L’amore che sfida la supremazia del tempo

C’è una storia che non conosce la supremazia del tempo, non teme neppure l’ira dello scorrere incessante dei secoli. Una storia d’amore che fonda le sue radici in pilastri e basamenti di marmo bianco e arenaria rossa che risplendono alla luce di ogni alba nella lontana terra d’India: una favola d’amore profonda e inebriante, scheggiata dal dolore e dalla separazione che solo la morte può obbligare.

Agra. Capitale del Regno Mogul, anno 1654: il quinto Imperatore Shah Jahan (nome originario della Persia, il cui significato è Re del mondo) può finalmente ammirare il completamento dei lavori di costruzione del grande Mausoleo pronto a proteggere e custodire il corpo della sua adorata moglie Arjumand Banu Begum, conosciuta con il nome Mumtaz Mahal (che in persiano significa “gioiello del palazzo”).

Il suo sguardo è triste, nubi nere all’orizzonte gli si addensano dinnanzi perché uno dei suoi figli ha deciso che non è più tempo per lui di regnare e, pertanto, sta cercando di estrometterlo dal trono. Shah Jahan ha il cuore altrettanto stanco di combattere per il potere e il regno; ha subìto una frattura insanabile quando la sua adorata seconda moglie Mumtaz Mahal, ha perso la vita durante il parto del loro quattordicesimo figlio.

Moglie devota e innamorata, bella ed eterea, è sempre accanto al suo Imperatore tanto da accompagnarlo -anche nell’ultimo trimestre di gravidanza- durante una campagna bellica, nel Sud del paese. Lei muore, lui lascia il suo cuore a disintegrarsi dal dolore. La leggenda narra addirittura che dopo la scomparsa dell’amata, persino il suo corpo mutò, permettendo al dolore di divenire visibile agli occhi degli altri: i suoi bei capelli neri e fulvi , come la sua stessa barba divennero bianchi nel giro di pochissimi mesi.

Niente e nessuno poteva consolarlo, il suo cuore aveva perso battiti e forza, senza la sua amata sposa lui non voleva più lottare, ma la storia ci sussurra che il monumento funerario che decise di far costruire, in realtà fu un’esplicita richiesta dell’amata sul letto di morte, insieme ad altre tre promesse: quella di risposarsi, di far visita alla sua tomba nell’anniversario della sua morte e di essere un padre presente e comprensivo per i loro figli. Di tutte e quattro le richieste, solo quella del mausoleo funerario sembra essere stata rispettata. I lavori iniziarono nel 1632 e terminarono ben ventidue anni dopo. Vennero impiegati più di ventimila persone per la costruzione, molti artigiani arrivarono dall’Italia e dal resto d’Europa per portare avanti i lavori di questo immenso gioiello architettonico dell’arte indiana.

Gli fu dato il nome di: Taj Mahal -che letteralmente significa “Palazzo della Corona” o “Corona del Palazzo”- ma che in molti credono sia un abbreviazione del nome di Mumtaz. È una delle nuove sette meraviglie del mondo e dal 1983 è stato riconosciuto Patrimonio dell’umanità da parte dell’Unesco.

Su molte pareti esterne sono incise dei versetti del Corano, una delle più belle si trova sulla parte posteriore e riporta un bellissimo versetto, che si conclude così: “O anima che riposi, ritorna al Signore in pace con lui ed egli in pace con te. Entra come uno dei suoi servitori ed entra nel suo giardino.”

Della sua unicità il complesso architettonico gode anche di molte particolarità, tra cui: la perfetta geometria e la capacità di sembrare sempre diverso agli occhi di chi l’osserva, a seconda della luce che lo colpisce può apparire bianco, rosa o dorato.

Milioni di visitatori ogni anno entrano e visitano il Taj Mahal, ammirando la sua magnificenza e la storia d’amore che esso protegge perché, dopo la sua morte anche l’imperatore fu sepolto lì, insieme alla sua amata. Il luogo dove riposano i corpi Shah Jahan e la sua sposa , sono chiusi al pubblico, ma il loro legame è tangibile attraverso l’aura magica che il monumento emana a discapito del tempo e della sua ineluttabilità.

Per Tagore il Taj Mahal è “una lacrima di marmo, ferma sulla guancia del tempo”.