“Da bambina ero muta e osservavo il mondo, mi affascinava la storia della Cina, disegnavo le statue di Michelangelo. Non c’era nessuno con cui parlare, ho avuto un’infanzia strampalata. È stato tutto molto difficile e ci ho messo parecchio a capire qualcosa…”
Le parole di Benedetta Barzini sono sempre molto forti e significative, spesso negative e infelici, ma così dannatamente vere da non trovare un modo giusto per replicare.
Questa è stata la mia prima impressione quando, per caso ma soprattutto per una fortuita coincidenza, mi sono ritrovata a seguire su Rai Storia il documentario girato su di lei, creato da suo figlio Beniamino, un docufilm reale sotto ogni aspetto, dal più felice al più malinconico, ma soprattutto vero.
Benedetta Barzini, nata il 22 settembre 1943 a Monte Argentario, è figlia di Luigi Barzini, un inviato del Corriere della Sera, e di Giannalisa Gianzana Feltrinelli.
Esordì nella moda casualmente, negli anni ’60, grazie alla sua bellezza definita “antica”: passeggiando per una via di Roma fu notata da Consuelo O’Connell Crespi, una giornalista italo-americana direttrice dell’edizione italiana di Vogue Italia. La Crespi non sapeva che Benedetta fosse figlia di amici di famiglia, inviò una fotografia alla casa principale a New York all’attenzione della caporedattrice Diana Vreeland che, senza pensarci troppo, la convocò negli Stati Uniti per un servizio fotografico con Irving Penn, e da lì, a vent’anni, cominciò la sua carriera di modella.
Sarebbe dovuta restare per soli dieci giorni, invece vi rimase 5 anni, posando per gli obiettivi di Bert Stern, Sokolowsky, Richard Avedon. Durante questo periodo di esperienza in America fece amicizia con Salvador Dalí e Andy Warhol.
Tornò, in seguito, in Italia, divenne una delle modelle di punta di Ugo Mulas e fu molto attiva nel movimento femminista degli anni 70, movimento che l’ha portata a essere la donna così diretta e realistica che è oggi.
Attualmente posa come modella evergreen per Armani e Gattinoni, è giornalista, scrive di moda e di temi sociali su varie riviste ed è docente universitaria: insegna Storia dell’abito presso la Scuola progettisti di moda della Facoltà di Lettere dell’Università di Urbino e di Antropologia della moda per il corso di Laurea Triennale di Fashion Design presso la Naba.
È una mamma e una nonna felice che insegna quanto sia importante esprimere il proprio pensiero, lottare per la propria libertà e combattere contro gli stereotipi.
“Ciò che veramente conta, è sempre invisibile.”
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