Un nome antico, associato all’immagine di una donna tenace, forte e indipendente. Chi erano le valchirie, leggendarie figure del folklore nordico che, sul campo di battaglia, sceglievano i guerrieri per portarli nell’Aldilà? Ancelle di Odino, padre della mitologia norrena, e tanto altro ancora.

In molte raffigurazioni dell’età moderna e contemporanea, le vediamo dipinte come delle splendide ragazze armate di tutto punto, in sella a dei cavalli spesso alati, ma, nella mitologia nordica, in realtà, le valchirie avevano un aspetto più cupo e oscuro.

Solcavano i cieli dei campi di battaglia in groppa a dei corvi o a dei lupi, creature che profanavano i resti dei guerrieri morti in battaglia o, come nel caso dei corvi, portatori di messaggi e di presagi. Nel tempo la loro figura si corroderà e i loro nomi, da altisonanti e legati alle battaglie e alle armi, passeranno a indicare qualcosa di più oscuro e legato a figure temute e considerate oscure come le gigantesse e le streghe.

Le valchirie: da protettrici dei guerrieri a spose nostalgiche.

Scegliere i guerrieri meritevoli era un compito delicato ed essenziale, in una società che vedeva nella morte in battaglia il significato stesso dell’esistenza, ma trasportare nel Valhalla gli eroi non è l’unico compito di queste donne divine. Le valchirie sono anche annunciatrici di messaggi divini e protettrici dei guerrieri che eleggono come loro preferiti: la loro immensa conoscenza viene direttamente da Odino, il padre degli dèi nordico e dio della magia, ma non sono gelose di questo loro potere, anzi: nei miti supportano spesso i vari Sigurdr o Helgi con i loro consigli.

Quando il loro aiuto viene meno, le sorti degli scontri mutano, aspetto che sottolinea la loro importanza come creature dotate del potere di scegliere chi vincerà una battaglia, con tutti gli oneri che una decisione di tale portata comporta.

Lo sa bene Brunilde, valchiria tra le più famose, che, proprio per aver donato la vittoria a un guerriero sgradito a Odino, si vedrà condannata da quest’ultimo a dormire un sonno incantato, fino a che Sigurdr non la risveglierà.

Per le valchirie il legame con gli eroi mortali, tuttavia, non si limita al solo consiglio. Molto spesso queste figure divine arrivavano a sposare degli uomini e a trascorrere con loro diversi anni, per poi ammalarsi di nostalgia e volare via sotto forma di cigno, seguendo il tema della sposa celeste, dell’unione tra il mondo soprannaturale e quello umano, caro al folklore di quasi ogni cultura. Il candido cigno, associato nella mitologia nordica all’alba, alla femminilità e alle valchirie, simboleggia la connessione tra l’umano e il divino.

La valchiria più famosa: Brunilde.

Sebbene spesso le valchirie vengano indicate come fossero un tutt’uno, con un solo carattere e con nomi che ricordano sempre la battaglia e le armi, quando sono protagoniste dei vari miti nordici acquistano personalità e spessore, arrivando a trasformarsi in eroine indimenticabili.

È il caso della valchiria Brunilde, il cui nome significa corazza della battaglia, famosa per essere la protagonista sia della canzone dei Nibelunghi che della saga dei Volsunghi. Le sue vicende hanno ispirato poeti, pittori e compositori come Wagner. Bellissima ed estremamente sapiente, Brunilde è una valchiria che offre all’amato Sigurdr una coppa colma di idromele della sapienza, una bevanda che consentirà all’eroe di conoscere il segreto della vita.

Una relazione, quella tra Brunilde e Sigurdr, tragica: lui la risveglierà dal sonno magico a cui l’aveva condannata Odino dopo aver ucciso il drago Fafnir, ma una serie di inganni e di tradimenti lo porteranno a sposare un’altra donna, Gudrùn. Ferita nel proprio onore, furiosa, la valchiria si vendicherà dell’amato e, alla morte di Sigurdr, sceglierà di seguirlo nell’aldilà dopo essersi trafitta con la propria spada.

Dalla valchiria alla donna scandinava.

Se le valchirie ricoprivano un posto tanto centrale nella mitologia nordica, quale doveva essere il ruolo della donna presso queste società? Alcune studiose, come la storica islandese Jóhanna Katrín Friðriksdóttir, si sono interrogate a lungo su questo aspetto.

Un popolo in grado di immaginare delle figure femminili così affascinanti e potenti doveva attribuire un qualche ruolo attivo alle proprie donne. Leggendo le saghe nordiche e le cronache più o meno coeve o medievali, è possibile incontrare figure femminili forti e assertive, in grado di suggerire ai mariti strategie efficaci, oppure tanto fiere da sfidare il volere di padri e mariti.

Il matrimonio garantiva alle donne una serie di diritti e una sorta di potere e non mancano fonti scritte che ricordano come alcune di loro si dedicassero ad attività commerciali e proto imprenditoriali, guadagnando denaro soltanto loro.

La legge norrena stessa garantiva alle donne una serie di diritti che, nel resto d’Europa, non vennero nemmeno immaginati per secoli, come il divorzio o la non scontata possibilità di ereditare beni, ma attenzione: far rispettare queste norme era tutt’altro che semplice e scontato. Rappresentava una realtà possibile solo se la donna aveva dalla sua parte i maschi della propria famiglia, magari perché interessati nella creazione di nuovi e più opportuni legami politici tramite un matrimonio.

In caso contrario, riuscire a rivendicare le proprie ragioni e far rispettare un diritto sancito, diventava molto più complesso e difficile. La situazione femminile delle donne scandinave che ci siamo abituate a vedere in telefilm di successo come Vikings appare quindi decisamente più complessa e sfaccettata di quanto non possa sembrare a prima vista, mutando in base alle strategie familiari e al ceto sociale d’appartenenza.

Qualcosa che ci è familiare e che possiamo riconoscere anche oggi, dove la parità di genere è un concetto che non sempre riesce a trovare una sua applicazione pratica.

Le vere valchirie: le skjaldmær tra leggenda e storia.

Altrettanto complesso e affascinante è il tema delle donne guerriere così vicine alla figura delle valchirie, le skjaldmær, un argomento su cui gli studiosi dibattono ancora. Nell’immaginario collettivo e in serie TV come Vikings, le donne combattono: basta pensare all’affascinante figura della bellissima e indomita Lagherta, guerriera con i capelli sciolti citata anche da Saxo Grammaticus nelle Gesta Danorum.

Ma, nella realtà, esistevano davvero queste figure? Alcuni corredi presenti nelle tombe femminili norrene rinvenute in Inghilterra mostrano la presenza di armi e, oltre a Saxo Grammaticus, esistono anche altre fonti, coeve o meno, che raccontano di come le popolazioni scandinave annoverassero anche guerriere nelle loro fila, ma la comunità scientifica non è d’accordo all’unanimità su quale senso attribuire a tale presenza, se si tratti, insomma, di verità storica o di leggenda.

Eppure, l’idea che possano essere esistite delle donne guerriere come le valchirie del mito affascina, così come le storie raccontate dalle saghe nordiche, dove, in un mondo con scarse risorse, ricco di lotte per il potere, splendono figure di donne iconiche e volitive, orgogliose e feroci, meravigliose nella loro potenza.

Forse, allora come oggi, l’incanto che suscitano rappresenta il bisogno di vedere in queste figure fantastiche un elemento di riscatto rispetto a una realtà ancora lontana da una completa parità di genere. Forse tengono viva la tensione tra ciò che vorremmo che fosse e ciò che, ancora, è.

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