In sala dal 27 novembre il film “Die, My Love” della regista scozzese Lynne Ramsay con Jennifer Lawrence è un potente urlo contro il disagio femminile.
«Non si parla mai abbastanza della depressione post partum». Una frase che sembra buttata lì, per caso, durante una festa, racconta da sola la tensione che attraversa il film Die, My Love, una tensione che vive sulla scena attraverso il corpo, gli occhi e i gesti della protagonista, Grace, interpretata da una splendida Jennifer Lawrence.
Siamo nel Montana, in una casa circondata dal niente, nella campagna americana. Grace arriva da New York, piena di entusiasmo e pronta a scrivere proprio il “grande romanzo americano” ma, dopo la nascita del figlio, il suo latte si fonde con l’inchiostro e le parole non vengono più, in quel ritiro claustrofobico nel nulla, con un marito troppo spesso assente, incapace di comprendere il dramma della compagna.
La solitudine.
La solitudine diventa il punto di partenza e di arrivo di questa donna che gattona nell’erba, chiede attenzioni perché il compagno non la desidera più come prima del parto, si masturba, accudisce il neonato ma non riesce a occuparsi della casa o a vivere eventi mondani, soprattutto si sente incapace di essere una buona mamma perché non ha cucinato la torta per festeggiare i sei mesi del figlio. Al piccolo non dà un nome e nell’evolversi della storia non lo vediamo mai crescere, come se fosse immobile nel tempo.
Almeno nella visione disturbata della protagonista. «Le donne quando hanno un bambino, per un anno spariscono, poi ritornano» le fa notare la suocera, attenta e preoccupata per i suoi sbalzi d’umore. Sullo schermo è una ritrovata Sissi Spacek, mentre nei panni dell’anziano suocero c’è un irriconoscibile Nick Nolte.
Lynne Ramsay.
Ci voleva un film che affrontasse, con la delicatezza femminile della regista scozzese Lynne Ramsay, il tema della depressione post partum. Lo fa come se fosse un urlo, tanto il dolore che trasmette a chi è seduto in sala. Si entra, veramente, anche con un certo fastidio, nello strazio di Grace.
Vale la pena ricordare che, secondo le statistiche, il disturbo colpisce, solo in Italia, tra il sei e il dodici per cento delle neomamme. Ed è spesso sottovalutato, considerato una stranezza momentanea. Tratto dal romanzo d’esordio della scrittrice argentina Ariana Harwicz, in italiano “Ammazzati amore mio“, (edito dal Ponte delle Grazie), il film attraversa tutte le fasi della lotta di questa donna per vincere la sua condizione di reclusa, ma soprattutto racconta l’ambiguità dell’amore materno, diviso tra il desiderio della donna di essere tutt’uno con il figlio e quello di liberarsi da lui.
Fu Martin Scorsere, tra i produttori del film come Jennifer Lopez, a scoprire il testo e inviarlo all’attrice.
La Lopez era incinta del secondo figlio quando ha girato ed ha raccontato che è entrata nel personaggio completamente, sentendo visceralmente l’animalità di Grace. Anche Robert Pattison, che interpreta il ruolo del marito inconsapevole, era appena diventato padre di una bambina. Quanto alla regista prosegue il suo viaggio nel mondo della genitorialità, dopo “E adesso parliamo di Kevin”, con Tilda Swinton nei panni della madre.
Da vedere, assolutamente.
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