Ilaria Di Roberto ha tanto da dire alle donne, soprattutto a quelle donne vittime ancora di credenze e violenze capaci di mortificarle.
La talentuosa ragazza di Cori
Ilaria Di Roberto è una giovane e determinata autrice e attivista femminile. Questa talentuosa ragazza di Cori (Latina), così Ilaria ama definirsi sul suo blog ufficiale, sceglie di mettersi completamente a nudo, in ogni suo scritto, narrando le sue vicissitudini (che comprendono tra le altre cose, episodi di bullismo a scuola, violenza fisica, revenge porn e cyberbullismo da parte di una setta online).
Aiutare gli altri e guarire attraverso l’arte
Ilaria decidendo in tal modo di lottare e di mettere nero su bianco la sua esperienza per guarire e al tempo stesso per poter aiutare altre persone, soprattutto, altre donne vittime di violenza.
La salvezza nella scrittura
Nonostante l’ostilità del mondo circostante, l’ambito dell’arte e della scrittura, quindi, diventano per la nostra autrice catartiche e terapeutiche e assumono per la stessa una valenza addirittura salvifica, simboleggiando il suo prezioso riscatto, nonché, la sua rivincita personale, oltrepassando le aspettative comuni e consentendole così di riuscire ad uscire a testa alta, cresciuta e probabilmente migliore, da una storia fatta di soprusi e abusi, impresa assolutamente non facile, eppure, riuscita alla grande.
Un messaggio per le donne
Ma in particolare, Ilaria Di Roberto ha tanto da dire alle donne, soprattutto a quelle donne vittime ancora oggi di credenze, oltre che di violenze, capaci di mortificare l’animo umano. Ed io, come donna, oltre che come giornalista, ho sentito il dovere di darle voce. Ascoltiamo quindi cosa ha da dirci l’autrice in questa interessantissima intervista:
Cosa significa essere una donna oggigiorno e cosa, nello specifico, questo ha significato per te?
«Vivere ogni giorno in una società convenzionale, profondamente inveterata a tutta quella serie di preconcetti di stampo maschilista – che nel corso delle epoche hanno contribuito ad una vera e propria regressione del genere umano – è una delle battaglie più ardue di tutti i tempi, e a pagare il pegno di questo organismo disfunzionale siamo tutt’ora noi donne. La non accettazione dei diktat e delle forme mentis imposte dall’alto, implica la cancellazione del nostro genere, già a partire dal linguaggio.
“Sono sempre stata ribelle!”
Io non sono esattamente così, tutt’altro, odio andare dove tira il vento e allo stesso tempo, odio chinare il capo: il mio temperamento e le mie stesse esperienze mi hanno portata inevitabilmente a ribellarmi al cospetto di quelli che fossero i canoni preposti dalla società. Non riesco a starmene in silenzio quando si parla di lotta per le pari opportunità o dello smantellamento dei pregiudizi veicolati al sessismo.
“Bella ed emancipata corporalmente e sessualmente oppure castigata e professionale”
O scegli di essere bella ed emancipata corporalmente e sessualmente oppure castigata e professionale. Se decidi di essere entrambe le cose, meriti di essere ghettizzata e messa alla gogna. Che non si dica mai più quindi, che il maschilismo non esiste, che è solo il frutto di una fantasia femminista squallida e vittimista o che essere donna sia la cosa più bella del mondo».
“Nasciamo libere. È la società a metterci in catene…”
Quanto ti ritrovi in questa frase di Emmeline Pankhurst: “Preferisco essere una ribelle, che una schiava”?
«“Ribelle” è il mio secondo nome e “Selvaggia” è il nome che avrei voluto avere e che ho intenzione di dare a una mia ipotetica e futura figlia. Valuta tu! D’altro canto, lo sono sin da quando ero bambina, ho sempre amato andare controcorrente, fuori dagli schemi e dalle righe. Ma ahimé, una donna ribelle, indomabile e di carattere sarà sempre considerata brutta e cattiva da chi ne è privo. Invece io amo essere la voce fuori dal coro, la pecora nera, la spina nel fianco.
“Mi identifico molto con il femminismo”
Mi identifico molto con il femminismo, proprio perché agli occhi di molti risulta scomodo. La mia anima è in continua evoluzione, spesso l’evoluzione implica l’esigenza di porsi continuamente delle domande. Se mi servono la verità su un piatto d’argento, io non mi limito ad accettarla e a riconoscerla come tale. Devo verificarla, confutarla, perché no? Magari anche rifiutarla! Ma sento la necessità di elaborarla prima che essa assuma una valenza oggettiva. Ritengo che non esista verità senza una corrispettiva confutazione.
“Sono fiera delle ferite che mi hanno inflitto“
Ho sempre identificato l’essere selvaggia con la ricerca del proprio io interiore e della propria libertà. Nasciamo libere. È la società patriarcale a metterci in catene. Purtroppo, anche il concetto di libertà è diventato relativo».
Cosa vorresti dire oggi a tutti coloro che ti hanno fatto tanto male?
«Voglio dirgli che sono fiera delle ferite che mi hanno inflitto: sono la prova che non mi hanno ucciso, che ho vinto e che non mi avranno mai! Mi hanno detto: “dovrai cambiare nome, numero di telefono, amici, vita per quanto sarai derisa in pubblico, faremo in modo che tu non ne esca più, che sconosciuti possano farti battute di ogni tipo, non potrai fermarli e sarai talmente oltraggiata che non potrai capire se quello che dicono è rivolto a te, ti lasceranno il dubbio, ti porteremo alla schizofrenia”. Voglio dire loro che mi hanno reso più forte e decisamente meno ingenua di quello che ero”».
Tu sei la dimostrazione che sia possibile uscire dalla emarginazione attraverso la strada dell’arte e della catarsi interiore. Hai rimorsi, rimpianti per quanto riguarda le tue risposte e reazioni personali al male che ti hanno inferto?
«Ad oggi sento di non avere nulla da rimproverarmi, ma prima di giungere a questa consapevolezza ho dovuto pagare a caro prezzo il biglietto di sola andata per un viaggio all’interno di me stessa. Ho esplorato i miei antri bui, le mie lacune, fatto a pugni con quei mostri che non raccontavo a nessuno ma che ad ogni modo, mi hanno permesso di ravvisare il mio inestimabile valore.
“Ho imparato molto dalla bambina che sono stata. Ma ora ho bisogno di lasciarla andare!”
Il mio ultimo lavoro autobiografico rappresenta, di fatto, il riflesso incondizionato di ciò che ero, che sono stata e che non ho intenzione di essere mai più. É il riverbero di quella teenager ingenua, a tratti ribelle e talvolta remissiva, costantemente bisognosa di affetto, amore e attenzioni. Oggi ho intenzione di perdonarla. Voglio dire a quella bambina che ho imparato molto da lei. Ma da questo momento in poi ho bisogno di lasciarla andare!”».
“Mi sono sentita colpevole in passato, ma ho messo un punto ormai ai miei sensi di colpa”
Credi di avere avuto una porzione di responsabilità per quanto concerne i tuoi problemi trascorsi alla luce della tua nuova consapevolezza odierna, oppure no? In ogni caso cosa ti hanno insegnato le tue esperienze in merito?
«Specie per ciò che concerne i reati di violenza, assistiamo ogni giorno a quello che gli studi di genere identificano come “Victim blaming”, quel meccanismo di colpevolizzazione a danno della vittima che viene ritenuta dalla nostra società, parzialmente o totalmente responsabile della violenza subita. E questo quesito ne è un’ulteriore prova.
“Il Victim Blaming le sue tante vittime”
Con l’espressione “Victim Blaming” alludiamo a tutta quella serie di meccanismi che in un automatismo quasi fraudolento, si attivano a danno delle vittime che denunciano una violenza. Tali condotte, soventemente applicate dalla società patriarcale, si traducono in un quadro più ampio e complesso, ossia la cultura dello stupro, un paradigma culturale nel quale le violenze e gli abusi sono edulcorati e normalizzati attraverso l’erronea apposizione della sessualità alla violenza denunciata. Basti pensare ai casi di “Revenge Porn”, nel contesto dei quali, si tende spesso a colpevolizzare la donna che ha inviato le foto anziché chi le diffonde senza la sua autorizzazione, spostando il focus dall’”abuser” alla vittima.
“Basta col sentirsi in colpa!”
Tali meccanismi fraudolenti non fanno altro che incentivare e preservare il potere del sistema patriarcale, annichilendo irrimediabilmente le vittime di violenza e in particolar modo quelle che decidono di denunciare. Il risultato è che le donne, in virtù di una subordinazione millenaria, sono costantemente silenziate, sminuite e rese drammaticamente invisibili. Accettare tali modalità significa essere parte integrante del problema e pertanto, anche colpevoli di una piaga sociale millenaria, l’oppressione di genere. Mi sono sentita colpevole, indubbiamente. Ma ho messo un punto ai miei sensi di colpa, una volta appresi i meccanismi che mi inducevano a sentirmi tale. Ed invito tutte le vittime a fare lo stesso».
Body shaming e revenge porn: due piaghe sociali
Cosa consiglieresti ad una adolescente che oggi è vittima di bullismo, di body shaming o di revenge porn?
«Quando mi domandano se abbia intenzione di praticare nuovamente del “Sexting”, la mia risposta è “NO”! Il “Revenge Porn” è un trauma che ti scava dentro una voragine, per questo credo che non esista individuo sulla faccia della terra capace di rimarginare le mie ferite ed esorcizzare questa mia legittima e incondizionata assenza di fiducia nel genere maschile.
“ La mia esperienza col sexting”,
Mi chiedi se ai giovani sconsiglierei mai di inviare foto o video ai propri partner!? certo che no! Alle giovani suggerirei di sentirsi libere di esplorare e manifestare la propria sessualità come meglio credono. D’altro canto, chi sono io per arrogarmi il diritto di stabilire cosa fare o non fare con la propria clitoride? Piuttosto, è Ai giovani di sesso maschile che impartirei con rigore qualche lezione di educazione digitale e alla parità di genere, ma soprattutto proporrei un bell’addestramento alla cultura del consenso con obbligo di frequentazione. E questo perché tutti comprendano che una piaga sociale millenaria come quella della violenza di genere, va arginata da chi la attua. Non evitata da chi la subisce. E lo stesso discorso vale per il “bodyshaming”.
“Abbandonate la convinzione di essere migliori degli altri. Scegliete sempre di essere unici!”
A tutte coloro che hanno vissuto e stanno vivendo le mie stesse difficoltà, voglio dire “amatevi! e fate in modo che questo amore diventi così forte da non permettervi mai di rifiutare un dono tanto importante come quello della vita. Guardatevi bene dal denigrare una persona affetta da disturbi alimentari. Guardatevi dal chiamarla “scrofa”, “deviata”, dal dirle che è grassa, o, al contrario, un manico di scopa perché così facendo, non farete altro che alimentare in lei traumi già presenti, contribuendo alla sua distruzione. A far schifo bastano già il sistema e tutti quegli stereotipi che ci propongono ogni giorno. Non unitevi ad esso, ma soprattutto abbandonate la convinzione di essere migliori degli altri. Scegliete sempre di essere unici!»
“Credo nella solidarietà trasversale”.
Tu sei una sostenitrice del femminismo. Chi sono le più agguerrite nemiche degli uomini oggi? Le donne o gli uomini?
«Il maschio è stato addestrato sin da piccolo alla prevaricazione e alla competizione. Il patriarcato interiorizzato (femminile) a cui alludi tra le righe non è altro che il prodotto di anni e anni di indottrinamento misogino che le donne hanno appreso, proponendo le medesime condotte. Chissà da chi avranno imparato queste donne, ad essere nemiche delle altre donne. Suppongo dagli stessi che si affannano a misurarsi il pene nei bagni della scuola. Tuttavia, non ti dirò di che sesso siano».
Credi nella solidarietà femminile?
«Credo nella solidarietà trasversale. Anche l’idea che la solidarietà tra donne sia un passo obbligato è un costrutto sociale. Le donne, così come gli uomini, possono provare rabbia, astio, pregiudizio, invidia, indignazione o mostrare indifferenza dinanzi alle vicissitudini di altre donne. Dobbiamo sdoganare una volta per tutte questa concezione che l’amabilità e la benevolenza siano una prerogativa delle donne. Solo così avremo una società egualitaria, all’insegna del rispetto reciproco».
“Ho deciso di combattere dopo aver subito tanto“
Ritieni l’emancipazione femminile costituisca una utopia oppure ci stiamo avvicinando a questo importante traguardo sociale?
«Mi confesso, sono un’ex ancella. Prima di avvicinarmi al femminismo, un tempo ero affetta dal cosiddetto “maschilismo interiorizzato”, quel canovaccio di doveri e comportamenti paternalistici che una donna applica automaticamente nella vita di tutti i giorni, perpetrando la cultura patriarcale, esattamente come buona parte degli uomini. Dopo aver sperimentato il sessismo e le conseguenze del patriarcato sulla mia pelle, ho capito che non mi trovavo nel giusto e che continuare ad assecondare un’epifania che dura da più di 2000 anni, avrebbe finito inevitabilmente col rendermi complice di ogni barbarie, attentato, femminicidio, stupro, violenza o accanimento perpetrato a danno di una donna; una donna che avrebbe potuto essere mia madre, mia sorella, mia cugina, la mia migliore amica. Ed è stato meraviglioso, in un secondo momento, discostarmi da questo modus egoistico che avessi di vedere le cose.
“Perché l’emancipazione dovrebbe essere un’utopia?”
Ho deciso di combattere dopo aver visto donne vittime di stupri e violenze sentirsi chiedere “Com’eri vestita?” e scoppiare a piangere subito dopo. Per questo sarò sempre grata al femminismo. Il patriarcato è un cancro, ma anche l’unico dal quale è possibile guarire. Perché dunque, l’emancipazione dovrebbe essere un’utopia?»
“Noi donne non siamo aspettative sociali”.
Come ci si sente a essere abbandonati e ghettizzati dalla propria comunità di riferimento?
«Mi sono ritrovata isolata dalla comunità e minacciata dai miei stessi concittadini con scritte sui muri, auguri di morte, aggressioni, tutti episodi all’ordine del giorno. Oggi vivo praticamente barricata in casa assieme a mia madre, in un quartiere difficile. Ogni giorno il mio paese mi denigra, mi sento emarginata. Oltre a ciò, non è stato ancora preso alcun provvedimento contro chi mi sta distruggendo la vita. A fare male di più è la sensazione di avere tutti contro e di sentirsi abbandonata anche da chi avrebbe il dovere di proteggermi. Le autorità competenti, dopo aver sentito la mia storia, mi guardano con scetticismo. Senza parlare dei commenti offensivi che ricevo giornalmente da tutte quelli che credono stia solo cercando di ottenere un pizzico di notorietà. Non ho mai visto così tanta cattiveria. Non nego che tutto questo mi faccia stare ancora male.
“In un contesto di poco più di diecimila abitanti, i pettegolezzi sono all’ordine del giorno”
Si sa che in un contesto di poco più di diecimila abitanti, i pettegolezzi siano all’ordine del giorno. Ma a causa di questa situazione, molta gente del posto mi ha tolto il saluto, altri addirittura mi hanno accusata di stregoneria per via della setta che in un secondo momento mi ha irretita, quei pochi che mi salutano lo fanno di nascosto per non farsi vedere da altri. Sono vittima di denigrazioni, minacce e mobbing ogni giorno e spesso sono proprio i miei concittadini a incentivare gli sfregi che la società in questione sta perpetrando contro di me. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto».
È tua la frase «donne siate ribelli, sfacciate e soprattutto libere». Cosa può fare ognuna di noi per essere maggiormente “libera”?
«Ricordarci, in primis, che non siamo aspettative sociali. Non siamo ciò che una sovrastruttura patriarcale si aspetta da noi in quanto vittime, madri, mogli, donne. Perché prima di essere vittime, madri, moglie e donne, siamo individui dotati di anima, mente e corpo, liberi di manifestare la propria identità come meglio credono. Anche la propria sessualità!
Il sistema patriarcale e le sue dinamiche
Anteporre le donne nella nostra battaglia significa collocarle in una posizione di rilievo (da sempre negata) a partire dalle relazioni interpersonali, fino ad arrivare alle questioni di carattere economico, sociale e politico. Il distacco dagli uomini, insieme alla conseguente liberazione, nasce dall’esigenza di comprendere la nostra condizione di subordinazione e quanto essa possa influire negativamente sulle nostre vite. Questa volontà si esprime attraverso la tendenza, quasi spontanea, a rifiutare qualunque uomo metta in atto i meccanismi oppressivi del sistema patriarcale, dimostrando al contempo di riuscire a vivere benissimo anche senza di lui.
“Siate ribelli, sfacciate e libere”!
Chi aderisce all’esercizio delle dinamiche di tale struttura non merita rispetto, né inclusione. Da femministe possiamo scegliere arbitrariamente se procreare o meno; se sposarci e decidere di avere una relazione «fissa» o limitarci ad avere rapporti occasionali; se puntare sulla carriera o decidere di non fare assolutamente nulla. Come già espresso, non esistono leggi o dogmi ai quali ottemperare. Ciò che contrastiamo è l’obbligo di fare o non fare qualcosa. Il fatto di decidere di avere o meno dei figli non deve essere una tappa incorporata, né ancor meno obbligata: come femministe rivendichiamo per noi e per tutte le donne, il diritto all’autodeterminazione. Per questo ribadisco, siate ribelli, sfacciate e libere!»
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