Continuiamo il nostro viaggio alla scoperta del lato oscuro che si cela dietro le magiche atmosfere dei classici Disney.

Nell’articolo precedente, abbiamo visto e analizzato le fiabe originali che hanno ispirato la Disney per la realizzazione di Biancaneve, Cenerentola e Alice nel Paese delle Meraviglie.

Di quest’ultimo lungometraggio ci siamo soffermati, in particolare, sull’interpretazione psicologica e psicopatologica della protagonista.

In questo secondo articolo andremo a scoprire il lato nascosto, macabro e oscuro di altri tre classici Disney.

Le avventure di Peter Pan (1953)

Seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino”. Questa frase di Peter Pan (ripresa poi dal cantautore Edoardo Bennato nell’album “Sono solo canzonette”) è diventata iconica.

Trilli, Peter, le sirene, Capitan Uncino, le avventure di Wendy, John e Michael Darling, l’Isola-che-non-c’è risvegliano in noi la nostalgia del mondo dell’infanzia e ci fanno risentire quella gioia e quella spensieratezza bambine che molti di noi si sono dimenticati.

Peter Pan è, quindi, un personaggio che fin dall’infanzia popola il nostro immaginario. Ma questo bambino per il quale il tempo non passa mai e che vive perennemente sull’Isola della Fantasia nasconde, in realtà, un lato oscuro.

Il classico Disney si basa sull’opera teatrale del 1904 dello scrittore e drammaturgo scozzese Sir James Matthew Barrie intitolata “Peter Pan o il ragazzo che non voleva crescere”. Il lato oscuro del personaggio di Peter Pan è stato proprio sottolineato dal suo stesso creatore.

Infatti, quando il 1°maggio del 1912 venne inaugurata la statua di Peter Pan all’interno dei Giardini di Kensington (che possiamo tutt’oggi ammirare), Barrie stesso esclamò: “non vi traspare il demone che è in Peter!”.

Questa esclamazione di Barrie è dunque fortemente rivelatrice dell’ambiguità e della natura sinistra che albergano dell’animo di Peter, il quale non è propriamente il folletto coperto di foglie divenuto ormai il simbolo per eccellenza della nostalgia dell’infanzia perduta.

Il nome “Peter Pan” non è stato scelto a caso. Sappiamo benissimo che c’è sempre una logica dietro al nome che gli scrittori decidono di dare ai propri personaggi. In questo caso se, da un lato, “Peter” rimanda all’ideale bambino vittoriano, “Pan” è un richiamo all’arcaica mitologia greca.

Ci sono molti elementi comuni tra il dio Pan e Peter Pan. Entrambi sono stati abbandonati dalla figura materna: Peter, come sappiamo, ha visto sua mamma mettere le sbarre alla finestra dopo che lui era fuggito ai Giardini di Kensington, e Pan è stato abbandonato da sua madre Driope (la ninfa della quercia) disgustata dal suo aspetto di capra e uomo.

Entrambi sono orfani, eterni vagabondi che non possono stabilirsi definitivamente in nessun luogo. Rappresentano l’abisso, la natura più profonda nascosta in ognuno di noi.

A causa del loro abbandono da parte della madre, né Pan né Peter sono in grado di rapportarsi con gli altri e di costruire legami autentici: non sono capaci di dare alcun tipo di affetto.

Nell’opera di Barrie, infatti, quando Peter si rende conto che i Bambini Sperduti stanno diventando troppo grandi li fa uccidere dai pirati o li uccide egli stesso: il Peter Pan di Barrie è, in tutti i sensi, un bambino “senza cuore”.

Un ultimo elemento inquietante del personaggio di Peter Pan è il suo legame con il mondo dei morti. Nel romanzo del 1906 “Peter Pan e Wendy”, Barrie ci presenta un Peter Pan che svolge la funzione di guida delle anime dei morti verso l’Aldilà.

Si raccontavano cose buffe su di lui: come, per esempio, che quando i bambini morivano lui li accompagnava per un tratto di strada, affinché non avessero paura.  

La bella addormentata nel bosco (1959)

Dopo Biancaneve e Cenerentola, la Disney – con La bella addormentata nel bosco – ha voluto ripescare la propria ispirazione nel calderone delle fiabe popolari e del folklore.

La fiaba europea di riferimento è quella scritta dal francese Charles Perrault e pubblicata nel 1697 nella raccolta “I racconti di mamma l’oca”. Ma “La bella addormentata”, come la maggior parte delle fiabe tradizionali, possiede numerose varianti. Queste ultime sono decisamente più macabre della versione già notevolmente edulcorata di Perrault.

La versione più antica è rappresentata dal romanzo cavalleresco francese Perceforest del 1340. La vicenda ha luogo all’epoca della guerra di Troia ed è incentrata sulla principessa Zellandine, innamorata di Troilo.

Il padre della principessa mette il giovane alla prova per verificare se è degno di sua figlia e, non appena egli è partito, Zellandine cade in un sonno incantato.

Al suo ritorno, Troilo la trova addormentata e la mette incinta nel sonno. Quando il bambino nasce, è lui a risvegliare la madre, rimuovendo il filo di lino che causava il suo sonno. L’opera si conclude con il matrimonio tra Zellandine e Troilo.

La successiva versione può essere considerata a tutti gli effetti la fiaba antesignana de “La bella addormentata nel bosco”. Si tratta di Sole, Luna e Talia (1634) di Giambattista Basile.

Come abbiamo avuto modo di notare nel precedente articolo, le fiabe di Giambattista Basile non sono fatte per i deboli di cuore e non si fanno mancare scene scabrose e cruente. Questa versione de “La bella addormentata nel bosco” contiene, infatti, riferimenti diretti alla deflorazione, allo stupro e all’infedeltà coniugale.

Nella fiaba di Basile, per prima cosa, il sonno di Talia (la principessa) non è frutto di un incantesimo bensì di una profezia: ella corre un pericolo mortale, simboleggiato da una scheggia di lino. Talia non viene svegliata da nessun principe e da nessun bacio.

Tutt’altro: durante il suo sonno nel castello viene stuprata e messa incinta da un re il quale, dopo lo stupro, abbandona il castello incantato per tornare nel suo regno e da sua moglie.

Così come è accaduto nel Perceforest, Talia – ancora vittima del suo sonno – dà alla luce due gemelli che chiamerà Sole e Luna. Talia, alla fine, riesce a svegliarsi perché un giorno i due bambini, cercando il seno della madre e non trovandolo, le succhiano il dito estraendo così la scheggia di lino.

La sirenetta (1989)

“La sirenetta” è, senza dubbio, uno dei classici Disney più amati e di maggior successo. Come non dimenticare Ariel, iconica con la sua chioma rosso fuoco e la sua coda verde smeraldo, il principe Eric, il granchio Sebastian e il pesciolino Flounder.

Purtroppo questi ultimi due personaggi mancano nella fiaba alla quale la Disney si è ispirata: “La Sirenetta” (1837) del danese Hans Christian Andersen. La fiaba di Andersen non contiene un lieto fine per la nostra amata Sirenetta. O, meglio, ce lo avrebbe, ma non è assolutamente quello che ci saremmo immaginati.

La prima parte della vicenda viene ripresa fedelmente dalla Disney: abbiamo una Sirenetta (di cui non conosciamo il nome) che è la figlia del Re del Mare e alla quale, in occasione del suo quindicesimo compleanno, viene concesso di nuotare fino in superficie per guardare il mondo degli umani.

Come Ariel, la Sirenetta riesce a vedere una nave comandata da un bellissimo principe di cui s’innamora. Improvvisamente, la nave viene travolta da una terribile tempesta, ma la Sirenetta riesce a salvare il principe e a portarlo in salvo su una spiaggia. Il principe tuttavia ha perso conoscenza e non ha modo di vederla.

La Sirenetta passa i giorni che seguono sospirando e sognando il principe e desiderando di avere un’anima immortale come gli esseri umani: il destino di tutte le sirene, infatti, è quello di dissolversi in schiuma marina.

Alla fine, la Sirenetta decide di recarsi dalla Strega del Mare, alla quale nel classico Disney viene dato il nome di Ursula, che le prepara una pozione che le consentirà di avere le gambe come gli umani, in cambio della voce, così le taglia la lingua. Inoltre, camminare sarà come essere trapassata dai coltelli e non potrà più tornare ad essere una sirena.

Se entro un anno il principe si innamorerà di lei e la sposerà, la Sirenetta otterrà un’anima e rimarrà con lui; se egli sposerà un’altra, il mattino dopo le nozze la Sirenetta morirà di crepacuore trasformandosi in schiuma di mare.

Questo secondo scenario è quello che avrà, purtroppo, luogo. La Sirenetta, rifiutando la proposta delle sue sorelle (uccidere il principe e bagnare i propri piedi col sangue per sopravvivere e tornare ad essere una sirena) si lancia in mare al sorgere del sole, dissolvendosi in schiuma.

Tuttavia, la sua bontà e il suo sacrificio vengono premiati. Anziché morire, la Sirenetta diventa una figlia dell’aria con la promessa di ottenere un’anima e volare in Paradiso dopo 300 anni di buone azioni.

Infine, questa fiaba di Andersen ha una forte impronta autobiografica celata dietro la finzione fiabesca.

Il tema del “diverso” viene presentato in relazione al contesto amoroso e la relazione fra la Sirenetta resa muta dalla magia e il bel principe che le si affeziona senza amarla, è stato interpretato come un ritratto della situazione di isolamento sentimentale a cui Andersen si sentiva relegato a causa della sua omosessualità.

Andersen, infatti, provava un amore non corrisposto per l’amico Edvard Collin. La fiaba esprimerebbe quindi l’impotenza e il dolore di Andersen a seguito del successivo matrimonio di Collin, avvenuto nel 1836.

Nella lingua tagliata alla Sirenetta, nella perdita della voce, starebbe tutta la frustrazione di non potersi esprimere liberamente. Il suo non essere né donna né pesce rappresenterebbe il dolore del diverso.

L’amore della Sirenetta è il più puro e sincero, ma non può dirlo, perché dalla sua bocca non esce suono. Dietro questa cornice fantastica, si cela tutta la tragicità di un amore impossibile e del non riuscire a trovare il proprio posto nel mondo.

Per saperne di più

La fiaba di Andersen è molto amata e molto conosciuta ma ciò che la maggior parte delle persone forse non sa è che lo stesso Andersen si è a sua volta ispirato a un racconto romantico del 1811. Si tratta di “Undinescritto da Friedrich de la Motte Fouqué che narra la tragica storia di una Ondina, uno spirito acquatico del folklore germanico.

Undine, figlia del Re del Mare, abbandona il suo ambiente per cercare un amore umano che le consentirà di ottenere un’anima immortale. Ritrovatasi bambina sulla terra, viene allevata da un pescatore e da sua moglie.

Cresciuta, trova l’amore nel cavaliere Huldbrand, che presto sposa. Huldbrand, anche dopo essere venuto a conoscenza della vera natura di Undine, le giura amore eterno. Lo zio di Undine la mette in guardia contro il suo amore umano: se mai subirà un torto da Huldbrand, lei dovrà tornare in mare per sempre e lui dovrà morire.

La loro vita insieme sarebbe felice, ma Bertalda, la ex fidanzata di Huldbrand e amica di Undine, interviene a guastare l’idillio: Huldbrand si riscopre innamorato della ex fidanzata ed arriva a trattare male Undine.

Questo segna il destino di entrambi: gli spiriti dell’acqua esigono la loro vendetta e dovrà essere proprio Undine a uccidere Huldbrand con un bacio mortale.

Fonti

Il lato oscuro delle favole: i veri finali prima della Disney

La bella addormentata nel bosco

Sole, Luna e Talia

La Sirenetta

Undine

Per approfondire

“Alla ricerca di Peter Pan” di Paolo Gulisano e Chiara Nejrotti, Siena, Edizioni Cantagalli, 2010