Il vero volto di un caregiver. Una diagnosi di tumore o di qualunque altra malattia fortemente invalidante, si abbatte con la forza di uno tsunami sul paziente e sulla famiglia. Inevitabilmente, un familiare si ritroverà a prendersi cura del proprio caro malato a titolo totalmente gratuito.

La figura del caregiver

È così che nasce la figura del caregiver, una persona molto spessa lontana dall’ambiente sanitario a cui viene “richiesto” di diventare infermiere, OSS, psicologo e tutore del malato. Le mansioni di una figura come questa sono molteplici e vanno dall’assistenza diretta (lavare, vestire, cucinare), alla sorveglianza nel caso si abbia una persona obbligata a stare a letto, dalle questioni amministrative e burocratiche, all’accompagnamento a visite in centri e strutture specifiche.

Una vita stravolta

Una malattia in famiglia interrompe la vita di tutti i membri del nucleo familiare il quale deve adattarsi a una quotidianità fino a quel momento estranea. Se in Europa la figura del caregiver viene considerata importante e viene supportata maggiormente, in Italia questa figura ancora non viene riconosciuta del tutto o, perlomeno non viene affiancata ad un vero e proprio supporto psicologico. Questo perché, non è solo il malato ad avere bisogno ma anche e, soprattutto, il caregiver. Questo è il vero volto di un caregiver.

Il peso dell’assistenza

Chi si trasforma in caregiver a poco a poco dimentica sé stesso perché di tempo per sé non ne ha. Questo articolo non vuole essere una disamina tecnica sulla figura del caregiver quanto una riflessione su questa figura, che ho svolto personalmente per curare i miei genitori. Leggendo vari articoli sul caregiver non ho potuto non riconoscermi ma, soprattutto, non ho potuto evitare una riflessione su quello che comporta a livello fisico ma, soprattutto, a livello psicologico. Chi ha la responsabilità di un malato, soprattutto oncologico, ha di fronte una montagna enorme da superare. Il caregiver non è solo chi si occupa della parte pratica e assistenziale in casa ma diventa, anche, una sorta di “psicologo” e unico punto di riferimento. Detto questo, però, vorrei sottolineare il “terremoto” che si abbatte su questa persona e il quale stravolge la sua quotidianità. Non è padrone di sé stessa come prima ma, a poco a poco, si annulla sotto il peso dell’assistenza.

I caregiver vanno aiutati

Molti vedono i caregiver come figure mitologiche dalle mille risorse, quelli che sanno sempre cosa fare e quando fare determinate cose. Ma nessuno insegna loro come farlo. Ed è qui che entra in gioco la resilienza che, come possiamo ben immaginare, non è uguale per tutti. C’è chi resiste fino alla fine e chi cede lungo il percorso. Non parlo di un cedimento necessariamente fisico ma di quello emotivo. Il caregiver non è più lo stesso, si sforza di trovare soluzioni, tempo ma soprattutto di essere presente a livello umano nei confronti del malato. Ma chi pensa al caregiver e al dramma interiore che sta vivendo?

La fine di tutto

Il più delle volte, il caregiver assiste persone che non ce la faranno. Vi assicuro che vedere spegnersi le persone che si amano a poco a poco provoca un dissesto psicologico importante. Per questo andrebbe seguito parallelamente con il percorso di assistenza. Se il malato viene sconfitto dalla malattia ci sono delle implicazioni psicologiche nel caregiver. Non parlo da professionista ma da chi ci è passata e ha dovuto affrontare il lutto. Può succedere che, all’annientamento della propria vita subentri anche un senso di colpa che porta con sé molte domande: Ho fatto quello che dovevo? Non ho fatto abbastanza? E se avessi preso decisioni diverse?

La ripartenza

Vi assicuro che sono domande normalissime e che non devono essere minimizzate da chi non vi è passato. Dico questo perché la responsabilità di un caregiver va oltre quello che si pensi: questa figura vive la malattia insieme al malato e un po’ la fa sua. Dover accettare la morte, dipende dai casi ovviamente, comporta mettersi in discussione e avere la sensazione di aver fallito. Ripartire con tale stato d’animo nel tentativo di riappropriarsi della propria individualità e della propria vita non è semplice come molti pensano. A questo si aggiunge la rabbia di aver visto la propria quotidianità stravolta e non aver vinto la battaglia.

Aiuto psicologico

Per tutti questi motivi, la sanità italiana come di qualunque altro paese non può non vedere questo esercito silenzioso di persone che cercano, nei pochi modi che conoscono, di salvare i loro familiari. Accettare una sconfitta così non è semplice, ripartire non lo è altrettanto. Bisogna recuperare una quotidianità perduta e, a volte, anche dimenticata, lottare con lo stress che arriva a saldare il conto. C’è bisogno di aiuto psicologico sin da subito, dall’inizio del percorso per imparare a gestire le emozioni, il dolore, lo stress e tutto ciò che una situazione del genere comporta. Fortunatamente, oggi, alcune strutture sanitarie mettono a disposizione percorsi di aiuto psicologico sia per i malati che per i caregiver e questo rappresenta un buon passo in avanti per evitare che molte persone, diventate caregiver, possano cedere durante o dopo la fine del percorso. Questo è tutto ciò che rappresenta il vero volto di un caregiver e che molti dimenticano.

Mi rivolgo a chi è stato o è un caregiver: COMUNQUE VADA RICORDATEVI CHE NON SIETE SOLI E CHE SE AVETE BISOGNO, CHIEDETE AIUTO PERCHÉ FARLO NON VI RENDERÀ DEBOLI AGLI OCCHI DEGLI ALTRI E POTREBBE SALVARVI DAL CIGLIO DEL BURRONE IN CUI PENSATE DI TROVARVI.