Ducournau non vi prenderà a testate questa volta. Vi instillerà un virus che crescerà pian piano dentro di voi. Alpha parla di violenza, di dolore e di perdita, che come un vento rosso, da un deserto lontano, continua ad insinuarsi nel presente, anche quando appartiene a un passato remoto.

Dai toni giallastri della sabbia al viola delle pubblicità anni ‘90 sull’AIDS, Ducournau trasforma una e più tragedie collettive in un dramma adolescenziale. La regista dà voce a un gruppo di vittime innocenti – sempre nel suo stile ma tirando il freno a mano. Non è in sala che piangerete. È a casa che urlerete.

Sulla linea di confine.

Alpha ha tredici anni: è una bambina che sta diventando una ragazza. Si trova proprio in quel mondo di mezzo, corre su quella linea di confine e va a sbattere. La fine dell’infanzia è segnata dal mondo esterno – una violenza gratuita, non necessaria, nera come il peggiore degli incubi. Un malessere che non troverà guarigione. 

La incontriamo per la prima volta quando è ancora piccola, che unisce i puntini di cicatrici che non le appartengono ma che la segneranno. “Ho preso una cosa” le dice lo zio (Tahar Rahim) – una promessa di libertà e bellezza che verrà disintegrata, come carta straccia. 

Più traumi si uniscono in questo universo parallelo. Si ha l’impressione di rivivere il Covid; fiumi di persone attaccano gli ospedali in cerca di aiuti, un’immagine che ricorda l’inizio di Beau ha paura. Un’incontrollabile massa alle prese con l’inferno. 

Alpha potrebbe aver contratto un virus letale…  

Visionaria e sensoriale, Ducournau ribadisce di essere maestra dell’angoscia. E se a primo impatto si ha l’impressione che qualcosa non sia arrivato a destinazione… che i toni cadaverici affatichino la visione e tutta l’originalità del film sfumi via in un qualcosa che riconosciamo come troppo familiare, bisogna aspettare. 

Come se si trattasse di un cinema dal quale ci dobbiamo difendere. Come un liquido da iniettare con una siringa, bisogna portare pazienza affinché quel virus ci entri nel sistema nervoso. Ducournau continua il suo ragionamento sul corpo – se in Titane era meccanico, in Alpha, l’uomo diventa la rappresentazione di se stesso: una statua di granito. Incapace a muoversi senza rompersi e tornare a essere sabbia; la fragilità umana messa in scena è un impressionante tour de force che probabilmente non vorremmo mai vedere. Sospesi davanti ad una frammentazione della materia, Alpha ci ricorda di che sostanza siamo fatti. 

È una Palma d’Oro? Sì. Ma dategli il tempo che merita. 

La forza non risiede nelle performances (che a tratti, verso la fine, risultano un pò forzate – un impietosire esagerato che ci lascia freddi) ma nella potenza delle immagini.

Se Titane era un film cocainomane, Alpha è un film eroinomane.

I versi di Edgar Allen Poe creano una mise en abîme dei livelli di realtà – la multidimensionalità del film è un caos solo apparente che sfocia in una tempesta di sabbia. Se a tratti ci sentiamo consapevoli di guardare una clessidra, al contempo ci ritroviamo persi dentro di essa, a provare a risalire l’intangibile superficie del tempo. 

Lentamente, il film vi crescerà dentro. Dall’ambiente studentesco che richiama il primo Raw, ai notturni da incubo di Titane, le atmosfere portano la firma del cinema della regista ma Alpha viaggia su più binari, più colori e più epoche. 

Il rapporto tra madre (Golshifteh Farahani) e figlia è la storia di un amore disperato, che non conosce misure. L’unico desiderio della mamma era quello di essere una “famille lambda”, una famiglia comune, ordinaria, tipica. Alpha non ha padre ed è definita dalla madre un pit-bull. Eppure, il suo essere alpha è dato dalla sua innocenza, in un mondo dove, più letale del virus, degli aghi e delle droghe, c’è il bullismo: un’inconsapevole e ancestrale cattiveria che uccide spietatamente. Infatti, Alpha è anche una rilettura femminista de La lettera scarlatta (di Nathaniel Hawthorne). La A di Adulterio, l’etichetta che segnava la fine di una donna nella società, è un peso che racchiude gli sguardi e i giudizi brutali di una mentalità che non accetta il diverso.

Alpha schiaccia e lo fa nel più subdolo dei modi: a scoppio ritardato. 

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