Ci sono storie che vanno raccontate, se non altro per ciò che ci lasciano dentro e ciò che trascinano con sé.
E la storia della violenza su Rosa Landi è una di quelle. Rosa è il simbolo, non solo per il colore che porta nel nome, della lotta alla violenza, quella contro la violenza sulle donne e il femminicidio. Rosa è una, Rosa è nessuna e Rosa è centomila.
Rosa Landi è viva e nel suo ricordo c’è la lotta a questa piaga sociale.

Mi chiamo Rosa Landi e sono una donna, o per meglio dire lo ero, perché mio marito mi ha uccisa quando avevo soltanto 59 anni e, che voi ci crediate o meno, quello era l’anno in cui avevo ripreso a vivere. L’anno in cui ho subito la violenza finale.

Era marzo, il mese in cui i fiori tornano a sbocciare, quando mi resi conto di stare facendo la stessa cosa.

Mi ero, infatti, lasciata alle spalle tutte le vessazioni e le violenze psicologiche perpetrate nei miei confronti da mio marito Ciro durante i 40 anni del nostro matrimonio.

Ero libera di vestirmi come mi piaceva, di uscire con le mie amiche, di tagliare o colorare i miei capelli.

Ero semplicemente libera di essere me stessa.

C’era però qualcosa di stonato in quell’aria di rinnovamento e quel qualcosa, in realtà, era qualcuno: era mio marito Ciro che non voleva concedermi la libertà ultima dal nostro matrimonio, ovvero il divorzio, anche dopo che io stessa avevo scoperto i suoi numerosi tradimenti.

E fu proprio a causa della mia scoperta e della mia decisione di andarmene, finalmente, da quella casa, che Ciro decise di uccidermi, perché io gli avevo fatto perdere la ragione e perché se lui non poteva avermi e controllarmi nessuno avrebbe dovuto farlo.

Era la notte del 21 marzo 2016.

Ciro mi chiese un caffè, mentre avviavo la chiamata con nostro figlio.

Ero voltata, gli davo la schiena.

Non l’ho visto prendere la pistola.

Ho sentito  solo gli spari.

Sono morta così.

Ecco come la violenza mi ha strappata alla vita, a tutto ciò che stavo imparando a amare di nuovo e, soprattutto, ai miei figli e nipoti.

Novantasei.

Questo è il numero di femminicidi commessi finora in Italia nel 2021. È un dato che tutti possono vedere sul sito femminicidioitalia.info.

È davanti agli occhi di tutti, ma nessuno fa nulla per contrastare quest’emergenza.

Le donne che potrebbero, infatti, avere lo stesso destino di Rosa sono moltissime e dobbiamo fare qualcosa per contrastare questo fenomeno che, soprattutto dopo il Lockdown, sta avendo una drastica impennata.

Eppure, sono passati venticinque anni dalla conferenza di Pechino sui diritti delle donne organizzata dalle Nazioni Unite che gettò le basi per l’uguaglianza di genere anche e soprattutto nei diritti inalienabili.

Ci sono stati miglioramenti, è vero, ma ciò che manca ancora è una rete di supporto, qualcosa a cui le donne, in caso di necessità o di violenza, possano appigliarsi.

Le donne come Rosa dovrebbero sentirsi protette dalla comunità, dovrebbero poter avere a loro supporto case sicure e centri antiviolenza e, soprattutto, dovrebbero poter sentire lo Stato vicino in questo processo.

Le donne come Rosa dovrebbero poter dire la loro verità in tranquillità e dovrebbero poi essere protette e sostenute nel loro tragitto verso la libertà.

Perché è quello ciò che vogliono è proprio quello, la libertà.

Poter esprimere loro stesse senza remore.

Poter dire ciò che sta loro capitando senza avere paura delle ripercussioni.

Potersi difendere dalla violenza senza sembrare il carnefice.

Ciò che infine rimane dalla storia di Rosa è la rabbia.

Rabbia per ciò che è successo e per la consapevolezza che con l’adeguata informazione poteva essere fermato.

È anche quello che manca, l’informazione su ciò che significa violenza.

Saper riconoscere i piccoli particolari, vedere i comportamenti variati e riflettere sulle parole dette.

La disinformazione ci rende tutti ciechi di fronte alla violenza.

Apriamo gli occhi e spingiamo le istituzioni a farlo, perché una giusta campagna potrebbe salvare moltissime vittime di violenza.

Perché è possibile salvarsi. Perché è possibile ricominciare a vivere.  

Speriamo che la giornata mondiale di quest’anno apra a tutti gli occhi.