Maria Bellonci con il premio Strega si fa promotrice della diffusione e della rinascita letteraria italiana nel secondo dopoguerra e rilancia il talento femminile, come sua personale battaglia. 

È il “tempo di pericolo”, un dopoguerra devastante e corrosivo, che ha lasciato strascichi ovunque, in tutti gli strati sociali e culturali. Una donna, Maria Bellonci, vede nella letteratura un luogo in cui rifugiarsi, leccarsi le ferite e riprendersi.

E pensa a un premio letterario, un premio – parole sue – “che nessuno ancora avesse mai immaginato”. Con una giuria vasta e democratica che comprendesse molti letterati, che verranno poi chiamati Amici della domenica, per la loro abitudine di ritrovarsi la domenica nel salotto di Maria e di suo marito Goffredo ai Paroli.

Il Premio Strega nasce dunque con il preciso intento di contribuire alla rinascita culturale dell’Italia. La data ufficiale è il 17 febbraio 1947. Tutto è possibile anche grazie alla partnership con l’imprenditore beneventano Guido Alberti, proprietario dell’azienda di famiglia che produce il liquore Strega. È la stessa Maria Bellonci a raccontare la genesi del premio nel saggio Come un racconto. Gli anni del Premio Strega. 

E con il premio arrivano anche piccole ma determinanti rivoluzioni.

Siamo nel 1948, il quotidiano La Stampa usa impropriamente l’aggettivo “galante” riferendosi a un piccolo gruppo di intellettuali che sostiene uno dei libri in gara. Si tratta del romanzo Artemisia di Anna Banti, un affresco rigoroso e godibile sulla vita della nota pittrice Artemisia Gentileschi. Una donna che parla di un’altra donna, dunque. Come il famoso Lucrezia Borgia. La sua vita e i suoi tempi della stessa Maria, pubblicato nove anni prima. Artemisia non vincerà lo Strega ma l’ideatrice del premio è infastidita: le allusioni a una presunta galanteria di alcuni suoi “amici della domenica” non le va giù e così decide di scrivere al direttore del quotidiano per puntualizzare.

Ne viene fuori una lettera dal titolo che non lascia adito a interpretazioni altre: Difesa delle scrittrici.

Io vorrei, caro Direttore, che diventasse regola di civiltà rispettare il lavoro delle donne […]. Noi donne che scriviamo siamo avezze ad essere fraintese, e sappiamo che capire chi non ci capisce deve essere uno dei nostri esercizi di pazienza. Maria Bellonci

Maria Bellonci non si fa di certo intimorire da alcun direttore. Una scrittrice raffinata come lei, che ha dato vita a un libro per certi versi rivoluzionario sulla figura di una donna per secoli bistrattata, non si ferma e va avanti. Non senza aver prima assestato un bel colpo all’establishment maschilista del periodo.

A Lucrezia Borgia, infatti, Maria Bellonci ha dedicato anni di studio sfociati nel libro d’esordio, pubblicato nel 1939 e da subito acclamato e tradotto in tutto il mondo. Un modello rivoluzionario di romanzo biografico che unisce l’indagine storica e l’invenzione letteraria, dando vita a personaggi che sembrano respirare ed esprimere le loro passioni non solo con vigore e rigore inconsueti, ma con una fresca energia che li fa contemporanei del lettore.

Dopo Lucrezia, la scrittrice passa alla sua antagonista storica, Isabella d’Este. E proprio in occasione della scrittura della sceneggiatura per la Rai – che poi confluirà nel libro Rinascimento privato – con protagonista la Signora di Mantova che Maria conosce un’altra donna di grande cultura, destinata a diventare non solo una sua grande amica, ma anche sua fidatissima collaboratrice, Anna Maria Rimoaldi. Quel film (o sceneggiato) non vedrà mai la luce, ma Anna Maria rimarrà accanto a lei fino alla fine, prendendo le redini della Fondazione Bellonci, fino alla sua stessa dipartita.

Ma il premio è fatto anche di partecipazioni di altre donne.

Fino al 2021, in settantaquattro edizioni, sono solo undici le scrittrici che hanno vinto il premio Strega: la prima, nel 1957, è stata Elsa Morante, seguita da Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Lalla Romano, Fausta Cialente, Maria Bellonci, Mariateresa Di Lascia, Dacia Maraini, Margaret Mazzantini, Melania Mazzucco e Helena Janeczek.

Alcune hanno lasciato il segno, altre meno. Come del resto tutti i concorrenti del premio. Elsa Morante vince con L’isola di Arturo, a dieci anni precisi dall’istituzione del premio. La prima donna a vincere, tra l’altro, parlando di un ragazzo, della solitudine e del bisogno di espiazione. Sei anni dopo a vincerlo è Natalia Ginzburg con Lessico Familiare. Un capolavoro di stile e sperimentazione linguistica. Dopo aver rotto il ghiaccio con questi due libri meritevoli, le donne cominciano a vincere più spesso, ma non abbastanza. Anna Maria Ortese, Lalla Romano, Fausta Cialente, la stessa Maria Bellonci (vincendo proprio con quel Rinascimento privato che era stato propizio all’incontro con Anna Maria Rimoaldi), e così via.

Ma la domanda nasce spontanea: perché finora le vincitrici sono state così poche? È forse ancora tristemente vero quello che scriveva la fondatrice del premio al direttore del quotidiano La Stampa? Ovvero che le donne o meglio le scrittrici sono abituate a non essere comprese? In questo caso persino da un’élite di intellettuali? Domandiamocelo.