25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
C’era bisogno di una data per ricordarsene?
25 NOVEMBRE – Istituita per volere dell’ONU, la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne richiede a gran voce un intero giorno dedicato alla fine della violenza. La scintilla? Un evento di 50 anni fa. Nel 1960, nella Repubblica Dominicana, lo stesso giorno furono assassinate le tre sorelle Mirabal. Attiviste politiche.
La storia
Aida Patria Mercedes, Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa Mirabal nacquero a Ojo de Agua provincia di Salcedo nella Repubblica Dominicana da una famiglia benestante. Combatterono la dittatura (1930-1961) del dominicano Rafael Trujillo, con il nome di battaglia Las Mariposas (Le farfalle). Si dice che la loro ribellione al regime nacque molto prima del fatidico giorno. Tutto si scatenò quando ancora il padre organizzava serate danzanti. A questo evento partecipava anche il dittatore che utilizzava tali eventi, per far rapire e stuprare le figlie dei contadini, dai suoi uomini.
Il misfatto
Una sera prese di mira anche una delle sorelle, Patria. La maggiore delle tre, durante un ballo, schiaffeggiò l’uomo davanti a tutti. Fu così che la donna firmò la propria condanna.
Naturalmente Trujillo non intervenne subito. Lasciò passare del tempo per vendicarsi ed emise la sentenza di morte la sera del 25 novembre 1960. Quando Minerva e Maria Teresa decisero di far visita ai loro mariti, Manolo Tavarez Justo e Leandro Guzman, detenuti in carcere. Patria decise di accompagnarle, anche se suo marito fosse rinchiuso in un altro carcere. Il tutto fu realizzato contro la volontà della loro mamma che temeva per lei e per le sue altre figlie. Fu così che i timori si rivelano giusti perché le donne vennero prese in un’imboscata da agenti del servizio segreto militare. Furono torturate e uccise.
La fine di Trujillo
Questo evento scatena il popolo e nel 1961 Trujillo viene assassinato e si pone fine alla dittatura. L’unica sorella sopravvissuta, Belgica Adele detta Dedé, ha dedicato la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani. Nel 1999 pubblica un libro “Vivas in su jardin” dedicato alle sorelle. La scrittrice dominicana Julia Alvarez nel romanzo, Il tempo delle farfalle (1994), da cui è stato tratto nel 2004 il film di Mariano Barroso In The time of Butterflies, con Salma Hayek, racconta la loro storia.
Questo tragico episodio storico è solo la punta dell’iceberg di un meccanismo malato.
Il termine femminicidio
Il fenomeno del “femminicidio” indica l’interruzione della vita di una donna attraverso un omicidio. Questo termine, di natura anglofona, femicide, viene introdotto per la prima volta dalla criminologa femminista Diana H. Russel in un articolo del 1992. Russel definì la consuetudine di un delitto di donne perpetrato dagli uomini solo per il fatto di essere donne. Il fine era quello di portare all’attenzione gli studi fatti da criminologhe femministe che avevano indagato su decessi di donne tra i 16 e 40 anni, assassinate per mano di conoscenti.
Queste morti erano considerate una sorta di punizione verso coloro che si erano autodeterminate, avevano trasgredito al ruolo sottomesso imposto loro dalla tradizione.
Evoluzione
Il termine entra a far parte del linguaggio mediatico e di uso quotidiano. In alternativa all’omicidio di donne, per dare un significato e una profondità a un’azione compiuta come estrema forma di violenza diretta verso una donna in quanto tale. Il suo fondamento infatti è nella violenza sessista dell’uomo e rappresenta un problema sociale legato alla discriminazione e disuguaglianza nei confronti della donna. Secondo un rapporto del 2012 alle Nazioni Unite, gli omicidi basati sul genere, in qualunque forma e manifestazione, continuano a essere socialmente tollerati e accettati, raggiungendo proporzioni allarmanti a livello mondiale.
Le difficoltà
È difficile per una donna, ancora oggi, parlare della violenza subita, sia dal partner che da estranei, e ancora più difficile è denunciare. Sono poche quelle che cercano aiuto, o si rivolgono a un centro antiviolenza o servizi specializzati.
Molte sono le campagne di sensibilizzazione, per far circolare il messaggio che parlare, confidarsi, chiedere aiuto ai servizi dedicati sia una fonte d’aiuto, anche perché è ancora alto il numero di donne che non conoscono i centri antiviolenza o i servizi di supporto per le vittime.
Le donne straniere?
Il caso delle donne straniere è delicata. La causa degli ostacoli della lingua e della non conoscenza dei propri diritti grava. Diverso è il comportamento delle italiane che denunciano più facilmente. Soprattutto quando si parla di violenza sessuale, e se l’aggressore è uno straniero.
Il fenomeno lockdown
A voler guardare gli ultimi numeri che riguardano le richieste di aiuto durante il periodo della “pandemia”, il quadro è davvero sconfortante. La testimonianza è redatta dai Centri Antiviolenza. Gli studi fotografati dall’ISTAT confermano che durante la fase del lockdown, dove le convivenze sono state forzate, le pregresse situazioni violente si sono ulteriormente inasprite a causa di fenomeni come la perdita del lavoro delle donne o del compagno.
Si parla di oltre 20.000 utenti che hanno cercato un contatto, attraverso il contatto telefonico del 1522 o chat.
I numeri
Ci sono state 15.128 chiamate nel 2020, un incremento pari al 79,5%, di 2.361 chat con un aumento del 71%. Il picco si è registrato a fine marzo, raggiungendo un picco a maggio, per scemare nei mesi successivi e riprendere consistenza intorno a novembre, soprattutto nella settimana in cui partivano le campagne informative riguardanti il 25 novembre, giornata dedicata alla violenza sulle donne.
La forma di denuncia più comune, come si diceva, riguarda la violenza fisica, anche se sono in aumento di quella psicologica (almeno la metà dei casi).
In aumento i casi di ragazze nella fascia fino ai 25 anni, con l’11,8% e di donne di età superiore ai 55, con il 23,2%.
Sono aumentati anche i casi di violenza in famiglia, ma restano invece invariate le percentuali che riguardano le violenze da parte dei partner che ammonta al 57%[1] .
Le regioni che mostrano un picco territoriale sono Lazio, Veneto, Sicilia, Sardegna e Lombardia, dove i centri antiviolenza segnalano l’accoglienza di circa 108 al nord-est e 95 di donne nelle loro strutture. Notevole il dato del 41,5% delle isole.
Le vittime sono state 112 nel 2020 e 83 a novembre 2021, uccise soprattutto in ambito familiare/affettivo.
A questo punto ritorno alla domanda che vi ho proposto nell’incipit di questa riflessione: c’è bisogno di una data per ricordare?
Secondo me, sì. E ne occorreranno altrettante per dare riposo e giustizia a tutte le donne innocenti che ci hanno lasciati, senza neanche un perché.
[1] Dati Istat 2021 – archivio sito web
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