È Omero a parlarci della principessa troiana Cassandra (Iliade XIII, vv. 361-393) riferendosi a lei come a una bella fanciulla destinata a un matrimonio, che poi non si celebrò mai. Cassandra era una delle figlie del re di Troia, Priamo, e di Ecuba, era una bella ragazza, promessa in sposa al guerriero Otrioneo di Cabeso, alleato dei Troiani. Ma chi era la principessa troiana più discussa?

Nell’XI canto dell’Odissea (vv. 397-439), Omero raffigura Agamennone nell’Ade che racconta a Odisseo come avvenne il suo assassinio una volta tornato in patria. Alla fine della guerra con Troia e dice che Cassandra, ricordandone solo “l’urlo straziante” quando fu colpita a morte da Clitennestra.

Anche il nome Cassandra è aperto a diverse interpretazioni. Deriva dal nome greco Κασσάνδρα, Kassandra, femminile di Kassandros, di origini forse pregreche formato da kad, eccellere, e andros, uomo, cioè “colei che eccelle tra gli uomini”. Robert Graves propone invece “she who entangles men” ovvero “colei che intrappola gli uomini”.

Vi sono diverse versioni sull’origine del dono profetico di Cassandra. Secondo una prima versione, la principessa appena nata, insieme al fratello gemello Eleno, era stata condotta nel tempio del dio Apollo. Lì i due bambini avrebbero trascorso la notte. Ritrovati al mattino coperti di serpenti, questi li avevano resi profeti, lambendo loro le orecchie. Secondo un’altra versione, la più famosa, Apollo, innamoratosi di lei e desideroso di possederla, le avrebbe donato la dote profetica. Una volta ricevuto il suo dono, Cassandra avrebbe rifiutato di concedersi a lui. Il dio, fuori di sé dalla rabbia, le avrebbe sputato sulle labbra condannandola con questo a restare sempre inascoltata.

Quando il cavallo di legno fu introdotto a Troia, fu proprio Cassandra a rivelare a tutti che all’interno vi erano soldati greci, ma rimase inascoltata. Solo Laocoonte diede credito alle sue parole e si unì alla sua protesta, venendo per questo punito dal dio Poseidone, che lo fece uccidere da due serpenti marini. La città fu così conquistata dai greci, che le diedero fuoco e massacrarono i cittadini. I membri della famiglia reale si rinchiusero nei templi troiani, ma tutto ciò valse a poco. Priamo morì sull’altare del santuario ucciso da Neottolemo.

Cassandra, rifugiatasi nel tempio di Atena, trovata da Aiace di Locride è stuprata brutalmente. Trascinata via dall’altare, si aggrappò alla statua della dea che Aiace, miscredente e spregiatore degli dei, fece cadere dal piedistallo. A causa del suo comportamento gli dei punirono tutti i principi greci, che non ebbero felice ritorno a casa. Cassandra divenne ostaggio di Agamennone e portata da lui a Micene. Giunta in città, profetizzò la sua rovina, ma quest’ultimo non volle crederle, cadendo così nella congiura organizzata contro di lui dalla moglie Clitemnestra e da Egisto, in cui morì la stessa Cassandra.

Tuttavia è il teatro attico a rappresentare la fonte più importante per lo studio di Cassandra come profetessa ispirata.

Nell’Agamennone Eschilo narra che Cassandra, condotta da Agamennone a Micene dopo la caduta di Troia, è trattata dall’acheo con rispetto, è a lui accomunata nella congiura ordita dalla moglie di lui. Cassandra preannuncia la loro imminente morte per mano di Clitemnestra. Ma non è creduta, come lei stessa racconta al coro, per effetto della maledizione di Apollo, attuata dal dio a causa del suo rifiuto di concedersi a lui.

Non pochi studiosi hanno indicato come topos letterario della tradizione greca la noncuranza degli uomini rispetto ai vaticini di profeti e indovini anche illustri, come Tiresia.

Cassandra però ha subito una vera e propria maledizione, che la isola dalla società e la rende invisa a tutti, in seno alla famiglia come nella società. Il rapporto con Apollo e il suo dono della profezia per lei sono una terribile fatica. 

La profetessa di sventura continua a esercitare un fascino tragico quasi irresistibile per chi si è poi occupato della rivisitazione dei miti classici.

Ne è un esempio lo stesso Ugo Foscolo, che nei Sepolcri rievoca la profetessa troiana e la erge a simbolo dell’umanità dolente e degli ideali che non possono essere distrutti né dalle sorti alterne dei mortali, né dall’oblio del tempo.

Oggi, per antonomasia, si attribuisce l’appellativo di “Cassandra” alle persone che, pur prevedendo eventi sfavorevoli che puntualmente si verificano, non vengono credute.

Anche la psicoanalisi prende in prestito il mito della giovane profetessa che da tremila anni non viene creduta; è detta infatti “sindrome di Cassandra” la condizione di chi formula ipotesi pessimistiche, convinto però di non poter fare nulla per evitare che si realizzino. Eric Shanower presenta Cassandra come simbolo dei soprusi sui bambini. Secondo la sua versione, Cassandra da bambina era stata molestata da un uomo che si finge il dio Apollo. Il monito del dio: “nessuno ti crederà!” è per Shanower la frase maggiormente usata da coloro che abusano dei bambini.

Anche Lidsey Clarke nel suo romanzo The Return from Troy avvalora questa tesi. Qui un sacerdote di Apollo tenta di violentare Cassandra ed è costretto a fermarsi solo quando lei gli sputa in bocca. In seguito il sacerdote farà leva sulla sua reputazione per convincere Priamo della propria buona fede: a questo punto Cassandra impazzirà. 

Nella sezione Cassandra dei suoi Suggestions for Thought to Searchers after Religious Truth, Florence Nightingale denuncia con ardore la condizione delle donne costrette a non fare nulla, a vivere nel loro mother’s and older sister’s lethargic lifestyle, nonostante la loro educazione e i loro studi. Il lavoro della fondatrice delle crocerossine inglesi riflette anche la paura di Florence di essere solo una Cassandra. E che le sue idee sul lavoro femminile non vengano ascoltate.

La più celebre rielaborazione del mito in chiave femminista ce la fornisce la tedesca Christa Wolf.

La complessità del romanzo-autobiografia della principessa di Troia non si può risolvere semplicemente ascrivendolo all’universo femminista e come rivendicazione del diritto alla parola – negato soprattutto alle donne – nella Germania dell’Est. Ciò che più sottolinea Christa Wolf è la forza morale di Cassandra e il suo cammino di crescita interiore: dalla fanciulla ignara, alla conoscenza del cinismo nella maturità. Il romanzo della Wolf comincia dalla fine. Cassandra è sulla nave di Agamennone che la porta con sé in patria, a Micene. Cassandra si sente alla fine della sua vita e matura una consapevolezza, un messaggio quasi di speranza da lasciare, inascoltato, ai posteri: “Tra uccidere e morire c’è una terza via: vivere”.

Marion Zimmer Bradley nel suo romanzo La Torcia fa narrare a Cassandra in prima persona – come la Wolf – le vicende che l’hanno vista coinvolta durante la famigerata guerra di Troia. Qui però non vi sono polemiche contro la libertà di parola delle donne o contro il potere maschile. La Zimmer Bradley ricostruisce la vita di Cassandra come quella di una giovane dotata di talento, che però non viene creduta dai soli uomini. Elena, Andromaca, Polissena ed Ecuba le credono. È l’ottusità delle tradizioni e del ruolo relegato alle donne che non permetto agli uomini di vedere attraverso il velo. Persino Apollo non viene risparmiato. L’unico che sembra credere in lei e che diverrà suo amante è il giovane Enea, suo cognato. È interessante il legame che sia la Wolf che la Zimmer Bradley intrecciano tra i due personaggi. Enea porrà le basi della fondazione di Roma, è il simbolo della vita che continua e che non cambia. Ma è anche simbolo della speranza, dell’uomo che rinasce dalle sue ceneri.  

Cassandra, l’irregolare, la donna coraggiosa che non ha paura di parlare, non ha ancora finito di affascinarci, da ormai tremila anni.

La fiera sacerdotessa di Apollo, nonostante le avversità e il ripudio sociale non perde mai il coraggio e la dignità. Un simbolo di libertà di parola e di virtù interiore che affascina donne e uomini di ieri e di oggi.