L’autrice e regista Stefania Porrino racconta le radici del suo nuovo spettacolo a teatro Quando verrà la fin di vita (e questa storia è già finita) . Un modo per indagare sul suo personale rapporto con la vita e la morte.

Dal 7 al 16 marzo presso il Teatro di Documenti di Roma andrà in scena lo spettacolo Quando verrà la fin di vita di Stefania Porrino un progetto che racconta con grande ingegno, ironia e tenerezza la paura di invecchiare e di ritrovarsi nella fase finale della vita. In scena un cast di attori di grande esperienza Giulio Farnese, Nunzia Greco, Evelina Nazzari, Rosario Tronnolone, Carla Kaamini Carretti. Lo spettacolo, presentato dalla Compagnia del Mutamento con il Teatro di Documenti è realizzato in collaborazione con il “Centro Studi Vera Pertossi”, Quadri in scena ad opera della pittrice Màlgari Onnis. Musiche di Johann Sebastian Bach e Giuseppe Verdi trascritte da Tancredi Rossi Porrino.

Quando verrà la fin di vita”. Un’esigenza che porta alla nascita di un testo teatrale.

Questo spettacolo è un’esigenza che nasce dalla vita vissuta in questi anni: io non sono più giovanissima e vicino a me ho alcune persone anziane che stanno affrontando la fase finale della vita. Questa condizione comporta tanti problemi e ci fa riflettere su come affrontare il momento. È un modo di riscoprire il senso della vita perché quando si arriva verso la fine, la domanda si fa più pressante, ci si chiede cosa c’è dopo, che rapporto abbiamo noi con un’altra eventuale dimensione, se c’è. Sono domande che ci si fa per tutta la vita ma quando si arriva nella fase finale diventano domande urgenti. Inoltre mi è venuta la voglia di scrivere questo testo per esorcizzare le mie paure che riguardano la vecchiaia e la morte, sia nei riguardi di me stessa che delle persone più grandi di me di cui oggi mi prendo cura.

Virgilio e Beatrice i protagonisti “terreni”.

Virgilio e Beatrice sono i rappresentanti del modo di vivere di tutti noi, dove siamo sempre molto immedesimati in noi stessi, nelle nostre esigenze, problematiche, vogliamo controllare tutto. Poi la vita ci mette continuamente di fronte al fatto che non siamo in grado di avere il controllo totale delle cose, che c’è l’imprevisto che interferisce con la nostra vita. I due personaggi si trovano a combattere, come tutti noi, con la volontà di controllo e l’impossibilità di controllare tutto.

Vir e Bea, gli alter ego.

Il testo ruota attorno al comprendere che rapporto c’è tra Virgilio e Beatrice, e Vir e Bea che, come diranno i personaggi alla fine, sono la radice dei loro nomi. Ci fanno capire che alla fine sono un unico essere sdoppiato su due livelli, uno più quotidiano e conosciuto, e l’altro meno esplorato, il livello della coscienza. L’autocoscienza è qualcosa che chiunque di noi riconosce in sé: quel germe di autocoscienza che è più intelligente dell’altra parte di noi che è quella che vive invece a livello più emozionale o mentale ma razionale. Si indaga il rapporto tra queste due facce di noi stessi.

Il Destino ha già scritto la nostra storia?

Penso che ci sia un ordine generale, come un grande puzzle dove ogni pezzo deve andare nell’incastro giusto. All’interno di questo grande disegno c’è una possibilità di scelta della singola coscienza che può indirizzare la sua vita rispettando il disegno: è una libertà vigilata non un libero arbitrio ma nemmeno un determinismo totale. Nel testo, infatti, Vir e Bea propongono alcune varianti e alternative.

Essere anziani è diventato un problema sociale.

Personalmente vivo una situazione di assistenza a persone anziane, condizione non rara oggi.  Mi chiedo…che società stiamo costruendo? Al momento è tutto sulle spalle del singolo che spesso si ritrova a dover accudire uno o più anziani.  In futuro i giovani di oggi si ritroveranno a dover badare ad un gruppo di anziani ciascuno. Questo è un problema sociale su cui bisogna ragionare ora, trovare un modo di affrontare questo periodo finale che non può essere l’ospizio naturalmente, però forse nemmeno le badanti o almeno non solo. Reinventare il concetto di famiglia, rivoluzionarlo, in modo che nessuno dei suoi componenti si senta, solo, abbandonato o caricato di troppa responsabilità.

La collaborazione con Il Teatro Di Documenti.

Il primo spettacolo che ho fatto in questo magnifico Teatro è stato nel 2011, si intitolava Corpi Prigioni per la regia di Camilla Migliori, uno spettacolo scritto da me dove già c’erano  Evelina Nazzari e Giulio Farnese che sono ancora due attori che fanno parte della compagnia e anche di Quando verrà la fin di vita.

Per me il Teatro di Documenti è la possibilità di inventare testi e regie appositamente per questo spazio: gli ultimi due spettacoli che ho scritto, li ho proprio pensati già per il Teatro di Documenti, uno spazio assolutamente originale, unico, magico. Comunismo, addio? è uno spettacolo di qualche anno fa ambientato su una nave e io ho trasformato l’interno di quel teatro con una prua che andava in mezzo agli spettatori e credo sia stata forse la scenografia più d’impatto visivo che ho fatto in questi anni, sembrava veramente di stare su una nave e quel teatro permette di avere tante possibilità con pochi cambiamenti e stimola la creatività anche a livello scenografico.

Bisogna stare attenti a rispettare lo spazio così com’è, e all’interno di quello inventare qualcosa. Questa volta avevo la necessità di creare due spazi gemelli per cui ho utilizzato lo spazio più lungo della sala dividendola in due: una è la stanza dove avviene la storia vera e propria e l’altra è la stanza dove ci sono le coscienze. Ho anche utilizzato gli elementi meccanici che ci sono nel teatro, una botola che si apre, uno specchio che sale dal basso, strumenti che creano nel pubblico un grande stupore.

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foto di Monia Irma Ricci