Chi sono i Radical Chic? E chi è Serena Di? L’abbiamo incontrata e le abbiamo fatto queste e tante altre domande. Venite a conoscerla con noi, per capire com’è nato Confessioni di una radical chic pentita, un libro che attraverso una sagace e frizzante autoironia ci offre uno spaccato del mondo culturale di oggi

Chi sono i Radical Chic? Se ne sente parlare spesso ma quando ci chiedono una definizione, spesso non siamo in grado di fornirla. Sembrano quasi esseri mitologici, inconsistenti. Invece no, esistono eccome. Una bellissima ragazza italiana che in questo momento vive a Boston con il marito e la figlia ci ha spiegato chi sono. Ne faceva parte, fino a quando non ha capito che c’era altro che contava nella vita.

Serena Di per oltre dieci anni si è divisa tra studi televisivi e radiofonici, redazioni di quotidiani e riviste, agenzie pubblicitarie, set cinematografici, sottoscala, salotti, open space e interminabili file agli aperisushi. Il suo Confessioni di una Radical Chic pentita, per la collana UOMOVIVO, è un resoconto dettagliato e tragicomico di quelle esperienze, ma è anche una storia d’amore e di speranza, un affascinante viaggio che arriva fino all’incontro con Dio. Costanza Miriano scrive nella prefazione: “Un concentrato di intuizioni fulminanti sulla questione femminile e sulla ancora più importante questione centrale, la ritenzione idrica”.

Ma chi sono, dunque, questi famigerati radical chic?

Radical Chic: persone che per seguire la moda, per esibizionismo o per inconfessati interessi personali ostentano idee e tendenze politiche affini alla sinistra radicale e completamente opposti al loro ceto di appartenenza.

Più chiaro di così…

Confessioni di una Radical Chic pentita è un libro frizzante e autoironico che indaga con sagacia sul mondo della cultura italiano. Sei stata una Radical Chic anche tu (su Instagram il tuo account è inequivocabile: @radicalchicpentita)? Parlaci di te, chi è Serena Di?
Mi chiamo Serena, Di è l’iniziale del mio cognome e di quello di mio marito. Per anni mi sono occupata di televisione, pubblicità e social media. Quando ho iniziato a scrivere le mie esperienze, mi sono resa conto che mi portavo dietro convinzioni non mie, che guardavo con sospetto chi aveva fede, fino a quando non ho capito che c’era qualcosa in me che non andava. In una società come la nostra, quasi teofobica, io mi sono ritrovata ad aprire gli occhi, a vedere le cose per quello che erano, a ridimensionare certe situazioni. Nonostante io sia cresciuta in una famiglia di insegnati con idee di sinistra i miei genitori non mi hanno mai “indottrinata”, ma anzi mi hanno lasciata libera. Quando ho scritto questo libro ho avvertito la necessità di descrivermi per quello che ero e per quello che sono diventata: una persona diversa, nuova. L’incontro con Dio, in fondo, chiede questo alle nostre vite, di trasformarsi. Il nome sulla copertina vuole simboleggiare questa rinascita e gioca sul doppio senso di appartenenza. Sussurriamo spesso con sospetto “figlio di”, “parente di”, e così via, ma in questo “Di” c’è anche un desiderio di appartenenza a Dio. Nessuno pseudonimo, quanto piuttosto una dichiarazione di intenti.

Nel tuo libro descrivi i Radical Chic, ma senza rancore o giudizio.
E ci tengo tanto. Come ti dicevo, viviamo in una società teofobica, piena di divisioni, i media e i social media sono colmi di odio, di veleno. Non ho scritto un libro per giudicare qualcuno o per stabilire chi siano i buoni e chi i cattivi. Non ho la pretesa di semplificare la complessità della vita in credenti buoni e non-credenti cattivi, come era stato insegnato a me, ovvero: credenti stupidi e ignoranti, non-credenti intelligenti e colti. Quando mi sono convertita ho per un attimo temuto di essere snobbata dai colleghi. Non è stato così, ho scoperto anche fedeli insospettabili e ho stretto forse più amicizie di prima. Quando ero una studentessa di cinema e di fotografia ho incontrato tanti credenti “silenziosi”, che non ostentavano la loro fede ma che la vivevano con assoluta serenità. Nel mio libro ho descritto i backstage degli ambienti di lavoro che ho frequentato ma ci tengo a dirti che non parlo mai dei miei colleghi di lavoro. Le persone che descrivo sono i “pochi eletti”, il gota che lavora dietro le quinte e tira le fila del mondo dell’informazione.

Per tua stessa ammissione, anche tu consideravi la fede un’ingenuità, fin quando non hai incontrato un ragazzo americano.
Verissimo. Il mio Prince Charming non aveva il cavallo ma una Toyota. Anche lui lavorava nel mondo dello showbiz come me e mi ha colpito anche perché non si vergognava affatto della sua fede, ma anzi sorrideva alla vita con la decina al polso. Prima ha fatto vacillare le mie certezze, poi, senza mai indottrinarmi tantomeno forzarmi a pregare o andare a Messa, è riuscito a farmi scoprire il mondo reale, fatto di gente di fede che lavora con serenità, che ama e che non si nasconde dietro apparenti felicità, che durano davvero un solo istante.