Abbiamo conosciuto Anarkikka su Instagram qualche anno fa e non abbiamo più smesso di seguirla. Intervista a Stefania Spanò, la sua ideatrice.
Il tema che Anarkikka ha più a cuore, quello per cui si indigna e si incazza di più è la violenza di genere. Il suo primo libro pubblicato da People nel 2021 “Smettete di farci la festa” ha riscosso molto successo. Il primo marzo è uscito per la stessa casa editrice “Non chiamatelo raptus“
Abbiamo provato subito simpatia per quel caschetto bruno dallo sguardo imbronciato, a tratti basito se non arrabbiato. Un caschetto che rivendica la propria identità e che non perde occasione di farsi sentire quando ce n’è bisogno. Anarkikka si indigna, si incazza e urla quando a una donna viene tolta la voce, quando viene commessa un’ingiustizia, quando tutti si girano dall’altra parte.
È puntuale, intelligente, molto simpatica e generosa. È una donna e si chiama Stefania Spanò. La ringraziamo per il tempo che sta per dedicare a questa intervista.Vorremmo partire banalmente dal nome Anarkikka perché ci piace tantissimo. Ha un significato inequivocabile di ribellione e libertà. È il nome del suo personaggio ed è quello con cui è conosciuta.
Quando hai deciso di chiamarti Anarkikka e perchè?
È una storia particolare che unisce madre e figlia. Quando ho disegnato la personaggia mi sono ispirata a mia figlia Francesca/Kikka (da adolescente). Aveva un “caratterino”… e questo soprannome. Volevo farne un fumetto. Ma Anarkikka ha preso una strada sua, inattesa, autonoma, un linguaggio inaspettato. Ero io che evolvevo, che mi determinavo attraverso lei. Lei era la mia voce, lei si arrabbiava e denunciava, cose che io nel quotidiano, per carattere e buona educazione, ancora oggi non riesco a fare. E le persone hanno iniziato a identificarmi con lei. Oggi Anarkikka sono io.
Si parla di te come autrice, vignettista, illustratrice, attivista e femminista. Tra queste definizioni qual è quella in cui ti ritrovi di più?
In sintesi, “vignettista femminista”. Le vignette, il loro linguaggio, è il mio più affine, è il mio talento. È il mio linguaggio per comunicare col mondo. Femminista, invece, è la parola che ho (ri)scoperto in questo percorso e che oggi rivendico e trovo essenziale per attraversare questo periodo storico. Tuttə dovremmo essere femministə. Sono convinta che moltə non lo siano perché ancora non ne hanno colto il significato.
Con pochi termini esprimi concetti immensi. Che importanza ha per te il linguaggio scritto, oltre a quello disegnato?
Le parole scritte restano. Verba volant, scripta manent non l’ho inventato io. Restano e colpiscono, soprattutto quando arrivano chiare e immediate. Scrivere mi aiuta nella comunicazione essenziale, senza fronzoli o giri inutili e dispersivi. Sono sempre stata sintetica, diretta al punto. Credo nasca dal mio essere silenziosa, ho sempre parlato poco. Se aprivo bocca era perché importante e dovevo dire tutto in poco tempo.
Poco tempo fa abbiamo pubblicato un articolo sul gender gap nelle redazioni giornalistiche. È un argomento che ci tocca molto e anche nel tuo ambito spiccano sempre nomi maschili. Pensi che ci saranno dei cambiamenti in futuro?
Lo spero. Io fatico ancora tanto, nessuna testata di rilievo riconosce la mia professionalità. Soprattutto perché “mi occupo solo di donne!” (detto testualmente). È un problema enorme. Io so di avere tanto da dire, di saperlo dire, ma questo non sembra interessare. Per fortuna ho le persone che mi riconoscono, che mi sostengono, per cui lavoro, anche. Ci sono gli enti, le scuole, i Centri antiviolenza, le Case delle Donne. Al mio impegno di attivista con le vignette, ho affiancato lavorare per la comunicazione nel sociale. Se non fosse per altre donne, non saprei come sfamarmi.
Che riscontro hai tra le donne che ti seguono? Alcune ti raccontano le proprie esperienze e i propri drammi?
Le donne, ma anche gli uomini che mi seguono, sembrano accogliere con piacere il mio nuovo lavoro, e ne sono felice. Gli incontri sono sempre più partecipati, le persone hanno scoperto che riesco a parlare anche in presa diretta! Le prime volte è stato difficile, oggi se inizio a parlare non mi fermo più.
Negli anni, molto spesso mi è capitato che donne mi abbiano scritto per raccontarsi o per chiedere aiuto. Io ci sono, spesso divento ponte con i centri antiviolenza. Alcune storie non si dimenticano. Sono segni, diventati anche grafici.
Il nostro Paese ha un numero di femminicidi molto alto e una politica che continua ad essere insensibile e inadeguata di fronte al problema. Quanto incide il fattore culturale e cosa possiamo fare perché le cose cambino?
Il fattore culturale incide tantissimo perché “è” il problema. La politica ancora adesso prova a negare, a non farsene carico. Ma è la società che ancora non si è assunta la responsabilità collettiva della violenza. Ogni violenza, discriminazione, ha radice in un cultura patriarcale dura a morire, che portiamo avanti da millenni. I femminicidi sono solo l’apice di un sistema fatto di sopraffazioni e disequilibri nelle relazioni uomo/donna e altre soggettività.
Quello che possiamo fare è educare le nuove, nuovissime generazioni, al rispetto e alla libertà. Insegnare ai e alle piccoli/e a essere, a essere liberə, ad avere il diritto a esistere per ciò che realmente siamo, senza sovrastrutture. Imparare la propria libertà, poterla esercitare, ci insegnerebbe a rispettare quella dellə altrə. Allə adultə, invece, basterebbe fare la propria parte, ognunə nel suo piccolo, con gli strumenti che abbiamo a disposizione. Basta una parola giusta detta al momento giusto, a chi abbiamo affianco, a fare tanta differenza.
Sei molto attiva politicamente e prendi parte a molte manifestazioni di piazza. Ci sono gruppi e associazioni femministe a cui sei particolarmente legata e con le quali collabori?
Sono legata a molti movimenti, nuovi e meno nuovi, a femministe di ogni età. Da ognuno/a cerco di prendere, di imparare, ma provo anche a restituire. Ho un pensiero molto libero, non sono ideologica, e come artista spesso necessito di guardare da fuori, stando dentro, mettendomi in gioco comunque. Posso dire, però, senza dubbio, che nonostante anagraficamente io sia un po’ appesantita, sono molto vicina ai movimenti recenti, come NUDM (Non una di meno, ndr) . In generale sento molto le istanze e le cause degli ultimi femminismi. Sarà che Anarkikka è giovane, poco più di 10 anni.
Chi è Anarkikka
Anarkikka è autrice e vignettista. Attivista femminista, negli ultimi dieci anni ha disescritto (neologismo che le ha regalato la linguista Vera Gheno), con un’ironia particolare e forte capacità di sintesi, la realtà della vita delle donne nel nostro Paese. Molto nota tra i movimenti femministi e i Centri AntiViolenza, ne condivide le lotte necessarie perché si arrivi ad essere una società equa e differente.
Con l’associazione Diritti d’Autore, di cui è socia fondatrice, collabora da anni con varie realtà associative, scuole e enti pubblici, organizzando campagne sociali, progetti educativi e mostre itineranti. Dal 2017 cura la comunicazione per la CGIL Nazionale, legata alle giornate dell’8 marzo e del 25 novembre. Ha realizzato la copertina e le illustrazioni di Stai zitta di Michela Murgia (Einaudi, 2021). Per People, ha pubblicato Smettetela di farci la festa (2021) e il calendario Santa, maDonna (2023).
La sua storia è parte di Ho detto no. Come uscire dalla violenza di genere (Il Sole 24 Ore, 2022) scritto dalle giornaliste Chiara di Cristofaro e Simona Rossitto. Blogger per l’Espresso.it, pubblica sul quotidiano lasvolta.it. Nel 2022 l’associazione Differenza Donna le ha riconosciuto l’Award per mettere il proprio talento al servizio del femminismo e della libertà delle donne. Il primo marzo 2024 è uscito nelle librerie il libro Non chiamatelo raptus (People). Ad Aprile 2024 Dire fare Cambiare APS le riconosce il Premio Cambiare per il suo impegno a favore delle donne.
Il libro è acquistabile qui: Non chiamatelo raptus, People 2024.
Leggi anche: Disparità di genere. Dove sono le donne nelle redazioni?
Comments are closed.