esta del Lavoro. Primo Maggio, Il cammino delle donne italiane verso la parità
Lavoro, donne e diritti. Sconfitte e conferme sulla nostra pelle. Diamo i numeri a questo Primo Maggio. Quante sanno che la “Festa del Lavoro” ha avuto origine dalle richieste di ridurre la giornata lavorativa a otto ore? Perché ancora oggi il lavoro di cura, che si somma alle ore lavorate fuori casa, non viene ufficialmente riconosciuto né pagato?


Lavoro, conquiste e delusioni. In tutto il mondo, leggi e pratiche discriminatorie ancora oggi impediscono alle donne di lavorare o avviare imprese su un piano di parità con gli uomini. E in Italia il tasso di “femminilizzazione” nel mondo del lavoro è ancora troppo basso. Numeri e percentuali che fanno impallidire anche questo Primo Maggio.
Andiamo con ordine. Sono passati 76 anni dal 1° gennaio 1948, giorno in cui la Costituzione italiana è entrata in vigore. Per la prima volta una donna nell’ottobre 2022 è diventata presidente del Consiglio dei ministri e un’altra è stata eletta segretaria del principale partito di opposizione, il Partito democratico, nel febbraio 2023. All’articolo 3, il principio della parità di genere: “I cittadini, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni sociali, di religione e di opinioni politiche, hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge”. Nel 2003 l’articolo 3 è stato rafforzato grazie a una modifica dell’articolo 51: “La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.

Lavoro e pari opportunità.

Il dossier del Senato dal titolo: “Senza distinzione di sesso. Il cammino delle donne italiane verso la parità dalla Costituzione a oggi”, un documento di analisi pubblicato (clicca qui), in occasione dell’8 marzo 2023, ripercorre “le principali tappe normative della lunga marcia delle donne italiane verso l’uguaglianza, individuando alcuni temi privilegiati”. Un percorso nei fatti non ancora completato come evidenzia lo stesso dossier del Senato, citando il Rapporto annuale del World Economic Forum, si sottolinea  infatti come ancora nel 2022 l’Italia era al 63mo posto su 146 Stati per Gender Gap.

Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire.

È all’insegna della lotta per la riduzione della giornata lavorativa che nasce la festa del lavoro. La storia di questa ricorrenza ha le sue radici negli Usa, precisamente a Chicago. Dove il 1° maggio 1886 ottantamila persone diedero vita al più grande corteo mai visto per le strade della città americana. Ma la manifestazione durata più giorni degenerò, fino a quando il 4 maggio durante la protesta in Haymarket Square, la piazza del mercato delle macchine agricole, esplose una bomba. A quel punto la polizia presente rispose sparando sulla folla. Il numero dei morti è ancora contestato, ma sarebbero 11 le vittime tra agenti e manifestanti. È in memoria delle vittime, i “martiri di Chicago”, e di quegli eventi, che nel 1889 l’American Federation of Labor propose il Primo Maggio come festa dei lavoratori.
Gli echi dei tragici eventi di Chicago attraversarono l’America, per poi estendersi anche in Europa. Dove la prima nazione a ufficializzare la data come festa del lavoro fu la Francia. Era il 20 luglio 1889 quando durante il congresso della Seconda Internazionale, riunito nella capitale francese, venne indetta una grande manifestazione per chiedere alle autorità pubbliche di ridurre la giornata lavorativa. Cosi lo slogan: “Otto ore di lavoro, otto di svago e otto per dormire”, nato in Australia a fine ‘800 si diffuse in tutto il mondo.

Il lavoro di cura: straordinario non pagato.

Eppure, nonostante si celebri da oltre cento anni, le donne continuano regolarmente a lavorare più di otto ore al giorno. Perché esiste anche il lavoro domestico, che non viene ufficialmente riconosciuto né pagato. L’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) ci dice infatti che le donne continuano a lavorare più ore al giorno rispetto agli uomini sia nel lavoro retribuito, sia in quello non retribuito, come quello domestico e di cura. E secondo l’ultimo report dell’Inps le donne continuano a percepire pensioni e stipendi più bassi: la parità di genere nel mercato del lavoro è ancora lontana.
Il fatto che il lavoro di cura sia sempre stato una responsabilità invisibile delle donne, è gravato da un sistema economico che non è disposto a considerare la cura dei bambini, dei disabili, degli anziani e dei malati come lavoro. Come rileva l’Ocse, le donne impiegano mediamente 2,5 volte in più il tempo trascorso nella gestione della casa e dei figli rispetto agli uomini. La media giornaliera è di 4,73, contro il 1,84 degli uomini.

In Italia salari più bassi a parità di ruolo.

Le lavoratrici, si legge sempre nel rapporto Inps, trovano ancora oggi lavoro solo in un numero limitato di ambiti rispetto ai colleghi di sesso maschile e spesso in attività contraddistinte da salari più bassi rispetto a quelli percepiti dai lavoratori, anche a parità di ruolo ricoperto. I settori in cui il tasso di femminilizzazione – il rapporto cioè tra donne occupate e il totale – è, come prevedibile, più elevato nei servizi: 79% nella sanità, 77% nell’istruzione, 53% nella ristorazione. Le donne sono invece fortemente sottorappresentate nel settore manifatturiero (30% circa), fino a essere quasi del tutto assenti nel comparto delle costruzioni, dove rappresentano poco meno del 9% degli occupati e delle occupate e all’interno dei Corpi di Polizia, Vigili del Fuoco e delle Forze Armate, dove circa il 90% del personale in servizio è di sesso maschile.

Ultime in Europa in fatto di parità di genere.

I dati parlano chiaro anche secondo l’ultimo Gender Equality Index, il rapporto dell’Istituto europeo per la gender equality (Eige), l’Italia è ultima in Europa per quanto riguarda la parità di genere nel mondo del lavoro, con un punteggio di 63,2 (la media europea è di 71,76) e un livello di partecipazione femminile al lavoro tra i più bassi (68,1 contro 81,3).
Meglio non va per quanto riguarda il tempo dedicato alle attività di cura – che ricade ancora culturalmente sulle donne nel 71% dei casi – e per l’occupazione delle donne con figli: la scelta di avere figli grava come un ricatto sulla vita delle donne che lavorano e limita le opportunità di carriera, traducendosi in una scarsa presenza in posizioni decisionali.
Secondo quanto riportato nello stesso indice a fine 2021, il tasso di occupazione femminile è sceso al 49 per cento in relazione al 2020, mentre il divario rispetto agli uomini è salito di 18,2 punti percentuali (rispetto ai 17,9 del 2019). L’occupazione femminile è particolarmente bassa nel Mezzogiorno (32,2%) e nelle isole (33,2%): un dato allarmante perché tra le cinque regioni europee con i valori più bassi di occupazione femminile, quattro sono proprio nel sud Italia.

Nel mondo siamo al 63esimo posto. Dopo Zambia e Uganda.

Con una situazione del genere, non stupisce poi tanto che l’8 marzo 2023 il World Economic Forum abbia messo l’Italia al 63esimo posto al mondo per gender equality, sotto Zambia e Uganda e subito prima della Tanzania. E non stupisce nemmeno l’aggiornamento sul tema che arriva dall’Inps, che ci dice come il tasso di femminilizzazione, calcolato come la percentuale di donne lavoratrici rispetto al totale degli occupati, sia passato dal 40,6% nel 2010 ad appena il 41,7% nel 2022.

Le donne faticano di più a trovare lavoro.

In Europa, dove ci sono esempi virtuosi che arrivano soprattutto dai paesi del nord, secondo l’Eurostat, le donne guadagnano in media il 12,7 per cento in meno all’ora rispetto agli uomini. Il nostro paese si posiziona tra i più virtuosi d’Europa con un 5 per cento di divario di retribuzione. Questa percentuale, però, è solo apparentemente positiva.
Il divario, infatti, è contenuto perché da noi l’occupazione femminile è bassa. Si parla di un tasso del 43,6% a fronte di una media europea del 54,1. Inoltre, il vantaggio femminile nell’istruzione, che nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni è del 35,5% contro il 23,1% degli uomini, non si traduce in un maggiore tasso occupazionale.
In soldoni: nonostante arrivino alla laurea più dei maschi, le femmine faticano di più a trovare lavoro. E sul fronte opposto, ovvero quello formato da chi per mille ragioni diverse ha smesso di studiare, va ancora peggio. Le donne prive di formazione specializzata spesso finiscono per stare a casa a occuparsi dei figli, di conseguenza la forza lavoro femminile non solo è ridotta, ma anche più omogenea e qualificata di quella maschile, e questo a livello generale limita le disparità.

La più grande discriminazione nella storia dell’umanità.

L’ultimo report della Banca Mondiale Women, Business, and the Law, pubblicato il 4 marzo 2024 mette in luce quella che è la più grande discriminazione nella storia dell’umanità: quella tra maschi e femmine. Per la prima volta, lo studio ha, infatti, valutato il gap tra le riforme legali e i risultati effettivi per le donne in 190 economie e l’analisi rivela uno sconcertante divario. Le donne, riassumendo lo studio molto articolato che potete leggere nella sua completezza qui, godono in media solo del 64% delle tutele legali di cui godono gli uomini, molto meno rispetto alla stima precedente del 77%.

La World Bank fa un esempio specifico per chiarire il meccanismo: 98 economie hanno adottato leggi che impongono la parità di retribuzione per le donne per un lavoro di pari valore a quello di un uomo. Eppure solo 35 economie – meno di una su cinque – hanno adottato misure di trasparenza salariale o meccanismi di applicazione della normativa per affrontare il divario retributivo. Di fatto in questo modo il diritto non diventa effettivo.

Il rapporto dimostra, insomma, che il divario di genere globale per le donne sul posto di lavoro è molto più ampio di quanto si pensasse in precedenza. A partire dalla parità salariale: le donne guadagnano in media 77 centesimi per ogni dollaro guadagnato dagli uomini. Inoltre a livello mondiale in 92 economie mancano del tutto le leggi per la parità salariale a parità di lavoro, in 20 le donne hanno il divieto di lavorare di notte e in 45 non possono lavorare in ambiti ritenuti per loro pericolosi.

Oggi, Primo Maggio 2024, un augurio speciale a noi donne per un futuro migliore.

Ti è piaciuto l’articolo? Offrimi un caffè cliccando qui: Sabrina Deligia