Schindler’s list è una pellicola sulla quale non c’è nulla da dire o aggiungere. Film capolavoro diretto da Steven Spielberg, che uscì nelle sale italiane nel 1994, narra la storia vera dell’industriale tedesco Oscar Schindler, che mise a rischio ogni cosa, il suo lavoro e la sua stessa esistenza, nel tentativo di salvare la vita a migliaia di ebrei dai campi di concentramento e sterminio durante le terribili barbarie accadute nella seconda guerra mondiale. Un film duro, paragonabile a un pugno dritto nello stomaco che non fa sconti, non dà tregua e mozza il respiro anche allo spettatore dall’occhio più pigro.
Schindler’s list è una pellicola interamente girata in bianco e nero. Questo è, oramai, noto anche a chi il film non lo ha ancora visto o non riesce proprio a guardarlo, conoscendone il potente impatto visivo ed emotivo. Ma c’è qualcosa che, a un certo punto della narrazione, cattura l’attenzione non soltanto di Oscar Schindler, ma anche dello spettatore. Un espediente che è diventato pietra miliare della storia del cinema: la bambina con il cappotto rosso.
La bambina dal cappottino rosso
Durante lo sgombero del ghetto di Cracovia, Schindler osserva l’intera scena senza intervenire, immobile, come se non capisse esattamente cosa stia accadendo in realtà. I nazisti fucilano la gente per strada, si sentono spari e urla, si vedono persone costrette a salire su un camion che li porterà verso la morte certa. Ma tra i tanti personaggi di cui non conosciamo i nomi, tra i tanti ebrei rastrellati a mo’ di bestie, cammina una bambina. È sola. Avanza ignara delle atrocità che le stanno avvenendo attorno, attonita, spaesata, come se quella che sta attraversando non sia più la sua città, non siano più le sue vie, ma un nuovo mondo segnato dalla sofferenza e dalla morte. La bambina con il cappotto rosso cammina a lungo tra gli aguzzini e le vittime, Spielberg la segue con la telecamera e dunque lo spettatore si ritrova a fissarla, così come la sta guardando un impotente e sgomento Schindler.
Quel cappottino rosso
Ma cosa ha di diverso e di particolare questa figura? E perché è tanto importante nella monumentale opera di Spielberg? In una pellicola girata in bianco e nero, ecco che la bambina si presenta agli occhi di Schindler, e dunque ai nostri, con un cappottino rosso. Una piccola macchia colorata in mezzo al bianco e al nero, in mezzo alla morte e alla violenza. E subito, in maniera immediata, registriamo quella figuretta, la teniamo a mente, l’abbracciamo quasi nel tentativo di proteggerla dalle brutture della morte. È proprio quel cappottino rosso che fa risvegliare a Schindler la coscienza, gli fa capire l’orrore di quello che sta avvenendo. E, attraverso gli occhi dell’uomo, un maestoso Liam Neeson, lo spettatore capisce tutto il male di cui l’uomo è stato capace, di quando ha annullato la propria umanità ed è diventato al pari delle bestie, solo per infliggere dolore ad altri essere umani. Un orrore concepito dalla mente umana che però la mente umana non riesce a concepire e giustificare.
Il male manifesto
Ecco quindi che il cappottino rosso diventa simbolo del “mai più”. Molte, in realtà sono le teorie espresse sulla presenza di questa piccola macchia rossa in mezzo al desolato monocolore. Alcuni lo paragonano al sangue delle vittime versato. Ma quasi tutte sono d’accordo nell’affermare che quell’indumento colorato sia un monito per le coscienze. Quel pugno nello stomaco che ci toglie il fiato. E Spielberg, attraverso di esso, non soltanto scuote l’anima dell’industriale tedesco ma vuole dare una scarica anche alla nostra. Come a dire “guardate ciò che è stato, osservate il male manifesto, e non permettete che accada mai più.”
La locandina
Quando uscì al cinema, il film veniva presentato con una locandina molto semplice: due mani che si afferrano. Quella più grande (dal polso e avambraccio scoperti, occhio ai dettagli) sembra afferrare saldamente quella più piccola… dalla manica rossa. Spielberg è un maestro che non lascia nulla al caso. Nella locandina ha voluto riproporre proprio la mano della bambina con il cappotto rosso che viene stretta da quella di un adulto, presumibilmente Schindler, e che sembra volerla trarre in salvo. Tirare fuori dall’orrore e dalla morte. Chi salva una vita, salva il mondo intero. La frase è diventata iconica. Ed è proprio così. Da quando quella figuretta rossa è sfilata sotto agli occhi, sia Schindler che lo spettatore sente il dovere di fare qualcosa. Di mettersi all’opera per salvare quante più vite possibili. Ecco quindi che accanto all’orrore nasce anche la speranza, misera, di poter fare qualcosa per tutte quelle persone giudicate sbagliate o inutili a causa della loro razza e che per questo devono essere rastrellate come animali, torturate nel fisico e nella mente, infine… sterminate. La bambina col cappottino rosso diventa, allora, simbolo di resistenza. Perché se siamo per davvero umani e guidati dalla coscienza, non possiamo permettere che accadano cose innominabili come quelle successe.
Il significato oggi
Quanti bambini col cappottino rosso, metaforicamente parlando, camminano oggi per le vie disastrate dalla guerra, colpevoli soltanto di essere nati in quelle parti del mondo dove l’uomo continua a comportarsi come se non avesse una coscienza? Troppi. Non scordiamoci, dunque, di quella figuretta rossa che Spielberg è stato così abile da scolpirci nella mente. Ricordiamoci sempre di fare qualcosa, là dove possiamo. Non ci voltiamo dall’altra parte come una delle amanti di Schindler che, di fronte alla scena del rastrellamento, lo supplica di andare via per non dover guardare più quelle atrocità.
È accaduto, quindi può accadere di nuovo
La bambina con il cappotto rosso, che poi nel film ritroviamo cadavere su un carretto, con l’indumento tutto insozzato dal fango così come l’orrore ha insozzato e spezzato milioni di vite, sembra dirci che gli orrori, a volte, sono inevitabili. Non riusciremo mai a comprendere per davvero come sia potuto accadere che milioni di bambini, donne e uomini siano stati ridotti in schiavitù, torturati, annullati, ammazzati, cancellati. Il nostro compito, oggi come sempre, è quello di indossare quel cappottino rosso e tramandare alle future generazioni la memoria di quanto accaduto. Questo è il nostro dovere, e dobbiamo essere instancabili in ciò. Come disse Primo Levi, è accaduto quindi può accadere di nuovo. È compito dell’umanità vigilare, dunque, coltivare una coscienza e fare in modo che simili orrori non accadano mai, mai, mai più.
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