Potremmo tradurre il titolo del film utilizzando il termine “realtà”, ma ciò non sarebbe del tutto corretto, considerando che Reality è il nome della giovane eroina/antieroina accusata dall’FBI di aver illegalmente condiviso dei documenti segretati nel 2017.
Si chiama Reality Winner (interpretata da una sorprendente Sydney Sweeney) – Realtà Vincitrice sarebbe la traduzione italiana letterale – e tanto è emblematico questo nome da sembrare finto, inventato da un deus ex machina che pecca di ovvietà. Si tratta invece di una realtà tanto surreale che necessita di essere raccontata. E per raccontarla, nella sua interezza, nelle sue ambiguità, si è scelto di attenersi proprio alle “fonti reali”: le registrazioni dell’interrogatorio degli agenti dell’FBI a Reality Winner.
Dal teatro allo schermo
La regista, Tina Satter, al suo primo lungometraggio, dimostra una maturità nel saper gestire i tempi, le attese. La forte tensione viene creata con pochi elementi, (forse) grazie all’esperienza guadagnata a teatro, dove nasce questa mise en scène. Satter, infatti, prima di scrivere la sceneggiatura per lo schermo si era cimentata con la pièce teatrale. Ma il vero merito di quest’opera sta nel riuscire a squarciare quella quarta parete, posizionandosi proprio lì dove il confine tra la finzione e la realtà si sfuma. Come i tagli nella tela di Fontana, Reality riesce ad andare oltre.
Sydney Sweeney (Euphoria, The White Lotus) riesce a confonderci finché non ci conquista. È una donna che è abituata a confrontarsi con un mondo declinato al maschile. Riesce a improvvisare quei sorrisi alla Mona Lisa, ambigui e impenetrabili. Nasconde i fastidi, ma lascia il giusto spazio, uno spiraglio qua e là per creare quella complicità con lo spettatore. Un film che, come la protagonista, lotta contro gli Stati Uniti di Donald Trump. Presentato al Festival di Berlino nella sezione Panorama, il Festival di Villa Medici ci ha regalato l’anteprima italiana. Distribuito da Lucky Red, attendiamo la data di uscita nelle sale.
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