Un’opera prima ha aperto il Festival di Cannes. Non era mai successo. Partir un jour, una commedia che non rinuncia alle influenze del musical, è il primo lungometraggio di Amélie Bonnin.

Scritto insieme al suo compagno, Dimitri Lucas, Partir un jour è il remake dell’omonimo cortometraggio che aveva conquistato i César nel 2023

Alors on danse! Le note di Stromae aprono le danze – è un invito alla festa, alla musica, alla spensieratezza. Una leggerezza che forse non si aspettava nessuno, dati i tempi che corrono… Una leggerezza che può essere fraintesa e considerata superficialità ed è invece una grande arma – ma pur sempre un’arma a doppio taglio. 

C’è di buono che la manifestazione cinematografica più prestigiosa al mondo abbia scelto come film d’apertura una storia che ruota intorno ad una delle questioni più spinose e urgenti di tutte: la maternità. E se possiamo elogiare questa mossa, bisogna comunque lasciare dello spazio ad alcune riflessioni che, per certi versi, fanno storcere il naso. 

Partir un jour ha tanti elementi Netflix – dalla trama, al tono, all’umorismo americaneggiante. 

Cécile (Juliette Armanet) scopre di essere incinta a pochi giorni dall’apertura del suo nuovo ristorante parigino che promette le “tre stelle” (il massimo riconoscimento della haute cuisine). È una chef famosa che si è conquistata il successo anche grazie ad una trasmissione culinaria televisiva. Disperata dalla scoperta del “peso” che porta in grembo, viene colpita anche dalla notizia che suo padre ha avuto un infarto.

Il compagno la spinge a tornare a casa, in provincia, per vegliare sui genitori. Così, ha inizio un viaggio che ci ricorda fin troppo bene le commedie (più spesso natalizie) tipiche della piattaforma americana. Il ritorno nella casa d’infanzia comporta rincontrare il grande amore adolescenziale, le dinamiche familiari mai risolte, e tutte quelle banalità orticarie che peccano del “già visto”. Dov’è l’originalità? Certamente nella decisione che la protagonista deve prendere: è pronta a rinunciare a tutto ciò che ha costruito e diventare mamma? Così come l’aspetto musicale, ludico, ha in sé una certa originalità.

Gli interpreti non sono tutti cantanti d’eccezione – la ricerca di spontaneità è insita nelle intenzioni degli autori. Le canzoni sono brevi introduzioni intime dei personaggi, dei loro desideri e delle loro paure. Le parole cantate sono quelle mai pronunciate nella realtà, quelle che non trovano spazio nelle relazioni. 

Questo aspetto “pop” lega bene con le scelte netflixiane…

È un film che vuole arrivare a tutti, lì dove il cinema d’autore non arriva mai. 

Facciamo un passo indietro però. L’omonimo cortometraggio da cui è tratto il film aveva come protagonista uno scrittore imbranato. La regista Bonnin ha dichiarato in conferenza stampa: “Non ci avevo pensato al fatto che fosse un uomo. Siamo abituati ad avere eroi maschili e non ci avevo riflettuto molto.” Il ritorno a casa dell’eroe maschile viene scombussolato dall’incontro di una vecchia fiamma del liceo. Lei (l’interprete è sempre Juliette Armanet) è incinta e lavora come cassiera al supermercato. Lui avrebbe potuto essere padre di quella figlia o quel figlio che lei porta in grembo ma ormai è troppo tardi. 

Il corto non offre né grandi spunti né grandi riflessioni sulla maternità. Il personaggio femminile non fa altro che mostrare all’eroe le proprie frustrazioni, i propri rimpianti. 

Viene anche da chiedersi: perché nel film la protagonista è diventata cuoca? L’eroe maschile era scrittore, l’eroina femminile passa il suo tempo ai fornelli. 

In questa dichiarazione femminista che sembra portare avanti la storia, gli archetipi si mescolano in cerca di novità ma forse quell’osannata leggerezza manca di ricercatezza nel modo in cui vengono affrontati i dubbi più intimi della protagonista. Insomma, l’eroe maschile sembra delineato con più forza in quei trenta minuti di cortometraggio dell’eroina nel film. Siamo troppo severe? Forse. C’è da dire che le migliori battute del film sono una copia conforme del cortometraggio… 

Più preoccupante è il modo in cui sono stati scritti i personaggi maschili. Contraddittori e piatti, passano da un machismo protettivo ad un’empatia che poche donne conoscono nella realtà. Magari in Francia le cose sono diverse, chissà… 

Partir un jour riesce a coinvolgere emotivamente lo spettatore. Lo fa a tradimento, quando ormai non ci si aspettava più molto. E lo fa con un tatto, tenero e tagliente. Il finale, però, sembra mancare di un realismo necessario alla storia. 

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