«Come una lumaca, amo viaggiare lentamente, portando con me tutto ciò che considero casa. La mia casa è dentro me.» Scopriamo insieme la straordinaria storia di Claudio che a 44 anni ha deciso di lasciare un lavoro fisso per vivere davvero.

Claudio nasce a Melzo, in provincia di Milano, un mercoledì d’inverno del ’79. Cresce in una famiglia di quella che fu la media borghesia e trascorre le estati in villeggiatura tra il lago Maggiore e quello di Garda. A diciassette anni abbandona gli studi per iniziare subito a lavorare. Pentito di non aver conseguito il diploma, inizia a frequentare la scuola serale e in due anni si diploma per poi dare il via a diciannove anni di ottima carriera nel settore chimico. «Avevo un buon lavoro ma ero insoddisfatto. Iniziai a pensare che lo stipendio non poteva essere tutto, che lavorare equivale a vendere la propria vita, e quindi bisogna venderla per qualcosa che vale» racconta Claudio. «Riuscivo a fare un mese di ferie all’anno e, viaggiando, ho conosciuto quel tipo di persone che non hanno soldi, ma hanno la vita, che sanno prendersi il proprio tempo e vivere nel presente. Ho avuto molti lutti in passato, credo che sia normale. Crescendo perdiamo persone che amiamo. Sarebbe facile parlare di uno di questi, ma credo che il dolore più ingombrante che mi porto dentro sia l’insicurezza. La sera ripenso spesso a qualcosa fatto durante il giorno, una parola in più o un gesto non fatto, e provo imbarazzo per non aver fatto quello che avrei “dovuto” fare per uniformarmi. Potrei farlo e fingere di essere felice, ma sprecherei la vita, lasciandola fuggire via solo per pigrizia. Tutto questo mi ha spinto a cambiare e mi ha fatto capire che i soldi non sono tutto. All’età di 44 anni ho fatto una scelta e ho lasciato il lavoro.»

Il viaggio che ti cambia.

Il primo viaggio di Claudio è con la sua ragazza di allora. Decidono di andare in un villaggio turistico in Tunisia, ma presto si accorge che gli sta stretto. «Optammo per fare un tour organizzato di due giorni nel deserto. La nostra guida parlava italiano, lo aveva imparato dalla televisione. Ero e sono curioso di chi vive in maniera diversa dalla mia, e durante quei due giorni mi raccontò molte storie, tra cui una in particolare che mi colpì: un turista, che portava al polso un orologio costoso, rimase stupito dal fatto che lui non avesse alcun orologio. Mi disse che non gli importava avere orologi perché aveva il sole. Quando il sole sorge, ci si alza; quando tramonta, si sta intorno al fuoco con gli amici e la famiglia. In quel momento capii che si può vivere in modo diverso, più lentamente. Come la lumaca.»

L’importanza della lentezza.

«Potrei raccontarti di quando a Parigi mi sono annoiato davanti a un Monet. Avevo corso per vedere il maggior numero di quadri, ma senza dedicare la giusta attenzione. All’ennesimo, mi dissi: “È solo un’altra ninfea”. Quell’episodio mi servii per impormi di rallentare. Secondo il parere di molti, non faccio nulla, faccio il mantenuto perché viaggio. Io invece dico che sto semplicemente vivendo, lentamente e autenticamente. Ogni giorno vivo in un luogo diverso: un ostello dove incontro una nuova famiglia, o la mia tenda lungo la strada dove posso stare con me stesso.»

Quando viaggi in solitaria non sei mai solo.

«Il mio primo viaggio in solitaria? Che bella domanda. Non so rispondere. Cosa significa “in solitaria”? Quando partii per il Cammino di Santiago, fui realmente da solo giusto il tempo del tragitto da casa fino all’aeroporto di Bergamo. Già sul volo avevo conosciuto nuovi “amici”, pellegrini come me. Quando viaggio da solo incontro sempre persone nuove e “stare da solo” diventa una scelta. Quando voglio stare da solo vado in luoghi dove è proprio impossibile incontrare persone, magari dormendo in tenda. Partire senza compagni di viaggio mi fa sentire libero di non avere programmi e di poter cambiare idea, libero di scegliere se stare solo o proseguire con qualcuno. Mi fa sentire libero di sbagliare, e le colpe sono tutte mie. La libertà è paurosamente bella.»

Le cose negative fanno parte del viaggio.

«Durante il mio road trip in Norvegia, viaggiai per quindici giorni consecutivi sotto una pioggia incessante. Non avevo più nulla di asciutto, e mi domandai più volte se non fosse stato il caso di andarmene. Non riuscivo a sopportare l’idea di altre giornate di pioggia in cui non sapevo cosa fare, non potevo godere dei panorami o fare trekking. Ero stanco. Ma alla fine, ho capito che il sole è uno stato della mente, e vedere un nuovo panorama, anche con la pioggia, è pur sempre un nuovo panorama. Bisogna essere grati di ogni giornata, anche di quelle brutte. Ciò che mi ha permesso di stare bene e andare avanti è stato cambiare la mia mente. Invece che pensare: “Che bello questo posto, chissà come deve essere con il sole” ho iniziato a pensare: “Che bello questo posto, forse è così bello proprio perché piove”. Le cascate e i torrenti in piena li ho visti solo perché aveva piovuto molto. Questo secondo me significa essere felici di tutto ciò che arriva. Quando viaggio, anche le cose negative mi sembrano parte essenziale del viaggio, un metro di paragone per apprezzare i momenti più belli.»

Il momento più brutto è quando mi rendo conto dell’età che ho, e che forse non riuscirò a vedere tutti i posti che vorrei.

«Ero a Lao Cai, in Vietnam, davanti al fiume rosso che segna il confine con la Cina. Guardavo l’altro lato con interesse. Mi intristiscono i confini, sono una delle più stupide invenzioni della razza umana. Ero lì insieme alla ragazza che amavo e commentavamo le luci sfarzose della sponda cinese. Vicino a noi, vidi un ragazzo e iniziai a parlarci, scoprendo che era cambogiano. Aveva lasciato tutto per entrare in Vietnam clandestinamente e aveva intenzione di attraversare il confine cinese allo stesso modo. Solitamente non do soldi alle persone, ma se hanno fame è un altro discorso, sono pronto a pagare per loro cibo fino a che potrò farlo. Così, andammo a cena tutti e tre insieme e ci raccontò la sua storia. I suoi occhi di ventunenne brillavano mentre fantasticava su come in Cina siano tutti “ricchi, alti e bianchi”.

Quel suo punto di vista mi spiazzò. Io a ventun anni non avevo problemi ma non viaggiavo fuori dall’Italia. Oggi abbiamo uno dei passaporti più forti al mondo e possiamo andare dove vogliamo, ma non in molti lo fanno. Altri, come Heng, che in cambogiano significa “fortunato”, lo desiderano ma non possono farlo. E io mi sono sentito vecchio, e ho pensato di aver sprecato tante occasioni.»

La bellezza della semplicità.

«Nepal, Ghale Gaun. Ero seduto davanti alla stanza nella quale avrei dormito. Il mio letto era sopra delle patate conservate per l’inverno. Ero arrivato da qualche ora e i bambini mi spiavano da dietro le pareti. Mi avevano detto di portare le bolle di sapone per farli giocare, così andai a prenderle nel mio zaino. Cominciai a soffiare bolle di sapone e subito arrivarono quattro bambini a saltare e cercare di farle scoppiare. Una bambina provò a fare le bolle, e io mi sentii una cosa sola con loro e con tutto quello che mi stava intorno. Fu una serata semplice, perfetta e unica.»

Viaggiare insegna: fiducia, adattamento e gratitudine.

«Viaggiando ho imparato ad adattarmi, a essere accogliente con chi incontro, ad aiutare le persone in difficolta perché altre persone hanno aiutato me quando ne ho avuto bisogno. Ho imparato ad avere cento occhi per la situazione intorno a me, a sentirmi amico di persone conosciute da dieci minuti, a fidarmi del prossimo. Altre lingue, altre ricette, altre usanze. A ringraziare per quello che ho, che non è mai scontato. A sorridere come un fesso parlando di dove vorrei andare, o perdermi in un panorama. Ogni giorno mi spingo fuori dal torpore e mi ripeto che devo essere grato di quello che ho, delle cose belle e anche di quelle brutte. Quindi sorrido e mi godo la felicità sapendo che tutto è in divenire.»

Viaggiare è scappare dai problemi?

«Sì. Chi sostiene che viaggiare significa scappare dai problemi ha ragione, ma i problemi ti seguono, soprattutto se sono dentro di te. Viaggiare non risolve nulla, può solo aprirti la mente e magari ridimensionare quello che per te oggi è un problema insormontabile, ma che visto dalla giusta prospettiva diventa solo un sassolino lungo la strada. Non esiste la formula magica, ma si può decidere di provare a migliorare le cose.

Le persone sono spaventate da chi cerca di vivere in maniera diversa da loro e spesso proiettano la loro situazione, le loro paure sugli altri per stare bene.

Quando sui social un video diventa virale, arrivano sempre i commentatori che si preoccupano di “distruggere” i sogni delle persone. Rifugiarsi nei media per sfogare la propria frustrazione nei confronti di sconosciuti è il loro modo di scappare dalla realtà, di fingersi diversi e di non dover affrontare i problemi. Guardarsi dentro e prendere coscienza di cosa ci fa stare male è l’inizio della lunga strada per risolvere i problemi, e il viaggio verso l’interno è il più lungo e difficile che ci sia. Non servono soldi, non serve andare lontano, bisogna solo scendere in profondità ed essere sinceri con sé stessi. Io ci sto provando.»

Definizione della parola “viaggiare”.

«Ti diranno che per viaggiare devi andare lontano, che devi andare in posti non turistici, che devi essere lento, che devi incontrare autoctoni, che devi… Dubita di chi usa l’imperativo “devi” per dare consigli. Per me viaggiare è fare quello che si vuole, sperimentare la vita in uno degli infiniti modi in cui si può fare, conoscere persone diverse da me. Ma anche solo leggere un libro può essere viaggiare. Parlare con un amico che non vedi da tanto è viaggiare. Viaggiare significa mutare, cambiare qualcosa che credevi immutabile, scoprire un nuovo modo per fare qualcosa che avevi sempre fatto allo stesso modo. Scegliere una strada diversa per andare al lavoro è un viaggio, provare tutte le settimane una cosa che non hai mai fatto è un viaggio. Stabilisci un giorno e cucina una ricetta che non conosci. Chiama un amico che non senti da tempo. Con queste semplici cose ti accorgerai che sei già in viaggio. Non serve cambiare tutto, basta cambiare una piccola cosa.»

L’idea di condivisione.

«@scambiorotta nasce con l’obiettivo di condividere le mie avventure su Instagram, ma soprattutto aprire un dialogo con chi ha vissuto esperienze simili, chi ha visto gli stessi luoghi anni prima o chi ha una prospettiva diversa da offrire. Amo quando qualcuno mi racconta di com’era un posto decenni fa e insieme confrontiamo ciò che è cambiato. Perché viaggiare, per me, non è solo vedere posti nuovi, ma anche capire come il mondo evolve. Perché il nome Scambiorotta? Be’, perché rappresenta lo scambio continuo di esperienze e perché mi piace l’idea di cambiare rotta, di rompere con la routine e seguire nuove strade. E poi, lo ammetto, “Cambio Rotta” era già stato preso da altri, ma questo nome mi sembra comunque più adatto alla mia visione!»

Viaggiare per una donna è più pericoloso?

«Anelo un mondo in cui non ci siano differenze tra uomini e donne, ma purtroppo questo non è quel mondo. Direi che una ragazza avrebbe difficoltà maggiori in alcuni aspetti, ma magari meno in altri che per me sono stati complicati. Sicuramente dormire da sole in tenda può fare paura, prendere un bus locale, chiedere consigli a sconosciuti per strada, o essere gli unici ospiti in un ostello. Tutte queste cose sono più complicate se sei donna, ma non sono adatte nemmeno a tutti gli uomini.

Ognuno di noi conosce i suoi pregi e i suoi punti deboli, viaggiare ti porta a scontrarti con tutti loro.

Un aspetto da non sottovalutare per viaggiare come piace a me è il contatto con la natura, che non vuole dire solo “bei video sui social”, ma lavarsi nei torrenti di acqua fredda, andare in bagno nella natura, confrontarsi con insetti, zecche, ragni… Ogni persona può adattare il viaggio alle proprie esigenze, rinunciando a qualcosa per godere appieno dell’esperienza.»

Cosa diresti a chi sogna di partire come te ma ha paura?

«Nessuno ti obbliga a fare un salto nel buio. La paura serve a proteggerci, ma se vuoi cambiare inizia da piccoli passi. Cambia una cosa nella tua vita e vedi come va. Non è per tutti quello che sto facendo oggi. Sono convinto che sia la cosa giusta per me, ma solo tu puoi sapere se è quella giusta per vivere appieno la tua vita. Se questa è la tua strada, posso solo dirti che la paura è solo nel primo passo. Tutte le esperienze e le persone che ho incontrato lungo il mio cammino, mi hanno aiutato a crescere ogni giorno molto più di quanto ho fatto in tanti anni in Italia con un lavoro ordinario. Se avrai il coraggio di fare il primo passo, le cose arriveranno verso di te.»

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