Una settimana fa circa ricorreva l’11 Settembre. Vent’anni dall’attacco terroristico che ha cambiato il corso della Storia. L’attivista afghana Zahra Ahamadi, fuggita in Italia, quello stesso giorno ha partecipato al Festival della Politica di Venezia – Mestre, lanciando un accorato appello. Per non dimenticare il passato. Per non smettere di costruire il futuro di tutti.
Zahra Ahamadi si definisce una voce per il suo popolo e, soprattutto, per le donne del suo paese. Una voce in un corpo che ha visto la sofferenza e la disperazione prima di arrivare sana e salva nel nostro Paese.
Chi è Zahara Ahamadi
Zahra è un’imprenditrice e attivista che ha trascorso diversi anni in Iran prima di tornare nella sua città natale, a Kabul, dove ha gestito il ristornate Saharpaz e sognava di aprirne un altro. Tuttavia, come purtroppo ben sappiamo, la situazione in Afghanistan precipita con l’annuncio del ritiro delle truppe occidentali e il ritorno dei talebani al potere. Zahra si schiera subito in difesa della sua città, contro i talebani, scendendo in piazza a manifestare. Proprio per questo diventa subito un bersaglio dei talebani ed è costretta a nascondersi per sfuggire da conseguenze che ci rifiutiamo di immaginare. Si attiva subito, per salvarla, il fratello che abita a Venezia, imprenditore anch’egli. Per fortuna l’attivista è riuscita a rientrare in Italia con uno dei primi voli e adesso è in salvo. Ma è ora che inizia la sua vera battaglia, quella di non far spegnere i riflettori sulla drammatica situazione del suo popolo.
L’intervento al Festival della Politica
Zahra Ahamadi, durante il Festival che si è tenuto a Venezia, inizia il suo discorso facendo le condoglianze a tutte quelle donne e madri che hanno perso i propri figli in Afghanistan. Ricorda l’11 settembre come una data spartiacque “una scusa per entrare nel mio paese e combattere il terrorismo”. Dopo vent’anni, continua, “il governo americano decide di abbandonare l’Afghanistan”. Vent’anni in cui il suo Paese è stato piagato dalla sofferenza e che sta conoscendo, adesso , un nuovo incubo. L’attivista domanda perché sia potuta accadere una cosa simile, perché stiamo solo guardando? Domande che colpiscono il cuore e che ci fanno chinare la testa.
Una guerra inutile e inutilmente lunga
Zahara continua con le sue domande che provocano le nostre coscienze e dice, senza alcun timore, perché dopo venti lunghi anni il suo popolo, soprattutto le donne, devono ancora lottare per quei diritti imprescindibili che a fatica avevano conquistato? Siamo dunque tornati indietro, tornati a una casella di via, a un punto di non ritorno, cancellando anni di lotte e di passi in avanti. E le donne, come al solito, saranno le prime a pagarne il prezzo poiché i talebani che si sono definiti moderati, di moderato non hanno nulla. E lo stanno già dimostrando.
La critica alla comunità internazionale
Perché non sono chiari nei confronti dei talebani? Perché sono in silenzio? Per quale motivo non c’è una situazione chiara nei confronti di quei paesi come il Pakistan? Perché le proteste in Afghanistan non vengono ascoltate, soprattutto quelle delle donne? Le persone che sono entrate per combattere il terrorismo se ne sono andate ma il terrorismo esiste ancora ed è ancora più potente. Era questo, dunque, l’obiettivo dell’America?
Parole dure. Ma null’altro da aggiungere.
L’esortazione alla comunità internazionale
Zahra conosce bene i nemici che si è lasciata alle spalle, fuggendo dalla sua terra. E ai potenti del mondo dice: in nessun modo i talebani devono essere riconosciuti e avere un potere politico. La delusione, poi, nei confronti dei pakistani che sembrano restare in silenzio di fronte a quanto accade nel Paese vicino è palese e non ne fa mistero. Una donna, dunque, delusa dal mondo. E, a questo punto, dovremmo esserlo tutti.
La questione delle donne
I talebani hanno tolto tutto alle donne. L’attivista parla di donne e istruzione, parla di quanto le donne siano importanti per trasmettere i valori alle future generazioni. Il suo accorato appello continua esortando di non dimenticare le donne afghane, di essere la voce di quelle donne. Conclude il suo discorso citando, non a caso, una frase tratta dal film Schindler’s List “se riesci a salvare una persona hai salvato il mondo intero”. E, parafrasando, continua: “ognuno di noi può salvare qualcuno e fare la differenza per salvare un mondo. Vi giuro che il mio popolo non merita quello che sta vivendo adesso.“
È chiaro che ci troviamo di fronte a un grande fallimento. La denuncia di molti attivisti e gente comune di queste settimane, e la domanda più frequente, è come si può essere tornati indietro senza aver ottenuto alcun risultato per un popolo piegato dalla guerra che voleva soltanto tornare a vivere. Che mondo è mai questo? Un mondo globalizzato che, tuttavia, non guarda al di là dei propri confini.
Di fronte a un fallimento simile, e a questi disperati appelli, c’è solo da mettersi in ascolto. Che non si resti indifferente al grido di un popolo oppresso. Che non si lascino sole quelle donne che adesso torneranno a essere private di ogni cosa, come inutili spettri di un passato che ritorna e che minaccia il futuro di ognuno.
Vorremmo dire basta alla retorica ma per noi, così geograficamente lontane, è una delle poche armi bianche e pulite che abbiamo a disposizione.
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