Mitologia norrena, dolore e rinascita femminile e riscoperta di sé sono gli elementi dell’ultimo romanzo di Claudia D’Auria, che abbiamo incontrato e intervistato per voi.
Ciò che resta delle tenebre di Claudia D’Auria per Spirito Libero Edizioni è un romanzo che si immerge nei meandri dell’animo umano, esplorando il confine tra luce e oscurità, dolore e rinascita. La storia segue le vicende di personaggi che si trovano ad affrontare traumi, paure e segreti sepolti, in un percorso di crescita e scoperta personale. Una narrazione elegante, che si sviluppa attraverso atmosfere dense e suggestive, dove passato e presente si fondono, rivaleggiando e prevaricando a volte l’uno sull’altro in un andirivieni di emozioni mai sopite.
È una storia che parla di tenacia, vista come la chiave per superare le avversità. Il titolo stesso richiama ciò che ci rimane dopo aver attraversato periodi bui, dai quali pensavamo di non poter mai emergere a rivedere la luce. E suggerisce una riflessione sulla capacità umana di trovare speranza e forza anche quando tutto sembra perduto.
Il romanzo affronta temi universali come la perdita, la solitudine, il senso di colpa e la possibilità di redenzione, alternando momenti di introspezione a colpi di scena che mantengono alta la tensione emotiva. Lo stile di D’Auria è evocativo e delicato, capace di rendere la sofferenza con autenticità senza mai cadere nel patetico, e al tempo stesso di suggerire spiragli di luce attraverso i legami umani e la riscoperta di sé.
Ciò che resta delle tenebre è intenso, esplora dolore, senso di colpa e redenzione attraverso un racconto profondamente umano. In un alternarsi di introspezione e colpi di scena e offre uno spiraglio di luce: non perdere mai la speranza anche nei momenti più bui. Una storia, quella di Sigyn e Loki, che invita a riflettere sul valore dei legami e sulla rinascita personale.

Retelling della fiaba di Amore e Psiche.
Un fantasy romance italiano che racconta la storia d’amore epica e struggente tra il dio dell’inganno Loki e la futura dea della fedeltà Sigyn.
Loki e Sigyn rappresentano due opposti: una è la fedeltà, l’altro l’inganno, eppure un sottile, ma fortissimo equilibrio li ha legati nel mito e in questo romanzo fantasy romance. Una coppia maledetta da un’intensa passione che li trascinerà fino alla fine del tempo.
A causa di un terribile errore, Sigyn ha perso l’amore di Loki, il dio dell’inganno di cui è stata per mesi l’inconsapevole moglie. È disposta a tutto per ritrovarlo, per parlargli, per raccontargli di loro: anche fingersi un’umile schiava. Loki non può ricordarla: Odino l’ha punito, maledicendolo per aver osato unirsi a una creatura mortale, eppure non può fare a meno di ascoltare la lunga fiaba che, ogni notte, la ragazza gli sussurra.
Ciò che resta delle tenebre è un romantasy con accenni dark che propone tematiche come la ricerca di sé stessi e il prezzo da pagare per inseguire i propri desideri e ambizioni, anche a costo di essere emarginati per sempre dal mondo a cui si credeva di appartenere, ma che si interroga anche sulla complessità dei legami tra uomo e donna.
Il crepuscolo degli dèi incombe.
Loki, l’astuto e cinico dio dell’inganno, deve eseguire il volere di Odino e punire gli uomini che stanno tradendo l’antico credo. Potrebbe essere vero ciò che si sussurra ad Asgard di lui: il suo insaziabile desiderio di conoscere ogni cosa lo porterà alla rovina.
Nella terra dei fiordi, Sigyn è divisa tra un futuro ricco di promesse e le oscure tentazioni delle antiche saghe: forse in lei brucia ancora il sangue delle valchirie.
Ma il desiderio da cui Loki e Sigyn saranno travolti, nato nelle tenebre, verrà maledetto dalla disperata volontà di Odino, dio delle forche.
Intorno a loro, gli Æsir stanno morendo.
C’era una volta una ragazza: era la figlia di uno jarl che smise di credere negli dèi di Asgard. Si ritrovò sposata al dio dell’inganno. S’innamorò di lui, ma suo marito perse ogni memoria del loro amore. Non erano stati creati per vivere insieme.
Cosa ti ha ispirato a scrivere questa storia, perché sei partita proprio dalla mitologia norrena?
La mitologia norrena mi ha sempre affascinata moltissimo. Le sue divinità sono forti, sfrontate, eppure sanno di dover essere sconfitte e morire quando arriverà la fine del mondo, il Ragnarok. Proprio al mito del Ragnarok è legata la figura di Loki, il dio dell’inganno. Punito per le sue malefatte e costretto a un supplizio simile a quello di Prometeo – è imprigionato sotto le fauci di un serpente e tormentato dalla saliva velenosa di quest’ultimo -, trova sollievo nella presenza, accanto a lui, della moglie Sigyn, la dea della fedeltà, che sceglie di rimanergli accanto e lo protegge.
La sua figura ha fatto accendere in me la scintilla: è stato un vero e proprio amore a prima vista.
La moglie di Loki, consapevole di chi sia suo marito, dei suoi limiti, della sua natura ingannevole, decide di sua iniziativa di alleviarne il supplizio.
Il poema che parla di questo mito è davvero molto scarno, alla coppia sono dedicare solo poche righe, ma la forza di questa figura femminile mi ha colpita fin da subito e ho iniziato a ragionare su di lei, a immaginare che tipo di donna potesse essere.
Non è una fedeltà cieca, quella di Sigyn, ma una scelta consapevole, una decisione chiara e non subìta. E questo ce lo dice anche il suo nome, perché Sigyn è composto dal termine sigr, che in norreno significava vittoria e che è la radice dei nomi dei grandi eroi delle saghe nordiche come Sigurd/Sigfrido.
Come poteva una figura mitica con un nome così importante ricoprire un ruolo passivo? Scrivere di lei è stata la naturale conseguenza di tutte queste riflessioni.
Cosa rappresentano per te “le tenebre”?
Le tenebre indicano tutto ciò che non conosciamo, ma anche l’assenza di amore. Senza amore e senza conoscenza, brancoliamo nel buio affettivo e mentale. Spesso, però, siamo noi stessi a scivolare nelle tenebre, chiudendo gli occhi per nasconderci da qualcosa che non ci piace. Il contrario delle tenebre e dell’oscurità, però, è la luce, l’amore, verso noi stessi e gli altri.
Nel romanzo le tenebre hanno un alto valore simbolico: Sigyn, per buona parte della storia, non può vedere Loki e deve imparare a conoscerlo tramite gli altri sensi, come nella suggestiva fiaba di Amore e Psiche, ma soprattutto attraverso le parole. É grazie alle discussioni, ai continui dialoghi che la ragazza ha con il dio dell’inganno che impara a conoscerlo. É il suo modo di ragionare ad affascinarla, ma la cosa è reciproca. Anche Loki è incuriosito dal modo di pensare di Sigyn. Il suo interesse per lei deriva anche da questo.
C’è un messaggio particolare che vorresti arrivasse ai lettori ma soprattutto alle lettrici?
Assolutamente sì. L’amore passa per il rispetto. Non esiste un vero amore senza il rispetto e noi donne dobbiamo ricordarcelo sempre. La sfida più grande nel raccontare questa storia era il fatto che la coppia protagonista è rappresentata da una strega, Sigyn, e da un dio mutevole e considerato malvagio, Loki. Non è un rapporto bilanciato da un punto di vista di mero potere, ma si equilibra con il rispetto reciproco.
Nella mitologia, pensiamo a quella greca, i rapporti tra creature magiche o divine e i mortali vengono molto spesso imposti alla controparte femminile, ma io non volevo che Sigyn subisse il rapporto con Loki. Desideravo che fosse la sua compagna. E questo era possibile solo se tra loro esisteva il rispetto. Loki riconosce il valore di Sigyn ed è per questo che non vuole sopraffarla, ma capirla. É un dio molto curioso ed è interessato a ciò che lei prova. Sigyn, dal canto suo, si sente ascoltata e persino supportata da Loki e questo è il motivo per cui riesce ad aprirgli il proprio cuore.

Autore: Javier Dominguez Jimenez
Il romanzo affronta temi universali come la perdita, la solitudine, il senso di colpa e la possibilità di redenzione. Qual è stata la parte più difficile da scrivere?
Mescolare il processo di cristianizzazione dei popoli nordici con una storia fantastica e cercare di renderla attuale forse è stata la parte più complicata, ma anche la più stimolante, dell’intera stesura.
Costruire i momenti in cui Sigyn passa dall’essere una ragazza molto curiosa a una strega mi ha aiutata a riflettere a quanto il concetto di fine del mondo sia labile. Quante fini del mondo abbiamo già visto negli ultimi anni, soprattutto in campo tecnologico?
Il desiderio di apprendere un determinato tipo di conoscenza porta Sigyn ad allontanarsi dal suo mondo, che sta cambiando. Si tratta di un bisogno che fa parte di lei, ma assecondarlo esige un prezzo altissimo. Sigyn viene isolata e malvista dalla comunità a cui appartiene, e non ha le caratteristiche per far parte del mondo di Loki, che comunque è sull’orlo della distruzione. Il cambiamento che vive è drastico. A un certo punto, Sigyn sa di poter contare solo su se stessa e su ciò in cui crede ed è quello a mandarla avanti.
Che ruolo gioca la speranza nel percorso dei tuoi protagonisti, in particolare di Sigyn?
Riflettendoci, la speranza è incarnata da Sigyn. Forse deriva proprio dal suo legame con la fedeltà e con il concetto di fiducia. Mentre gli dèi che compaiono nel romanzo hanno un atteggiamento amaro verso il futuro, disincantato, e rimangono fissi nel loro ruolo, con l’eccezione di Loki che, però, per questo motivo è condannato a una pena terribile, Sigyn è il personaggio che più di tutti incarna la mobilità, la voglia di mettersi in gioco, la testardaggine persino. Viaggia da un mondo all’altro e non si arrende neanche quando gli ostacoli che si frappongono tra lei e i suoi sogni sembrano insormontabili. La sua ostinazione, la speranza di poter cambiare il proprio destino, la spinge a credere in se stessa e a lottare per ciò in cui crede.
Quali emozioni speri che i lettori provino leggendo il tuo romanzo?
Spero che commuova e che faccia sorridere, ma soprattutto che convinca che davvero l’amore, inteso in tutti i sensi possibili, possa rischiarare le tenebre. Ho spesso descritto questo romanzo come una specie di fiaba, perché è il tipo di racconti che mi spaventavano e affascinavano insieme, in cui riconoscevo sempre una scintilla di speranza. Ecco, mi piacerebbe essere riuscita a trasmettere almeno un po’ di quella magia.
Claudia D’Auria.
Nata a Roma il 12 dicembre 1983, dove vive con il suo compagno. Fin da bambina legge libri di mitologia e di fiabe. A colpirla è la velata malinconia di alcune leggende, il pizzico di oscurità di certi racconti, i libri fantasy classici. Tra il 2009 e il 2010 lavora nella biblioteca della Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata dove, nel 2010, consegue la Laurea Magistrale in Storia Medievale.
Link per l’acquisto: Ciò che resta delle tenebre
Entra nella nostra community clicca qui: Newsletter
Sostienici, clicca qui: PINK





Comments are closed.