Viviamo nell’epoca della grande globalizzazione dove le distanze sembrano azzerarsi eppure l’emergenza sanitaria del coronavirus che ha toccato tutti i continenti ha, allo stesso tempo, abbattuto frontiere e tracciato nuovi limiti, lo sanno bene le coppie binazionali, le coppie non sposate separate dai confini dell’Area Schengen: magari uno in Italia e l’altro fuori dall’Europa, così queste coppie non si vedono (se non tramite videochiamate) da quando è scattato il lockdown.
“Love is not tourism” nasce per permettere a queste coppie – fidanzate e fidanzati, compagni e compagne, familiari di fatto seppure la loro unione sia priva di un riconoscimento legale – di ricongiungersi. “L’amore non è turismo”, questo il significato dello slogan della petizione che sta coinvolgendo sempre più Paesi, e non solo in Europa: “Love is not tourism” è una dichiarazione di intenti, ciò a cui punta il movimento internazionale delle coppie binazionali nato in seguito all’adozione dei primi lockdown negli Stati europei.
“La chiusura delle frontiere internazionali sulla scia della pandemia di Covid 19 è stata – ed è ancora – sensata e persino necessaria”, è quanto si legge sul sito ufficiale del movimento. “Ma l’amore non è turismo. Qui non si tratta di una semplice vacanza estiva, si tratta della salute mentale e del futuro delle persone in tutto il mondo“.
Nella petizione italiana si legge: «Le nostre relazioni non valgono meno di quelle coppie sposate o di quelle certificate da un documento che attesti l’unione civile, la nostra relazione non è turismo, pertanto, una relazione stabile dovrebbe essere ritenuto motivo essenziale per viaggiare e consentire ai cittadini non UE in un partenariato “internazionale” di entrare nell’Unione Europea (+ stati associati) insieme a tutti gli altri viaggiatori essenziali consentiti (lavoratori transfrontalieri, passeggeri che viaggiano per motivi familiari imperativi, assistenza sanitaria personale, ecc.)»
Secondo le informazioni dell’Osservatorio Diritti, sarebbero circa diecimila nell’Unione Europea le coppie binazionali non sposate separate dalla pandemia che si trovano bloccate in un limbo burocratico. Love is not tourism chiede ai governi di tutto il mondo di introdurre un’eccezione alle restrizioni previste per i viaggi internazionali: che i partner di relazioni binazionali possano “riabbracciarsi”, seguendo comunque tutte le precauzioni sanitarie necessarie. Del resto il diritto al ricongiungimento è previsto da direttive del Parlamento Europeo e del Consiglio e dalla Convezione europea dei diritti dell’uomo, che garantisce ai cittadini il diritto al rispetto della vita privata e familiare. «Il fatto che queste coppie non siano sposate – aggiunge l’Osservatorio Diritti – sembra, però, escluderle automaticamente dai casi per i quali è concesso l’ingresso in un Paese per il ricongiungimento familiare. Per cercare di arginare queste separazioni forzate, alcune coppie hanno cercato di usufruire delle aperture turistiche per incontrarsi in Paesi terzi nei quali è stato consentito l’ingresso con visto turistico, come per esempio Inghilterra e Croazia». Chiaramente si tratti nella fattispecie, di eccezioni e parentesi, fugaci e quasi furtivi, il trucchetto per aggirare il sistema che risponde, ma quanti aderiscono al movimento la volontà è di poter riavvicinarsi al proprio caro nel rispetto delle regole e nel riconoscimento dei propri diritti.
La proposta di Love is not tourism è quella di test e tamponi (con spesa a carico di chi si sottopone all’esame) e periodi di quarantena fino a quando il test non dà esito negativo o per i giorni previsti di isolamento domiciliare. Intanto alcuni Stati Europei hanno adeguato la loro normativa per rimediare, rispondendo così all’appello del movimento. Ad oggi si contano dieci Paesi europei – Danimarca, Norvegia, Paesi Bassi, Cechia, Islanda, Austria, Svizzera, Finlandia, Germania e Francia –, i quali, con qualche variazione sulle regole, consentono alle coppie binazionali non sposate di ricongiungersi. Più recentemente anche la Commissione europea si è ufficialmente pronunciata in favore della causa, incoraggiando tutti i Paesi membri ad adottare regole di ricongiungimento per queste coppie in cui un partner è cittadino o residente nell’Unione e l’altro no, e in verità, consultando il sito Love is not tourism, agli Stati prima citati si aggiungono anche Spagna, Italia e Canada ma conservando delle restrizioni.
In Italia – dopo numerosi appelli sui social network, con l’hashtag #Loveisnottourism e le sollecitazioni della Commissione Europea – la faccenda è stata discussa dal governo, diventando pure materia del DPCM firmato il 7 settembre 2020, il quale ha aperto qualche spiraglio di speranza ma non rimosso tutti gli ostacoli. Con questo decreto, di fatto, per l’ingresso nel nostro Paese, chi proviene da Stati finora «off limits» (appartenenti però solo al Gruppo E, indicato nel sito del Ministero della Salute), dovrà autocertificare che risiederà presso una persona, «anche non convivente», con la quale «vi sia una stabile relazione affettiva»; tale autocertificazione sarà valida anche per la comunicazione alla Asl di competenza e sarà richiesta una quarantena obbligatoria di 14 giorni. Rimangono vincolati al divieto di ingresso in Italia i Paesi del Gruppo F, ossia Armenia, Bahrein, Bangladesh, Brasile, Bosnia Erzegovina, Cile, Kosovo, Kuwait, Macedonia del nord, Moldova, Montenegro, Oman, Panama, Perù, Repubblica dominicana, Serbia, Colombia. Per tutti gli altri Stati valgono le regole già in vigore: chi arriva da Croazia, Grecia, Malta e Spagna deve fare obbligatoriamente il tampone, mentre chi giunge da Romania e Bulgaria deve stare in quarantena.
Sara Foti Sciavaliere
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