“Barbie lascia i colori pastello e la plastica di Barbieland per i colori pastello e la plastica di Los Angeles” – si chiude con questa chiave di lettura il film. Barbie è stratificato, si nutre dell’immaginario anni ’50, ’60, citando le grandi pellicole del tempo, per mostrare così la potenza di questo oggetto magico nella società americana, ma non solo, mondiale.
Un oggetto che finalmente esce dalla scatola, ponendo quesiti che sono agli antipodi del sorriso inciso, vuoto e contornato da un rossetto roseo.
Margot Robbie, protagonista e produttrice del film, comincia nel 2018 a rincorrere l’idea di portare Barbie sullo schermo e di darle una voce, tutta sua. Decisa a lavorare con Greta Gerwig (Piccole donne, Ladybird, Frances Ha), la convince a imbarcarsi in quest’odissea nello spazio.
Barbieland vs. Il mondo reale
La monotonia di Barbieland, dove tutte le donne si chiamano Barbie (c’è Barbie dottoressa, Barbie Presidente, Barbie Premio Nobel, etc.) e tutti gli uomini si chiamano Ken, viene interrotta dagli inspiegabili pensieri di morte che tormentano la capofila, Barbie stereotipo. D’un tratto, il latte finto di cui si nutre ogni mattina è scaduto. Si ritrova i piedi piatti e vaghi accenni di cellulite rovinano la sua forma perfetta. Nel mondo reale, dove una bambina proietta sogni, desideri e paure sulla sua bambola, qualcosa è andato storto.
Barbie comincia così il suo viaggio in cerca della sua bambina; ci dev’essere qualcosa che non va e Barbie è l’unica a poter aggiustare le cose: Barbie può tutto, o almeno così crede a Barbieland, terra dove sono le donne a comandare e gli uomini a non avere voce.
Il mondo reale consegna un destino diverso alla bionda ottimista: viene arrestata due volte e le ragazzine non l’accolgono con abbracci e sorrisi. Accusata di essere fascista e la causa di tutti i mali – è colpa sua se le donne sono costantemente insoddisfatte – ha creato un ideale estetico irraggiungibile e deleterio.
Mille sfumature di rosa raccontano quel momento di crisi, essenzialmente femminile: passaggio di crescita necessario dove si smette di giocare con le bambole; la realtà diventa troppo tagliente da combattere con la plastica.
L’accettazione di sé è difficile per tutti, anche per Barbie. E non sarà un uomo ad avere le risposte per superare la metamorfosi imminente.
Stereotipi della realtà
È un film che regala dibattiti, attuali quanto scomodi. Un femminismo articolato dietro l’inarrivabile, invidiata silhouette diventa quasi paradossale. Si combatte contro il nocivo stereotipo portando avanti lo stereotipo stesso. D’altronde, sarebbe stato possibile far recitare la parte di Barbie ad un’attrice formosa, mediterranea o latina? Rispondere a questa domanda è un’impresa più difficile di quanto non possa sembrare, dato che l’interprete protagonista è anche ideatrice della tematica scelta. C’è una richiesta d’ascolto, di valorizzazione, da parte di quelle attrici spesso confinate al ruolo di oca bionda, senza voce, solo corpo. Ma Barbie ci chiede un’altra chance: la possibilità di non essere solo una creazione ma ideatrice della sua storia, artefice del suo corpo.
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