza collettiva. Non a caso, la stessa prefazione invita a considerare il libro non solo come denuncia, ma come atto di giornalismo civile.

Isabella Schiavone.
Giornalista, scrittrice, istruttrice Mindfulness. Ha lavorato 20 anni al Tg1, dove ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Luchetta Hrovatin con un’inchiesta sulla droga a Scampia; il Premio Pentapolis – Giornalisti per la Sostenibilità, il Diversity Media Awards, il Premio Responsabilità Sociale Amato Lamberti. È Ambasciatrice Telefono Rosa per l’impegno in difesa dei diritti delle donne e a sostegno dei minori. Ha scritto due romanzi presentati al Premio Strega, Lunavulcano e Fiori di mango, ed il saggio Pratico, ergo sum. Ha insegnato teoria e tecnica del giornalismo radiotelevisivo a Tor Vergata.
Link per acquistare il libro: Isabella Schiavone – Lavoro Tossico
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