
È uno dei registi più amati di sempre, ha vinto la Palma d’Oro e una dose massiccia di Oscar; è stato il presidente della giuria della Mostra di Venezia e ha fan sfegatati in tutto il mondo. Bong Joon-ho, ospite al Festival del Cinema Coreano di Firenze (FKFF), ha tenuto una Masterclass intitolata “Geometrie dello sguardo”.
Il regista ha raccontato il suo rapporto con gli attori, due in particolare: Song Kang-ho e Park Hae-il, quest’ultimo presente al Festival pochi giorni fa per un incontro con il pubblico. La manifestazione ha anche dedicato una retrospettiva all’attore, descritto da Bong Joon-ho con le seguenti parole: “Bello come un cerbiatto e allo stesso tempo emana un che da psicopatico. Per questo l’ho scelto per Memories of Murder (2003), dove interpreta un ruolo ambiguo, non si sa se sia lui il colpevole o meno.”
Andando a ritroso nel tempo il regista ha raccontato la sua esperienza con le produzioni americane e coreane. “La vera differenza è stata nel lavoro con lo staff e con gli attori; ci sono più regolamenti. Per esempio, lavorando con attori e attrici minori di diciotto anni, ogni quarantacinque minuti di riprese bisogna fare una pausa di quindici minuti. E poi c’è la questione linguistica ma avendo gli interpreti al mio fianco tutto è possibile, come qui, oggi.”
Tra il pubblico (una sala gremita di fan di tutte le età), una giovane coreana, studentessa di cinema ha detto di aver viaggiato dalla Corea appositamente per vederlo. Gli ha chiesto se ad ispirarlo siano delle parole chiave o delle immagini e Bong Joon-ho ha risposto: “Dipende, certo ogni volta è diverso. Per Okja (2017), per esempio, ho immaginato questo maialino, solo tra i grattaceli. A partire da quest’immagine ho cominciato a farmi delle domande: perché è così triste? Perché si trova lì? E pian piano ho cominciato a costruire la storia. Per quanto riguardo Mother (2009), invece, tutto è partito dalla scena finale. L’ho visualizzata così come la vedete nel film e ho messo insieme tutti gli elementi della narrazione, due ore di film, solo per arrivare a quella scena.”
Dopo la Masterclass è stato proiettato proprio questo film, Mother, che il regista ha scelto di proiettare in bianco e nero. “Vorrei che tutti i miei film fossero visti anche nella versione in bianco e nero. Oggi i mezzi digitali lo permettono a basso costo e io sono cresciuto con i classici in bianco e nero. La mancanza di colore permette di avvicinarsi di più ai personaggi.”
Esiste una versione in bianco e nero anche del film più amato del regista, Parasite (2019).
Bong Joon-ho ha parlato del suo capolavoro. “Non sapevo come concludere il film. A tre mesi dall’inizio delle riprese ho avuto l’intuizione della terza famiglia nei sotterranei. Mi è piaciuta molto quest’idea e ho scelto di risolvere così.” Un giovane ha chiesto al regista di raccontare il processo di montaggio sonoro, “Vado a tentativi”, ha risposto Bong Joon-ho, “Mi piacciono le cose che stonano. In Parasite, la scena del crimine e della truffa è accompagnata da una musica barocca. All’inizio ho provato con Vivaldi; l’effetto mi piaceva e ho chiesto al compositore di creare qualcosa del genere. Dopo diversi tentativi, nove per essere precisi, siamo arrivati al pezzo che s’intitola The Belt of Faith. I compositori sono molto sensibili ed è difficile lavorare con loro ma ne vale la pena.”
Poche parole sul suo ultimo film che attendiamo frementi. “È ambientato nella periferia di Londra. Si tratta di fantascienza ma non preoccupatevi, non ci sono eroi. È sempre nel mio stile. Troverete i miei soliti personaggi goffi: dei perdenti. Forse, però, è proprio la loro goffaggine a permettergli di ribaltare la situazione”, ha concluso Bong Joon-ho.
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