Mariam è una giovane marocchina che si definisce libera e felice: inizia in questo modo quella che può sembrare una storia che leggiamo in un libro o che vediamo in un film, eppure non è così, è reale. Una vita ordinaria, di una donna straordinaria.
Un pomeriggio d’estate, una panchina all’ombra di un parco sotto gli alberi per cercare un po’ di fresco e un incontro, che può trasformarsi in amicizia, con una giovane donna di nome Mariam.
Comincia con semplicità.
Comincia con semplicità, una classica conversazione di circostanza che si trasforma in un dialogo tra una donna italiana e una donna marocchina. In un primo momento mi sento un po’ osservata, ma cerco di non farci troppo caso, anzi: la guardo negli occhi e le sorrido. Non pensavo che ricambiasse in modo così spontaneo; spesso i preconcetti si insinuano prepotenti in noi anche quando, in fondo, non ci appartengono per nulla. Una semplice frase: “Mi piace il tuo vestito, scopre ma non troppo.” Lì per lì rimango un attimo perplessa, non capisco se è un modo di “rimproverare” o vuole essere un vero complimento. Lei indossa l’hijab (il velo), le dona molto; è affascinante, ha un bel viso e occhi espressivi.
“Mi chiamo Mariam, piacere.”
Mi presento anche io: un modo semplice per sciogliere il ghiaccio. Continuiamo a parlare del più e del meno, del caldo, delle belle giornate e, a un certo punto, si scusa per quello che ha detto sul mio vestito: voleva essere davvero un complimento. Forse si è accorta della mia espressione dubbiosa. Ammette che non le piace che si mostri troppo anche se non ha nulla in contrario, è solo un modo di pensare. Mi è piaciuta come risposta: un’opinione personale, rimane tale, non per forza ci si deve sentire offesi, sempre se data con rispetto.
Portare il velo e restare libera e felice.
Le chiedo, forse con un pizzico di sfacciataggine, se le piace indossare l’hijab o se la percepisce come un’imposizione della cultura da cui proviene. Mi sorride ancora, è davvero sincera.
“Viviamo qui in Italia, io, mio marito e i nostri figli, già da diversi anni, non mi è stato mai imposto di indossarlo, neppure prima di stare qui. Vedi, come alle ragazze e donne italiane piace indossare una gonna, una camicetta o altro che le faccia sentire belle, io mi sento bella così. Ho un armadio colmo di hijab, di tutti i colori e fantasie. So che per moltissime donne marocchine come me non è una scelta personale, purtroppo, e mi fa stare tanto male il pensiero. Noi non siamo tutti così: un popolo dal quale stare alla larga. Esiste anche tanto di buono, solo che pochi lo vedono davvero.”
Io la ascolto e comprendo benissimo quello che comunica con semplici parole: anche un qualcosa che semplicemente indossiamo assume un significato diverso se siamo noi a decidere. Se si trasforma in un’imposizione, comincerà a piacerci sempre meno fino a portarci a odiare quella che dovrebbe essere una nostra semplice decisione.
Di parola in parola.
Le rispondo che amo portare il rossetto rosso e gli orecchini, che non esco mai senza, neppure se lavoro nell’orto. Sono mie decisioni e mie scelte. Ci siamo comprese benissimo.
Una conoscenza, un’amicizia.
Rimaniamo lì a chiacchierare ancora un po’, il suo parere per me è importante: quel senso di libertà che traspare è un esempio per altre donne come me, ma soprattutto come lei. Mariam ha delle amiche, simili a lei nell’aspetto ma diverse nel pensiero e non è sempre facile, ma lei è forte.
E questo basta.
Mi domanda se passerò spesso ancora di qui, le rispondo che capita a volte e anche per lei è lo stesso. Forse non andremo a prendere un caffè insieme, neppure a fare compere ma, in fondo, chi stabilisce come si misura un’amicizia?
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Foto di copertina di Aboodi Wesakaran
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