La scuola si mobilita contro la DAD e fa sentire la sua voce attraverso quella degli studenti, dei professori e dei genitori. Il covid- 19 calamita la nostra attenzione sulle difficoltà sanitarie, su un sempre più probabile disastro economico, distogliendola da un altro fattore a rischio per la nostra società: l’istruzione.
Era il 4 marzo 2020. A causa dell’epidemia che avrebbe piegato il mondo, le scuole di tutta Italia di ogni ordine e grado venivano chiuse. Da quel momento nel nostro linguaggio comune entra a far parte un nuovo acronimo: DAD che sta per didattica a distanza. Gli studenti di ogni ordine e grado vengono rinchiusi in casa (come tutti del resto, visto il lockdown generale) davanti ai pc, costretti a riorganizzarsi, a vedersi e a studiare attraverso uno schermo. In quei mesi che sembrano lontani, ma che assomigliano alla fotocopia di quelli che stiamo vivendo ancora adesso, probabilmente nessuno percepì il pericolo e la durata di questa situazione. Una situazione che si sta protraendo e che, tristemente, non vede ancora la fine.
Ieri, 11 gennaio, in molte città italiane gli studenti sono scesi in piazza per manifestare il loro disappunto su una gravosa circostanza che sembra non trovare una soluzione efficace per farli tornare sui bachi di scuola. Tra i tanti cartelli sbandierati ce n’è uno che dovrebbe farci riflettere. Poche parole, scritte su un cartone, a mano: scuola in confusione, futuro in distruzione.
A guardarli ieri, seduti a terra distanziati o con gli striscioni in mano, questi ragazzi sembra che stiano combattendo non tanto contro i provvedimenti del governo, quanto per il loro futuro. Sappiamo bene che l’emergenza sanitaria è attuale e sempre presente. I contagi in aumento in tutto il mondo sono indice di una realtà che purtroppo non prospetta nulla di buono. Ancora una volta.
Ma della protesta pacifica di ieri dobbiamo osservarne la preoccupazione per i giorni e i mesi a venire, per il futuro di una giovane generazione costretta ora a rinunciare a una sana istruzione, obbligata magari a rinunciarvi addirittura a causa di quei mezzi di comunicazione che non sempre sono presenti in casa e che discriminano e creano divari sociali. Le lezioni online che saltano a causa di connessioni internet ballerine non sono l’unico disagio. Il problema sono proprio quegli schermi che fanno da barriera e che impediscono ogni tipo di salutare connessione umana.
La scuola è maestra di vita. Parole che abbiamo sentito ripeterci nel tempo. A scuola si imparano non soltanto la materie umanistiche o scientifiche ma si innesca quel processo sociale atto al confronto, all’apertura, al fare comunità, a superare le proprie insicurezze. A scoprire, in qualche modo, i propri talenti per applicarli su se stessi e sugli altri.
Guardandola da un lato più generale, il problema della DAD non è la DAD stessa ma come la si sta affrontando, ovvero come se fosse l’unica difficoltà più grande che nessuno ha saputo ancora risolvere. A lungo si è parlato di come tornare sui banchi di scuola, luoghi messi di certo in sicurezza. Dietro alla DAD si nascondono problemi come quello dei trasporti soprattutto, di come dunque raggiungere gli edifici scolastici in totale sicurezza, o di come poter fare lezione in luoghi più idonei dove venga rispettato il distanziamento. La lunga assenza dai banchi, e dunque dal sacrosanto diritto di studio come lo abbiamo sempre inteso, ha scatenato gli animi per l’incapacità di ovviare a problemi come questo.
La didattica a distanza, protratta così a lungo, sembra diventare un pericoloso seme sterile. Questa situazione congelata, le riaperture continuamente rinviate e scaglionate tra regione e regione, rischiano di far crescere frustrazioni e divisioni.
A pagarne le spese saranno i nostri giovani ma non nelle prossime settimane a venire durante le quali usciranno altri dpcm, ma in un futuro più lontano poiché costretti a raccogliere e rimettere insieme i cocci di una emergenza che gli adulti non hanno saputo gestire anche e soprattutto per loro.
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